Col professor Damiano Galimberti, presidente dell’Associazione Medici Italiani Anti-Aging, un affascinante viaggio nel nostro patrimonio genetico per capire come restare in salute. Anche attraverso l’alimentazione
Il tema della longevità, dell’invecchiare bene, è quanto mai attuale, anche alla luce di quanto la pandemia ha tragicamente messo in evidenza con i nostri anziani, resi molto fragili nei confronti del virus Sars-CoV-2 a causa delle patologie croniche che spesso accompagnano la vecchiaia. Una questione strettamente legato a un’altro tema, molto complesso e dal grande fascino: il Dna, che cambia da persona a persona e dalla cui conoscenza può dipendere la possibilità di ridurre il rischio di svariate malattie. Ne parliamo con il professor Damiano Galimberti, presidente dell’Associazione Medici Italiani Anti-Aging e presidente del comitato scientifico del BE WISE – Longevity & Anti-Aging World Forum.
Professor Galimberti, le Nazioni Unite hanno dichiarato, insieme con l’Organizzazione mondiale della Sanità, il 2021-2030 decennio dell’healthy ageing, dell’invecchiare bene e in salute. Perchè quello della longevità è un tema tanto importante?
Noi viviamo più a lungo, ma da ammalati e le malattie cronico-degenerative (cardiovascolari, neurologiche e neoplastiche) sono costantemente sempre ai primi posti delle cause di morbilità. La medicina dell’invecchiamento o healthy ageing medicine si configura pertanto come una sorta di “rivoluzione copernicana”, il cui obiettivo diventa quello di “condizionare l’invecchiamento”, ovvero di rendere sereno il trascorrere degli anni in una condizione di essere umano sano, autonomo, libero, il più possibile, dalle patologie cronico- degenerative tipiche dell’età avanzata, dove il rischio personale di sviluppare una malattia dipende essenzialmente dall’interazione tra l’individuo, l’ambiente circostante e la suscettibilità individuale. Ciò porta a passare, quindi, da una medicina curativa a una medicina preventiva, volta a protrarre il più a lungo la condizione di buona salute e in questo modo ridurre anche i costi di assistenza, dato l’impegno economico che grava sui vari sistemi sanitari, legati alla assistenza di soggetti in là negli anni, ma da assistere in quanto, appunto, ammalati. L’obiettivo è, in definitiva, quello di un invecchiamento “di successo”, proprio di soggetti che, in assenza di malattia, hanno in età avanzata prestazioni fisiche e mentali non dissimili da quelle di soggetti di età giovane-adulta. Pertanto la prevenzione si configura come la miglior arma a disposizione per ottimizzare il proprio stato di salute.
Quali sono gli ambiti verso cui la ricerca e la medicina si stanno indirizzando con questo duplice obiettivo di allungare la vita delle persone e migliorarne allo stesso tempo la qualità?
Innanzitutto quello di individuare precocemente quelle condizioni che, laddove trascurate, portano a un deterioramento dello stato di salute, anticamera delle malattie cronico-degenerative. Quindi ricerca nell’individuazione di marker di laboratorio piuttosto che genomici per individuare i soggetti “a rischio”, affinchè possano, con adeguate strategie di prevenzione e monitoraggio clinico, “ritardare” il più possibile la comparsa della malattia vera e propria. Non solo: l’individuazione anche di quelle cure che, se tardive risultano inefficaci, ma che, se precocemente impostate, portano concreti vantaggi in chiave di healthy ageing. Sarà così possibile testare soggetti asintomatici per malattie genetiche e per identificare quelli a più alto rischio genetico, in tal modo consentendo interventi più mirati da effettuare prima che i sintomi compaiono; sarà anche possibile testare individui sintomatici per confermare la diagnosi e offrire nuovi trattamenti. La scala del potenziale guadagno in salute derivato da questi progressi scientifici è ancora in parte sconosciuta, ma rischia di avere conseguenze positivamente significative per l’organizzazione, il personale e la fornitura di servizi sanitari, nonché di sollevare questioni di etica e di equità di accesso.
