Dai sintomi più lievi al disturbo da stress post traumatico: la lunga quarantena imposta ha incremento le richieste di consulenza psicologica. Ma con quali effetti sull nostra mente?
Gli esperti sostenevano che, a fine quarantena, una volta passata l’emergenza Coronavirus, ci sarebbe stato un incremento dei disturbi mentali e delle richieste di consulenza psicologica. E l’ipotesi si è fatta quanto mai reale. Abbiamo già citato, in un precedente articolo, la cosiddetta sindrome della capanna, ovvero la difficoltà che molti provano nel re-immettersi nel mondo reale. In realtà le sintomatologie che si stanno sviluppando sono decisamente più ampie.
Le sintomatologie correlate agli effetti post-traumatici da Coronavirus possono essere distinte in due diversi gruppi in base alla gravità del disagio avvertito. Ai sintomi più lievi, infatti, si affiancano anche disturbi più marcati. Scopriamo di più.
Effetti post traumatici da Coronavirus: cosa sono e quali sono i sintomi?
Alla situazione meno grave fanno parte tutti quei sintomi che rimandano alla difficoltà di doversi ri-adattare (dopo che un primo cambiamento era stato già obbligatorio meno di 3 mesi fa) e che riportano sostanzialmente a somatizzazioni quali mal di testa o di stomaco, difficoltà digestive o legate al sonno, tachicardia, o anche disregolazione alimentare e assunzione di alcolici.
È chiaro che, seppur in forma lieve e non patologica, questo tipo di disturbi può – e deve – essere identificato come un campanello d’allarme attraverso il quale la nostra mente ci comunica la fatica che sta facendo a trovare un nuovo e più funzionale equilibrio. È necessario pertanto diventarne consapevoli e cercare di mettere in campo delle strategie che aiutino ad “ammortizzare” i contraccolpi.
Strategie per reagire ai disturbi lievi post quarantena
Per superare il disturbo generato da Coronavirus e quarantena si potrebbero istituire dei “rituali” che scandiscano i nuovi ritmi della giornata creando nel contempo abitudini piacevoli. Qui di seguito qualche utile esempio:
- Si può accompagnare il rientro a casa dal lavoro con un bagno caldo, o un quarto d’ora di meditazione, chiedendo ai familiari la loro collaborazione al fine di preservare questo momento da dedicare a se stessi.
- Riuscendo ad ascoltarsi un po’ più in profondità e a mettere a fuoco gli aspetti che in particolare creano disagio, si potrebbe chiedere l’aiuto degli altri soprattutto se, ad esempio, uscire produce una sensazione di spaesamento e vertigini; si può quindi chiedere di essere accompagnati, per non dover rinunciare ad una passeggiata, ma muovendosi in sicurezza finché non si sia riacquista la necessaria fiducia in se stessi.
Coronavirus e disturbo da stress post-traumatico
Altro discorso va invece fatto per quel gruppo di persone che in queste settimane hanno sviluppato un vero e proprio PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress), magari perché toccate molto da vicino dal virus.
È il caso, ad esempio, degli operatori sanitari, che hanno speso infinite energie nel far fronte all’emergenza (spesso con turni di lavoro disumani); o come chi ha subito lutti importanti (e magari plurimi, rispetto ai quali non si ha potuto avere neanche il conforto di un ultimo saluto, né dell’abbraccio consolatorio degli amici); o chi si è ammalato e ha dovuto sottoporsi a lunghe settimane di ricovero, magari anche in terapia intensiva, col pensiero di non farcela e senza la possibilità di avere accanto i propri cari neanche un’ora al giorno.
Basta pensare a questi (e molti altri) scenari per comprendere con quali fatiche emotive in tanti si siano trovati a fare i conti.
Cosa succede alla mente dopo un trauma o un forte stress?
Ingenuamente verrebbe da pensare che oggi, passato il peggio, ci si debba sentire più rilassati, ma la nostra psiche non funziona così. Capita spesso, invece, e in maniera del tutto utile e funzionale, che nel momento dell’emergenza il nostro cervello attivi risorse che ci permettano di essere in grado di fronteggiare le necessità, anche le peggiori, per poi “crollare” nel momento in cui si sente che le difese possono essere abbassate.
Inoltre, quando viviamo un evento traumatico, qualunque esso sia (e una pandemia è un evento traumatico anche per chi non entra in contatto direttamente col virus…), nel nostro cervello si produce una sorta di cristallizzazione tra il ricordo dell’evento stesso, i pensieri e le emozioni vissuti in quel momento.
Se non si interviene a “sciogliere” questo nodo succede che ogni volta che ci troviamo in una situazione per qualche verso affine a quella in cui si è prodotto il trauma e che pertanto ce lo ricorda, si riattiveranno istantaneamente anche le sensazioni e le emozioni connesse, come se fossimo ancora in quel momento di pericolo.
Può accadere quindi che, anche a mesi di distanza, un momento di affanno – perché magari si sono fatti degli scalini – vada inconsciamente a far riemergere il vissuto delle difficoltà respiratorie durante la malattia (propria o a cui si ha assistito) e che pertanto ciò induca lo stesso vissuto emotivo di paura, dolore, sgomento.
Sono i meccanismi alla base anche degli attacchi di panico, che possono perdurare nel tempo, seppur a distanza dall’evento scatenante, qualora non si lavori da un punto di vista psicologico per rielaborare il trauma.
Il consiglio che si può dare pertanto nel caso di comparsa di sintomi “importanti”, è quindi quello di affrontarli all’interno di un percorso psicoterapeutico mirato, senza aspettare illusoriamente che passino parallelamente al trascorrere del tempo.
Marzia S. Terragni, psicologa, psicoterapeuta familiare, esperta in Mindfulness e nel metodo EMDR per la risoluzione dei traumi
Instagram: psicoterapeutamarzia