Lo sapevate che disturbi come colite, cistite, artrite, dermatite, emicrania, dolori muscolari e malattie cardiovascolari, metaboliche e tumorali possono essere legate all’infiammazione da cibo e in particolare all'eccessiva assunzione di zuccheri? Leggendo quest'intervista ne scoprirete delle belle...
La relazione fra ciò che mangiamo e il nostro benessere è nota, ciò che lo è meno, fra i non addetti ai lavori almeno, tra le persone comuni dunque, è che gli effetti di tutto ciò che introduciamo nel nostro corpo non sempre sono diretti e immediati, come per una indigestione o un’intossicazione, ma si possono rivelare anche a distanza di molto tempo, di anni. E senza che ce ne accorgiamo, portando avanti un lento lavoro di danneggiamento del nostro organismo che alla lunga può provocare malattie anche molto serie.
Un lento e impercettibile percorso che è il frutto dell’accumulo progressivo di sostanze infiammatorie causate dalla ripetuta o eccessiva introduzione di certi alimenti o di alcuni gruppi alimenti, che attraverso un effetto sommatorio provocano danni alla nostra salute.
Abbiamo parlato di questo tema, che è strettamente legato ad alcune sostanze, prime fra tutte lo zucchero che assumiamo sia in forma manifesta, come nei dolci per esempio, che inconsapevolmente tramite moltissimi cibi in apparenza insospettabili, con il dottor Attilio Speciani, esperto della materia, medico, immunologo clinico e specialista in Allergologia, docente a contratto del Master Nutrizione Università di Pavia e direttore scientifico di GEKLab, centro che porta avanti un importante lavoro proprio in un’ottica di prevenzione e benessere a 360 gradi.
Ci spiega che cos’è l’infiammazione da cibo e come si manifesta?
Ogni persona, nel corso del tempo, arriva a percepire con chiarezza la relazione tra il proprio stato di benessere e quello che mangia. Gli effetti non sono diretti e immediati, come per una indigestione o un’intossicazione, perché dipendono dall’accumulo progressivo di sostanze infiammatorie, causate dalla ripetuta o eccessiva introduzione di alcuni alimenti o di alcuni gruppi alimentari (come ad esempio i derivati del latte o le sostanze fermentate). Accade, quindi, che i sintomi provocati dal “cappuccio e brioche” si manifestino dopo molti giorni in cui lo stesso alimento “cappuccio e brioche” non aveva provocato nessun sintomo, facilitando una alterata percezione della causa dei disturbi.
In un certo senso è come se l’organismo si caricasse prima di “scoppiare”. Tutte le malattie che finiscono in “ite” dalla colite, alla cistite, dall’artrite alla congiuntivite, dalla dermatite alla vaginite, possono essere legate anche all’infiammazione da cibo. Inoltre emicrania, dolori muscolari, gonfiori addominali e gonfiori delle gambe hanno sicuramente anche una componente infiammatoria di questo tipo.
Le malattie autoimmuni costituiscono un capitolo a parte, di estremo rilievo, perché il BAFF (sostanza infiammatoria dovuta anche alla dieta) è tra quelle capaci di determinare autoimmunità. Intervenire con una dieta personalizzata può modulare e controllare questo aspetto, contribuendo alla terapia e alla guarigione di numerosi disturbi e malattie.
In realtà le forme di infiammazione dovuta al cibo, ad oggi, sono almeno di tre tipi. La prima, cui ho appena accennato, riguarda l’infiammazione che si genera per un uso eccessivo o ripetitivo di un alimento. La seconda, definita scientificamente fin dal 2010 dalla Harvard Medical School, riguarda l’infiammazione indotta da uno squilibrio tra proteine, carboidrati e fibra in ogni singolo pasto, e infine la glicazione, documentata dal 2017, legata ad un eccesso individuale di “zuccheri”.
Perché a lungo andare può rivelarsi così pericolosa per la salute?
Una scorretta assunzione alimentare può mantenere anche per lungo tempo un’infiammazione di basso grado, silente e cronica. È noto che l’infiammazione, anche quella legata al cibo, può essere la causa di disturbi ricorrenti come meteorismo, pancia gonfia, emicrania, eczema, reflusso, tosse non batterica, candidosi e cistiti, afte, dolori articolari, nevralgie, ridotta sensibilità al glucosio e molti altri. Controllare l’infiammazione attraverso una alimentazione personalizzata può ridurre o risolvere questi disturbi. Alcuni studi hanno messo in evidenza l’importanza di prevenire patologie come il diabete, l’obesità e la steatosi epatica (strettamente legate all’infiammazione da zuccheri), contribuendo così anche alla salute cardiovascolare. Intercettare queste patologie prima che si sviluppino permette di guadagnare anni di vita in buona salute.