Volendo dare una breve definizione, che cos’è esattamente la medicina anti-aging?
Un approccio alla cura della salute (healthcare), che quindi esalta la prevenzione della malattia e l’allungamento della vita, in opposizione all’esaltazione della cura della malattia. Quindi, la medicina anti-aging diventa una modalità per misurare, valutare e definire il “vero” grado di salute non esattamente della persona come entità astratta, ma delle sue cellule e dei suoi organi come unità funzionali interconnesse. L’approccio alla base concettuale della medicina anti-aging è pertanto costituito dall’impostazione ed attuazione concreta di un percorso medico fluido, dinamico e in perenne evoluzione, messo in atto per valutare e mantenere lo stato di salute che rimane, invece, un concetto di per sé statico.
Il tutto finalizzato a dare un inquadramento sistemico delle condizioni di base del paziente/persona, attraverso l’incrocio di dati di laboratorio e strumentali con dati genomici. In questo contesto, la medicina anti-aging diventa una medicina predittiva in quanto, grazie ai test genetici, può predire lo sviluppo di un processo patologico, in qualsiasi cellula dell’organismo; una medicina integrale perchè analizza globalmente e in tempo reale i fenomeni fisiologici e/o patologici delle nostre cellule; una medicina preventiva perchè grazie alla conoscenza di ciò che sta o può verificarsi nell’immediato o prossimo o lontano futuro, può consentire di mettere in atto interventi capaci di prevenire, modificare, rallentare, annullare o spostare nel tempo tali fenomeni biologici; una medicina rigenerativa in quanto capace di intervenire direttamente sui meccanismi di rigenerazione cellulare; una medicina complementare e integrativa perché si collega direttamente alla medicina convenzionale, con tempi e modalità di estrinsecazione diversi.
Siamo nell’era dell’epigenetica: oggi si sente sempre più parlare di nutraceutica, nutrigenomica, ma non tutti sanno cosa vuol dire esattamente. Possiamo spiegare cosa sono e perchè sono così importanti in ottica healthy ageing?
La nutrigenomica si riferisce all’applicazione della genomica nella ricerca nutrizionale, consentendo di creare associazioni tra nutrienti specifici e fattori genetici, ad esempio il modo in cui il cibo o i principi attivi nutrizionali presenti al loro interno influenzano l’espressione genica, cioè la “lettura” del Dna, andando a attivare o a “silenziare” l’informazione contenuta nei geni. La nutrigenomica dovrebbe quindi facilitare una maggiore comprensione di come la nutrizione influenza le vie metaboliche. Parallelamente la nutrigenetica altro non è che lo studio delle differenze individuali a livello genetico che influenzano la risposta alla dieta: “eat right for your genotype”, mangia giusto in relazione al tuo genotipo. Il nutraceutico è l’evoluzione moderna del vecchio termine di integratore.
Un mix di sostanze in grado di interagire con il proprio assetto costituzionale (genotipo) in funzione della sua interazione con l’ambiente (fenotipo). Assumono pertanto il ruolo di modulatori cellulari e funzionali in grado di assicurare un’ottimizzazione dei processi fisiologici dell’organismo umano. Questa rivoluzione ha portato alla nascita di una nuova disciplina, la nutrizione molecolare. Essa ci porta a diete in cui il nutriente non è visto solo in qualità di sapore e appetibilità, ma anche come il protagonista nella prevenzione di determinate patologie, divenendo esso stesso una specie di farmaco.
L’epigenoma, in un certo senso, decide quale gene debba essere “on”, acceso, oppure “off”, spento, in una singola cellula, comportando un segnale di specifica espressione genica. L’epigenoma è inoltre suscettibile di una varietà di stimoli ambientali, quali l’alimentazione: ogni volta che si mangia, in pratica si cambia la composizione del sangue in funzione delle molecole ingerite attraverso i cibi e si genera uno stato metabolico, ormonale, genico, che rende diverso l’organismo da quello che era prima del pasto o dell’introduzione del principio attivo presente nel cibo piuttosto che nel nutraceutico.
