Il brand siciliano creato da quattro giovani soci punta tutto sul recupero della lavorazione antica, certificazione delle materie prime e rinuncia a coloranti e aromi artificiali
Lavorazione artigianale, rinuncia a coloranti e aromi artificiali e, soprattutto, certificazione delle materie prime. Sono gli ingredienti della ricetta sostenibile di Giardini d’Amore, brand di liquori di alta gamma nato a Roccalumera, in provincia di Messina, nel 2011 grazie all’intuito, all’amore per la tradizione e alla voglia di innovare di Emanuela Russo, Orazio De Francesco e Giuseppe Piccolo cui si è poi unita la coetanea Katia Consentino.
«La storia del progetto – spiegano i soci – nasce nel 2011 quando si presenta la possibilità di rilevare un vecchio opificio di un anziano artigiano locale, imparando da lui tecniche e ricette. La nostra idea è stata sin dall’inizio quella di reinterpretare con gusto moderno quelle ricette antiche apprese con totale dedizione e crescente passione, per regalare una nuova identità alla tradizione italiana dei liquori artigianali».
Dopo anni di ricerche, i quattro giovani siciliani decidono di puntare tutto sulla naturalità del prodotto e sulla qualità delle materie prime. E queste sono, in buona parte di produzione propria, come il finocchio selvatico, i fichi d’india e i limoni “Interdonato” di Messina (cultivar della costiera ionica messinese, ottenuta dall’innesto tra un cedro e un limone su una pianta di arancia amara) o comunque provenienti dalle migliori produzioni agricole siciliane (mandorla di Avola, pistacchio di Bronte) e calabresi (liquirizia) a eccezione della cannella, che non rientra tra le colture italiane e per la quale viene scelta la varietà Ceylon, originaria dello Sri Lanka. Rinunciando a coloranti, addensanti e aromi artificiali e utilizzando, appunto, materie prime acquistate esclusivamente da aziende agricole selezionate, la società ha stabilito così un vero e proprio codice di responsabilità finalizzato a garantire l’eccellenza e la naturalità del prodotto.
«La selezione – raccontano – e la lavorazione della materia prima è caratterizzata da gesti lenti che ricordano quelli degli antichi contadini. Lo stesso succede per i vari processi di lavorazione che avvengono a mano entro pochissime ore dalla raccolta nel nostro
piccolo laboratorio artigianale». Ogni liquore ha una sua specifica lavorazione, a freddo o a caldo, per macerazione o infusione. I limoni Interdonato, ad esempio, vengono sbucciati a mano per mantenere inalterata la molecola degli oli essenziali, presenti nella scorza, che rischierebbe altrimenti di essere spezzata con l’utilizzo di mezzi meccanici. La scorza viene quindi messa in macerazione in alcool puro. Infine vengono avviate le fasi di infusione con acqua e zucchero di canna e filtraggio.«Per la dolcificazione – spiegano – utilizziamo esclusivamente zucchero di canna del più grezzo in commercio, ingrediente che conferisce ai liquori tutto il suo straordinario aroma senza coprire la fragranza della materia prima ma anzi esaltandone le caratteristiche».
Una cura certosina che non poteva che trovare il degno sigillo nelle piccole ed eleganti bottiglie da 20 o 50 ml, sigillate a mano e dal design nostalgico.