Perché la glicazione è così importante e quali conseguenze può avere sull’organismo?
Gli zuccheri non sono “cattivi” per se stessi, tanto è vero che gli esseri umani hanno addirittura un ormone dedicato a stimolarne la ricerca e il consumo (NPY). Questo ormone è stato salvifico nel Paleolitico e anche prima, quando gli zuccheri erano rari e la loro ricerca diventava utile alla sopravvivenza.
Attualmente la disponibilità di sostanze dolci è purtroppo quotidiana e l’uso ripetuto di tutti i tipi di zuccheri (come di cereali raffinati, alcol e polioli, che danno gli stessi effetti) porta alla attivazione di processi di “glicazione” nell’organismo. Gli effetti della glicazione si accumulano nel tempo, arrivando a interferire e a bloccare molte funzioni dell’organismo. Le sostanze glicosilate e glicate agiscono come veleni cellulari, tanto che alcuni le chiamano glicotossine, e portano a creare una “caramellizzazione” delle proteine, degli enzimi e del Dna, oltre che generare effetti di invecchiamento proprio per la loro azione ossidante.
Per anni si è pensato che bastassero i valori di glicemia a indicare gli effetti degli zuccheri nell’organismo. Invece si sta scoprendo che gli effetti dannosi derivano dai picchi che si determinano nell’organismo, definiti come “variabilità glicemica”. Basta un esempio semplice: in media una persona a digiuno ha circa 2,5 grammi di glucosio circolante nell’organismo. Una tazzina di caffè con due cucchiaini di zucchero determina, nel giro di pochissimi minuti, un picco ematico di glucosio e fruttosio di 12 grammi di zuccheri circolanti (cioè circa 6 volte il normale), che facilita appunto la formazione di sostanze glicanti, ossidative e pericolose.
Tra le alterazioni sono comprese anche quelle legate alla neurodegenerazione e al declino cognitivo?
Oggi, la progressione della ricerca ha evidenziato che la glicazione è ovviamente coinvolta nelle malattie metaboliche (diabete, gotta, dislipidemia) ma in modo inaspettato è determinante anche nella steatosi epatica, nei dolori persistenti, nelle alterazioni sensoriali, nelle patologie tumorali e poi ha un ruolo causale nel processo di degenerazione neuronale. Addirittura, alcuni autori parlano di diabete di tipo 3 per l’Alzheimer e sia nel Parkinson che nel declino cognitivo e nella perdita della memoria, le sostanze glicanti provocano un danno ben definito ai neuroni. Conoscere i propri livelli di glicazione può aiutare chiunque a prevenire e controllare il declino del pensiero…
Ci sono parecchi stereotipi consolidati sugli zuccheri…
Sentendo la parola “zucchero”, gli alimenti che vengono subito in mente sono merendine, gelati, biscotti, bevande zuccherate. Esiste però anche una serie di alimenti raramente percepiti come zuccherini, anche se dolci a livello gustativo. In questa categoria rientrano gli zuccheri “nascosti”, ovvero quelli che non vengono immediatamente associati all’assunzione di zucchero, ad esempio cereali da prima colazione, miele, bevande vegetali, marmellate, ketchup, yogurt alla frutta, frutta abbondante e così via.
Anche queste sostanze, considerate spesso come “salutari” hanno un effetto metabolico sovrapponibile a quello di un soft drink o di una caramella. Anche i dolcificanti, usati ormai ovunque (in acque aromatizzate, gomme da masticare, budini proteici, yogurt…) incrementano i valori di albumina glicata e metilgliossale, due marcatori (misurabili) della glicazione, correlati a sintomi e patologie importanti. Come dicevo in precedenza, è utile immaginare una proteina glicata come se fosse “caramellizzata” dallo zucchero, perdendo quindi totalmente o parzialmente la sua funzione. Tra gli effetti clinici della glicazione eccessiva sono segnalabili cistiti ricorrenti, mal di testa cronici, demenze, tiroiditi, prediabete e diabete, e ancora fenomeni simil-allergici, tra cui asma, rinite e orticarie senza apparente causa.
Va considerato che il 62% delle reazioni allergiche e simil allergiche, quelle in cui non si evidenzia una specifica causa diretta, sono dovute all’interazione di più fattori, glicazione compresa. Un altro dato preoccupante è legato alla steatosi in età infantile: in Italia più dell’8% dei bambini è affetto da steatosi epatica (fegato grasso) e la colpa è legata proprio al consumo individualmente eccessivo di zuccheri e affini. L’equilibrio alimentare è sicuramente la strada da seguire: non si tratta di togliere il gelato al bambino o il bicchiere di vino al genitore, ma di inserire questi alimenti con una frequenza personalizzata e congrua al proprio stato infiammatorio, in base a dati concreti e monitorabili nel tempo e su cui impostare una terapia efficace e personalizzata.