Lo so che è difficile forse dare una risposta, perché ogni individuo è diverso, ma in generale quali sono i cibi della longevità che non dovrebbero mai mancare nel piatto?
Oggi è importante modificare l’atteggiamento verso il cibo. Occorre cercare di passare da un atteggiamento passivo, ad uno più attivo, più consapevole, ed ecco che proprio noi diventiamo i responsabili principali della nostra salute, il suo “guardiano”. L’acquisizione della forma, e quindi del senso di benessere psicofisico, dipende oramai da noi e si incentra sulla prevenzione e sulla riduzione dei fattori di rischio. Come si è detto, negli alimenti che si introducono, esistono molecole in grado di interagire con l’assetto costituzionale (genotipo / Dna), assumendo il ruolo di modulatori cellulari, così da assicurare un’ottimizzazione dei processi fisiologici dell’organismo. Torniamo al discorso della nutrizione molecolare, in cui il cibo diviene esso stesso una specie di farmaco. È il caso dello zenzero, della curcuma, dell’epigallocatechina del tè verde, del licopene apportato dai pomodori cotti, del resveratrolo, della spermidina presente, ad esempio, nei germi di grano, dell’esperidina presente negli agrumi, degli isotiocianati presenti nelle verdure crucifere e così via.
Nel suo libro La Dieta del Dna. Un programma personalizzato per ritrovare salute e benessere dice di superare il concetto “siamo quello che mangiamo” in favore di “siamo quello che assimiliamo”. Ci spieghi meglio questo passaggio…
Spesso si sente dire “noi siamo quello che mangiamo”. Attenzione. Non è così vero. Bisogna sempre ricordare che non mangiamo calorie, ma molecole. Chi ci garantisce che quello che si introduce venga poi effettivamente assimilato? La risposta è nell’intestino. È quest’ultimo la chiave, il crocevia del benessere. È ovvia l’importanza di quello che introduciamo nell’organismo, ma non è affatto scontato che il cibo possa svolgere il suo compito. Tutto dipende dall’assimilazione delle molecole e dei principi attivi in esso contenuti. L’intestino diventa così la chiave e il mezzo per il proprio benessere.
Non solo migliorare l’alimentazione può migliorare la vita, ma è soprattutto la capacità di ottimizzare l’assimilazione da parte del proprio intestino, la vera e moderna chiave della salute. Quindi oggi si evidenzia un concetto più completo, che si affianca a quello del mangiare a misura di Dna: “noi siamo quello che assimiliamo”, quello che detta il Dna al nostro organismo, al nostro metabolismo. I geni, i mattoni costitutivi del Dna, sono un tesoro di informazioni inestimabile a cui poter attingere. Come mangiare? Quali vitamine assumere? Che proteine o carboidrati incamerare durante la giornata? Qual è l’attività fisica migliore da praticare? Quali gli stili comportamentali e alimentari appropriati? Come detossificare? Quali i cibi più idonei e più utili? Per molte risposte occorre leggere il Dna: un’alimentazione scientificamente su misura, con finalità di calo ponderale, benessere, prevenzione e lunga vita. Un profilo genetico dettagliato in grado di stabilire quali prodotti assumere per ottenere i miglioramenti estetici e di salute desiderati.
Ma sarebbe un limite e profondamente sbagliato pensare che nel Dna esista il destino, il fato. Esistono semplicemente fattori che possono avvantaggiare o ostacolare in un percorso di dieta e che, una volta appresi, possono agevolare questo stesso percorso e favorire l’auspicato successo finale, dato non solo dal calo di peso, ma dal suo successivo mantenimento nel tempo. Non più pertanto una dieta basata solo sulle abitudini alimentari e di vita, ma anche confezionata a propria immagine e somiglianza, nella sua composizione qualitativa, nella distribuzione ed organizzazione dei pasti della giornata, nell’individuazione di cibi e nutraceutici in grado di agevolare il successo del piano d’azione. Una volta compresi questi meccanismi, si andrà a ottimizzare quello che avvantaggia e compensare quello che svantaggia.
