Wise Society : Il foraging è la nostra alimurgia: cos’è e come si fa

Il foraging è la nostra alimurgia: cos’è e come si fa

di Lucia Fino
17 Aprile 2023

Dal bosco e dai prati frutti, funghi, fiori e corteccia per mangiare in modo diverso, sano e semplice. Se praticata correttamente, poi, questa pratica sostiene la biodiversità e valorizza il territorio

Nutrirsi di bacche, erbe spontanee, piccoli frutti, foglie e perfino dell’interno della corteccia degli alberi. Il foraging è tutto questo. Uno stile alimentare che negli ultimi anni si è affermato sempre di più, sospinto anche da qualche ristorante stellato, ma che al di là di qualche risvolto “modaiolo” è molto più che una semplice tendenza. Cercare e utilizzare erbe spontanee e cibo selvatico, infatti, fa bene a noi e all’ambiente e, se praticato con rispetto, è un modo per promuovere sostenibilità e biodiversità. Da scoprire anche per capire che ci è molto più familiare di quello che sembra a prima vista.

Foraging

Foto Shutterstock

Cos’è il foraging?

Si è cominciato a parlare di foraging quando, qualche anno fa è esploso il successo del Noma di Copenhagen e della sua New Nordic Cuisine, che recuperava ingredienti antichi della cucina scandinava per riproporli in modo innovativo. Questo però non deve far pensare a qualcosa di stravagante (come la cucina molecolare per intenderci).

Al contrario il significato di foraging è quanto di più semplice si possa immaginare: raccogliere, soprattutto nei boschi ma anche nei campi non coltivati, bacche, fiori, licheni, funghi per arrivare alle foglie e alla corteccia degli alberi. Insomma trovare quanto di commestibile la natura ci offre allo stato selvatico, spingendosi un po’ più in là dei frutti di bosco e dei “fiorellini” decorativi che fanno bella mostra sui piatti chic.  Già, perché quella che utilizza il foraging è spesso una cucina rustica, saporita e dal gusto intenso che si presta sia a ricette da chef sofisticati sia ai piatti che possiamo portare in tavola ogni giorno. 

In ogni caso si tratta di una cucina che fa bene perché utilizza e valorizza ingredienti con moltissime sostanze nutritive, fra cui alcune vitamine poco rappresentate negli ortaggi “domestici”, e perché è rigorosamente di stagione. Il foraging, infatti, segue naturalmente il ritmo del caldo e del freddo e non è mai uguale in autunno e primavera.

Alimurgia e il cibo spontaneo

Le radici del foraging in realtà non sono così esotiche. Il foraging infatti non è nient’altro se non la nostra antica “alimurgia” (ovvero l’alimentazione di emergenza o di urgenza come il nome suggerisce) riproposta in chiave moderna. Di alimurgia si parla infatti già dal 1700.

È il cibo “povero”, quello che i nonni cercavano da soli nei boschi e nei prati nei periodi di carestia o semplicemente perché alcune verdure e cereali, come il grano, erano riservati alle classi ricche. Molto diffusa fino all’800 l’alimurgia (e con lei quindi il foraging) è stata riscoperta dei ricercatori moderni perché le piante selvatiche, fiori, erbe e bacche in particolare, sono ricche di fitocomplessi vegetali benefici. Quelli che la pianta usa per crescere, difendersi dalle aggressioni esterne e attrarre gli insetti impollinatori attraverso gli aromi e il colore e il gusto dei suoi frutti.

Bacche raccolte col foraging

Foto di Beth Jnr / Unsplash

Il foraging è salutare: scopriamone i benefici

Fiori commestibili, foglie e fusti, proprio grazie agli antiossidanti che contengono, hanno un’azione antinfiammatoria sull’organismo, proteggono il sistema cardiovascolare, rivelandosi veri “amici” del cuore, e riducono anche lo stress ossidativo. Sono diuretici (pensiamo al tarassaco, pianta disintossicante per eccellenza) e aiutano a riequilibrare i livelli di colesterolo nel sangue. Raccogliere erbe spontanee e cibo selvatico in mezzo alla natura, poi, è un vero e proprio toccasana. Si tratta di un vero e proprio forest bathing (bagno di natura) con uno scopo che unisce quindi l’utile al dilettevole.

Donna che fa foraging

Foto Shutterstock

Un aiuto alla biodiversità

Il foraging fa bene anche all’ambiente ovviamente se praticato con i giusti criteri. È infatti un modo per valorizzare la biodiversità di un territorio, facendo continuare a vivere piante locali spesso dimenticate in nome di una coltivazione “scientifica” e intensiva che ha privilegiato le specie più forti e redditizie e penalizzato quelle spontanee. È anche un modo per tramandare e preservare le tradizioni locali: non a caso le erbe spontanee, dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, sono protagoniste di ricette locali, molto diverse fra loro. Assaggiarle è ritrovare sapori km 0, non omologati.