Con il suo team sta portando avanti proprio degli studi su questo tema degli zuccheri. Cosa sta emergendo?
Certamente è importante mantenere i livelli di glicemia a digiuno e di emoglobina glicata all’interno dei range di riferimento ma queste misurazioni, utilissime nella gestione del diabete, non sono sufficienti ad identificare danni precoci da zucchero. Alcune persone, ad esempio, possono manifestare disturbi di tipo infiammatorio e metabolico legati a frequenti oscillazioni di zucchero, nonostante le ottime capacità compensative di mantenere la glicemia nel range corretto. Queste frequenti oscillazioni di zucchero possono essere misurate tramite marcatori innovativi come l’albumina glicata e il metilgliossale.
Pasti sbilanciati e ricchi in carboidrati raffinati, piatti a base di sola frutta, colazioni ricche in zuccheri semplici, l’assunzione quotidiana di caffè dolcificato sono solo alcuni esempi di abitudini scorrette che possono determinare frequenti e repentine oscillazioni di glicemia. È proprio la variabilità glicemica quotidiana che può sostenere reazioni infiammatorie, mantenere lo stress ossidativo e rappresentare un terreno fertile per la facilitazione di vere e proprie patologie.
Uno studio osservazionale, pubblicato su Nutrients nel 2020, a cui ha contribuito il gruppo di ricerca di GEKLab, ha dato ulteriore valore all’ipotesi di utilizzare i marcatori albumina glicata e metilgliossale per “anticipare” il diabete gestazionale, una condizione che riguarda una donna in gravidanza su sette che deve essere tempestivamente monitorata per evitare complicanze. La stessa valutazione anticipata si può effettuare sulle persone “normali”, sia uomini sia donne, per scoprire in anticipo se esiste una tendenza verso la malattia diabetica.
In un’ottica di sano invecchiamento, di healthy ageing, quanto gli zuccheri remano contro?
In ottica di healthy ageing, “meno zuccheri semplici assumeremo e più in salute invecchieremo!”. Non è possibile infatti stabilire un livello massimo di assunzione tollerabile di zucchero perché il consumo di zuccheri semplici è direttamente proporzionale al rischio di sviluppare patologie metaboliche e cardiovascolari. Per questo motivo gli scienziati dell’EFSA (Autorità europea sulla sicurezza alimentare) hanno anche di recente ri-suggerito che l’assunzione di zuccheri aggiunti e liberi dovrebbe essere la più bassa possibile. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda una forte riduzione dell’assunzione zuccherina giornaliera addirittura a meno del 5% dell’energia totale, pari circa a 25 grammi, che corrispondono a 5/6 cucchiaini da tè di zuccheri liberi!
Perché bisogna diffidare dei prodotti “light” e “sugar free”?
Bisogna diffidare dei cibi light perché il ridotto apporto di grassi viene sostituito da un quantitativo maggiore di zuccheri e dolcificanti. Togliere i grassi per ridurre l’apporto calorico dell’alimento non è mai una scelta saggia. Si sentirà prima la fame perché tutti i cibi “light”, proprio per il ridotto apporto di proteine e grassi, saziano meno. Inoltre un vero dimagrimento dipende solo in minima parte dal conteggio calorico mentre ha una maggiore rilevanza il modo in cui si creano i pasti, dando il giusto valore alla componente proteica e alla distribuzione dei pasti durante la giornata.
Quasi tutto ciò che è “sugar free” può essere “sweetener added”, ossia i prodotti senza zuccheri aggiunti spesso contengono sostituti dello zucchero come i polioli e altri dolcificanti. Le azioni negative dei dolcificanti sono molteplici. È noto dalla letteratura che modificano il microbiota intestinale, vengono metabolizzati nell’organismo favorendo lo sviluppo e accumulo di radicali liberi tra cui il metilgliossale e anche recentissime ricerche hanno confermato nei consumatori di dolcificanti ipocalorici un rischio molto incrementato nello sviluppo di tumori.
Si parla sempre più spesso di intolleranze e sovente, per correre ai ripari, si eliminano semplicemente degli alimenti dalla propria dieta… E invece? Lei in uno dei suoi libri spiega che le intolleranze non esistono. Ci spieghi meglio.
Le uniche due intolleranze riconosciute dalla scienza sono l’intolleranza al glutine (celiachia) e l’intolleranza al lattosio (che è un fenomeno biochimico e non infiammatorio).
Il termine “intolleranza” è stato usato in modo improprio per lungo tempo, spesso caratterizzando e imponendo diete di eliminazione che sono potenzialmente pericolose.
La varietà alimentare è necessaria per mantenere efficiente il proprio sistema difensivo e ogni eliminazione alimentare (indispensabile solo per la celiachia accertata e per le gravi allergie alimentari) diventa controproducente.