Ecco perché allora una dieta che funziona alla perfezione per una persona può miseramente fallire per un’altra…
Se per assurdo due persone, con lo stesso stile di vita, mangiassero i medesimi alimenti, ci accorgeremmo che il loro corpo si comporterebbe in modo del tutto personale. Non si possono applicare o imporre regole e schemi che prescindano da noi, dalla nostra costituzione genetica, dal nostro stile di vita, dal nostro rapporto con il cibo. Per questo assistiamo a tanti insuccessi dietetici. Cali di peso a fronte anche di estenuanti sacrifici e poi successiva rapida ripresa dei chili persi, spesso anche con gli interessi: si finisce così col pesare di più di quando si era iniziata la dieta. Basta perdersi in conteggi calorici, smanettando tra le tante App che calcolano le calorie dei cibi che si assumono. Basta soccombere ai pensieri negativi e ai sensi di colpa. Bisogna imparare innanzitutto a conoscersi per poi seguire la dieta più adatta a sé.
Non una dieta basata solo sulle abitudini alimentari e di vita, ma anche confezionata a propria immagine e somiglianza, una “dieta genetica o del Dna”, nella sua composizione qualitativa, nella distribuzione e organizzazione dei pasti della giornata, nella individuazione di cibi e nutraceutici in grado di agevolare il successo del piano d’azione. Se si sa quale è il biotipo del proprio paziente, gli si può offrire miglior chances di successo dietoterapico. Immaginiamo di poter aprire il cofano motore della propria vettura, quindi del proprio metabolismo e di poterci guardare dentro. Si può scoprire che si sta sbagliando nell’utilizzo del carburante: magari si mette benzina in un motore che va a gasolio. Si può evidenziare un problema di carburatore ingolfato, che non miscela bene il carburante introdotto. In pratica, si possono individuare quei meccanismi che possono agevolare il nostro benessere e favorire un calo di peso, oppure quelli che lo possono ostacolare, rendendo il tragitto più tortuoso e difficoltoso.
Che tipo di esami sono necessari per capire ciò che ci fa bene e cosa no?
Si incrocia un dato genetico, il cui costo medio è di circa 250 euro, con esami del sangue mirati, eseguibili in laboratori specializzati. A mero titolo esemplificativo: adiponectina, leptina, indice Homa, coenzima Q10…
Capitolo integratori: ne esistono tantissimi, come possiamo orientarci per assumere quelli più adatti a noi? Fra questi, per esempio, gli omega-3, sempre più reclamizzati, ma cosa bisogna considerare quando li si acquista?
Intanto non è corretto dire quali nutraceutici prendere, è più corretto dire sottoporsi a esami specifici per scoprire quali nutraceutici “sposano” meglio i propri “difetti” costituzionali. A quel punto si opterà per un fish oil (EPA e DHA) o un algal oil (solo DHA), dove EPA e DHA sono due diversi omega-3; per resveratrolo, oleurupeina, uncaria, epigalattocatechine, curcumina, eccetera. Ma tenere soprattutto presente che un integratore si differenzia tra gli altri per la sua biodisponibilità, cioè la capacità di essere ben assorbito dall’organismo. Come per gli alimenti vale che noi siamo ciò che assimiliamo, questo vale anche per gli integratori, che spesso si differenziano qualitativamente tra loro, in relazione alla loro capacità di essere ben assimilati in vivo. Cito proprio una tantum il caso di un ottimo integratore, Epiredox, al cui interno esistono contemporaneamente più brevetti internazionali di effettiva biodisponibilità dei relativi principi attivi.
Prima accennava all’importanza dell’intestino, che chiama in causa un altro aspetto fondamentale del nostro organismo: il microbiota.