Il foraging viene inoltre studiato soprattutto dagli etnobotanici e dagli esperti di fauna e flora: realtà come il Wood*ing di Valeria Mosca, in Lombardia, hanno collaborato con gli enti regionali per i servizi all’agricoltura e con le università. Conoscere le piante selvatiche contribuisce a difendere l’habitat ancora non urbanizzato, quello che negli anni si sta riducendo sempre più ed è messo in pericolo dall’antropizzazione. La deforestazione infatti è un problema anche italiano.

Fare foraging rispettando l’ambiente

Il foraging per essere davero eco- friendly e sostenibile deve rispettare alcune regole. Eccole.

  1. Cercare piante e fiori in zone non inquinate, mai lungo le strade e nei campi vicini a fabbriche e centri urbani.
  2. Rispettare le regole del posto, non entrare in riserve e zone protette.
  3. Recidere solo la parte superiore della pianta, senza strappare le radici.
  4. Raccogliere la corteccia soltanto da alberi abbattuti e non rovinare quella degli alberi vivi staccando funghi e licheni.
  5. Muoversi con attenzione senza spaventare gli animali o danneggiare il terreno.
  6. Raccogliere solo quello che si può utilizzare: no allo spreco.

Foraging in cucina

Il foraging si usa per ricette dal gusto forte, che spesso sono quelle delle nonne. Qualche esempio?

  • La portulaca, una pianta infestante dai fiori bellissimi, nelle sue varietà commestibili si può usare cruda o cotta al posto degli spinaci.
  • Il luppolo, cotto, è una farcitura per deliziose frittate.
    Il getto di rovo, nella parte senza spine, si può consumare, sempre cotto, al posto delle più consuete verdure e così la cicoria selvatica e il crescione.
  • Dalla parte interna di alberi come l’abete rosso e bianco (già abbattuti, non vivi) e dai licheni si ricava una farina particolare che si può usare al posto di quella di frumento in alcuni impasti.
  • Dalle foglie del fico selvatico si ricava un’originale bevanda.
  • Le ortiche essiccate si possono usare per polpette di formaggi fresco e per involtini di carne bianca.
  • I piccoli frutti di bosco sono ideali in gustosi risotti.
  • La pizza bianca diventa più buona con funghi freschi selvatici (da far controllare sempre in un centro micologico).

Il metodo più utile per conservare i vegetali selvatici è quello, tutto naturale, della fermentazione sotto sale. Le ricette del foraging possono essere semplicissime ma per chi si vuole mettere alla prova ci sono anche le app da cui trarre spunto come Vild Mad dello chef del Noma René Redzepi e moltissimi libri.

Risotto con erbe spontanee

Foto di Julien Pianetti / Unsplash

Corsi di foraging in Italia

Il foraging si impara “sul campo” a contatto con gli esperti che aiutano a distinguere le “erbe buone da mangiare” e a sceglierle con cura, sicurezza e attenzione nei diversi periodi dell’anno. Ecco qualche corso che si può frequentare da Nord a Sud.

Fra i primi e sempre molto ben organizzati i corsi di Valeria Mosca e del suo Wood*ing. A Roma ci sono quelli della Scuola del Verde in collaborazione con esperti di botanica; Organizza corsi anche la Walden school of Nature mentre in Toscana ci sono i corsi di GranoSalis. Nel Canavese in Piemonte, infine, segnaliamo i corsi di Erratica e del ristorante Gardenia di Caluso.

Foraging: i ristoranti da provare

Sono molti oggi in Italia i ristoranti che usano il foraging per dar vita a ricette particolari e di sicuro impatto. Ecco una selezione di luoghi da provare lungo tutta la penisola.

  1. Retrobottega, via della Stelletta 4, Roma, chef Giuseppe lo Giudice e Alessandro Miocchi.
  2. El molin, piazza Cesare Battisti 11, Cavalese (Trento), chef Alessandro Gilmozzi.
  3. l chimpl da tamion del gran mugon, strada de Tamion 3, Vigo di Fassa (Trento) con lo chef Stefano Ghetta.
  4. Bros’, via degli Acaya 2, Lecce con la sua chef Isabella Potì.
  5. Due Camini presso Borgo Egnazia, Savelletri (BR) con il celebre chef Domingo Schingaro.
  6. Molo Sant’Erasmo, Caletta Sant’Erasmo, Palermo.
  7. Hyle, Località Torre Garga, San Giovanni in Fiore (Cosenza) con lo chef Antonio Biafora.
  8. Al Becco della Civetta, in due location molto belle in Basilicata: Castelmezzano (Potenza), Vico I Maglietta 7, nel cuore delle Dolomiti Lucane, e Matera, via Bruno Buozzi 19; entrambe seguite direttamente dalla chef Antonietta Santoro.

Lucia Fino

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