La componente infiammatoria dell’alimentazione può invece essere misurata facilmente per definire un profilo nutrizionale personalizzato.
Nei nostri centri aiutiamo le persone a recuperare un rapporto fisiologico, naturale e gustoso con gli alimenti. Anche nelle condizioni più problematiche (malattie autoimmuni, forme tumorali), chiediamo almeno 7 pasti liberi alla settimana sui 21 disponibili. Cioè un terzo della dieta deve restare libero… Infatti non esistono cibi “contro”.
Come si può comprendere se le cose nel nostro organismo vanno per il verso giusto oppure no? Che esami è consigliabile fare? Cosa sono i test PerMè, Recaller 2.0 e Glycotest?
L’evoluzione scientifica ha permesso di misurare in modo sempre più preciso la condizione immunitaria, metabolica, infiammatoria e nutrizionale di ogni persona. Alcuni test specifici e oggi facilmente effettuabili in più di 1.500 point, tra centri medici e farmacie, in Italia e all’estero, consentono di valutare sia l’infiammazione da zuccheri che da alimenti, o entrambe.
Il Recaller 2.0, tramite la misurazione di BAFF e PAF (due citochine infiammatorie), dei valori delle Immunoglobuline G alimento specifiche e di una specifica variante genetica correlata all’autoimmunità, individua il profilo infiammatorio personale, consentendo una efficace rotazione alimentare settimanale, in grado di agire sulla riduzione dell’infiammazione e dei sintomi correlati, evitando pericolose diete di eliminazione.
Il GlycoTest, tramite la misurazione di Albumina glicata in percentuale e di Metilgliossale, valuta il livello di glicazione dell’organismo, consentendo di prevenire patologie come il diabete o la steatosi epatica e di ottimizzare eventualmente la terapia già in atto. Come anche indicato dalla Società Italiana di Diabetologia, inoltre, la conoscenza di eventuali predisposizioni genetiche per il diabete, ma anche per l’obesità e la steatosi epatica, permette di mettere in atto strategie alimentari, integrative e sullo stile di vita in genere, al fine di evitare che la patologia si manifesti. Il GlycoTest valuta anche questo. Come spesso dico ai miei pazienti, le diverse forme infiammatorie (da zuccheri e da alimenti), operano tra loro in modo sinergico e spesso, agire su entrambe, permette un miglioramento o una risoluzione efficace del problema di salute.
Il Test PerMè consente un’azione a 360 gradi, valutando sia l’infiammazione da zuccheri sia quella da alimenti e le caratteristiche genetiche della persona che possono aiutare a scegliere la terapia nutrizionale più adatta.
Ci spiega la relazione fra Covid, vaccini e glicazione? Quali evidenze?
Il fatto che la glicazione sia fortemente correlata al Covid-19 è noto fin dal febbraio 2020 perché si è visto – in vitro – che il recettore presente sulle cellule umane (ACE 2 Receptor) deve essere in parte glicato o glicosilato perché il virus entri nella cellula e si diffonda. Nello stesso periodo si è scoperto che anche la proteina spike – quella con cui il virus del Covid penetra nella cellula – deve essere glicosilata o glicata per entrare nell’organismo, generare i suoi effetti e attivare le complicanze oggi conosciute. In un certo senso quindi, questo virus “si camuffa e si traveste da zuccherino” per entrare nelle cellule umane.
Nello zucchero questo virus sta bene, infatti obesi, diabetici e iperglicemici sono stati tra i più colpiti dalle sue manifestazioni. Poi il virus va anche a disturbare le cellule del pancreas facilitando la progressione o l’attivazione di un quadro diabetico. È ovvio che il controllo nutrizionale della glicazione può essere di forte impatto sulla virulenza del Covid. C’è di più: proprio perché la proteina spike “ama” coprirsi con radicali zuccherini, quando se ne è riempita, cambiando in un certo senso la sua forma, gli anticorpi prodotti dall’organismo, per malattia precedente o vaccinazione, riconoscono il virus in modo solo parziale. In soggetti con alti livelli di glicazione, cioè, gli anticorpi anti Sars CoV-2 sono meno attivi e anche se sono numerosi potrebbero non funzionare nel modo previsto.
Per questo, la conoscenza dei propri livelli di glicazione è parte basilare della prevenzione dell’infezione e parte fondamentale della riduzione delle complicanze. Una persona con bassi livelli di glicazione, che pratichi attività sportiva e che abbia a disposizione le sostanze nutritive che supportano il sistema immunitario e il metabolismo, ha statisticamente una possibilità grandemente minore di ammalarsi e di subire complicanze gravi, grazie a un processo di consapevolezza alimentare che aiuta ogni individuo in modo scientificamente personalizzato.
Vincenzo Petraglia
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