Noi, come ogni essere umano, siamo una colonia batterica che cammina. Infatti, non si è soli, ma si è una sorta di ecosistema. Quando si mangia, non si è soli. I miliardi di micro-organismi che ospitiamo nell’intestino aspettano a loro volta di mangiare. Attendono impazientemente le molecole che gli andremo a fornire, come, nel loro nido, pulcini in attesa spasmodica del cibo portato dalla loro madre. Quello che si mangia, una volta scomposto in molecole, pervenendo all’intestino, viene rielaborato dai batteri ospitati, che andranno così a creare nuove molecole. Queste viaggeranno all’interno del corpo e, così facendo, andranno a pervenire ai vari organi, condizionandoli nel loro “pensare e agire”. Per questo si dice che tutti noi abbiamo due cervelli: intestino e sistema nervoso centrale.
Quante volte dopo avere ricevuto una brutta notizia si dice “mi si è bloccato lo stomaco”, così come dopo una arrabbiatura “sono talmente nervoso che mangerei di tutto”. Bene: intestino e cervello comunicano. I nostri ospiti, i batteri, possono anche condizionare la nostra quotidianità, la nostra salute, le nostre scelte alimentari e, sul piano del peso, il successo o insuccesso di una dieta. Questi batteri invadono e occupano il nostro intestino con la nascita e sono immediatamente condizionati dal tipo di parto (naturale piuttosto che cesareo), dall’allattamento (materno o artificiale), dall’assunzione di antibiotici (precoce o tardiva) e andranno a condizionare lo stato di salute. Si capisce quanto, dunque, sia utile imparare dapprima a conoscere (attraverso il test del microbiota) il proprio ecosistema intestinale e di agire poi sempre con una dieta ad hoc e, laddove necessario, con nutraceutica e probiotici ad personam.
Quanto un’alimentazione tarata sul proprio Dna può aiutarci a combattere i virus?
È legittimo potenziare le nostre difese immunitarie e soprattutto contrastare quella low grade inflammation che nel sottofondo, “dietro le quinte”, contribuisce a logorare l’organismo, esponendolo a conseguenze a volte nefaste.
Può aiutarci anche a rallentare il progredire di malattie già conclamate come, per esempio, il cancro?
Può contribuire a rafforzare le chance di prevenire quelle neoplasie correlate alle scelte alimentari, o più in generale al personale lifestyle, e alla capacità di detossificazione del nostro fegato. Si rifletta per un attimo sulle cause delle malattie degenerative: un primo aspetto coinvolge la cellula, che va incontro a una mutazione del suo Dna. La modifica del Dna genera una cellula nuova, diversa, appunto una neoplasia. Fattori e sostanze di varia origine e natura (biochimica, biofisica, tessutale, eccetera) possono trasformare o attivare sostanze pro-carcinogene in carcinogeni veri e propri e interagire con una cellula, trasformandola. Ma in questa fase noi possiamo già difenderci. Possiamo, grazie alla nutrigemomica e quindi alla nostre scelte alimentari, contrastare l’attivazione e la formazione di queste molecole nocive.
Esistono principi attivi presenti nei cibi che mangiamo o negli integratori che possiamo selettivamente assumere, in grado di proteggerci. È il caso del sulforafano, dell’indolo-3-carbinolo e del diindolilmetano presenti nelle verdure crucifere, dell’acido ellagico presente in lamponi e melograno, dei flavonoidi dell’olio di oliva. Tutti alimenti tipici e rappresentativi della Dieta mediterranea.
Le differenze genetiche influenzano anche questi meccanismi: dalla capacità di riparare le cellule una volta riconosciute come mutate, alterate, alla possibilità di distruggerle, laddove i meccanismi di riparazione fallissero. Questi processi e questi meccanismi sono alla base di conseguenze cruciali per la nostra vita: non solo l’apparenza esteriore, ma anche la nostra salute dipende da esse. Se il rischio è noto, si può fare qualcosa per contrastarlo. Conoscere le variazioni genetiche ed il loro effetto sull’organismo può, quindi, essere molto utile per individuare quelle predisposizioni individuali, al fine di mantenere e migliorare il proprio stato di benessere.
Vincenzo Petraglia