Col fondatore e presidente dell'Istituto "Mario Negri", eccellenza mondiale nella ricerca farmacologica, per parlare di strategia anti-Covid e "guerra" alle multinazionali farmaceutiche, ma anche di prevenzione, per vivere più a lungo e in salute
Scienziato di fama internazionale, fondatore nel 1961 dell’Istituto Mario Negri, eccellenza mondiale nel campo della ricerca farmacologica, Silvio Garattini, 92 anni, mente lucidissima, idee ed energia da vendere, ha appena pubblicato il libro Invecchiare bene (Edizioni Lswr), un’interessante guida pratica su come rallentare i processi d’invecchiamento, tema quanto mai attuale nel decennio, il 2021-2030, dedicato dall’Oms all’healthy ageing, cui non a caso Wise Society ha dedicato di recente il Longevity & Anti-Aging World Forum.
Con lui abbiamo parlato di tante cose, anche della necessità di liberalizzare quanto prima i brevetti dei vaccini, materia di scontro fra la società civile e le grandi multinazionali farmaceutiche (proprio in tal senso si stanno moltiplicando le iniziative anche da parti di molti volti noti), affinché se ne possano produrre in maniera molto più massiva, rendendo così più rapide le vaccinazioni, strada principe per limitare la diffusione delle varianti del virus e uscire quindi prima da questa terribile pandemia.
Ha appena pubblicato il libro Invecchiare bene. Perché l’healthy ageing è una delle sfide più importanti del futuro?
Siamo un Paese in cui l’attesa di vita alla nascita è fra le migliori del mondo, ma la durata di vita “sana” ci colloca a bassi livelli nella classifica mondiale. La popolazione invecchia ed è nell’interesse generale che vi siano meno malattie, nell’interesse individuale ma anche per la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.
Volendoli riassumere, quali sono i pilastri dell’invecchiare bene e in salute?
Sono le cose che tutti conosciamo: eliminare fumo, alcol e droghe; nonché sedentarietà, aumento di peso e obesità; migliorare l’alimentazione in termini di varietà e di moderazione; esercitare attività fisica e intellettuale, vita sociale e mantenere una giusta durata di sonno.
Di alimentazione e attività fisica, forse si parla di più rispetto ad altri ambiti altrettanto importanti, come per esempio la vita sociale, l’attività intellettuale e il riposo. Cosa possiamo dire al riguardo?
Durante il periodo in cui siamo attivi, è importante sviluppare relazioni sociali ed avere interessi che possono durare anche nell’epoca pensionistica. Tutto ciò, insieme agli altri stili di vita, serve per evitare la diminuzione delle nostre attività cognitive. Per quanto riguarda il sonno, esso non serve solo per il riposo, ma serve anche per aumentare l’eliminazione delle scorie cerebrali che si accumulano durante la giornata.
L’attività fisica può avere conseguenze positive, ma anche negative. Qual è il giusto equilibrio fra sedentarietà e attività fisica troppo intensa?
L’attività fisica è importante per le sue conseguenze sul cervello, perché un miglioramento della circolazione determina una maggiore disponibilità di ossigeno a livello capillare per mantenere i neuroni in buone condizioni. È chiaro che un eccesso di attività fisica, soprattutto quella da contatto, può avere conseguenze negative.
Nel libro parla anche dell’importanza della postura, altra tematica spesso sottovalutata.
Gli atteggiamenti fisici hanno un grande significato perché comportano variazioni di peso sul nostro sistema scheletrico. Ad esempio, mantenere la testa in una giusta posizione, vuol dire ridurre al minimo il carico sulla colonna vertebrale. Gli spostamenti della testa determinano sovraccarichi che con il tempo si traducono nel frequente cosiddetto “mal di schiena”.
Cosa possiamo fare in generale per rallentare il declino cognitivo?
Dobbiamo aumentare la nostra riserva cognitiva attraverso tutte le modalità – lettura, input visivi, giochi di società – e quant’altro aiuti ad avere un alto livello da cui parte il declino cognitivo inesorabile con il passare degli anni.
Riguardo l’alimentazione, quali sono i cibi della longevità, quelli che assolutamente non devono mancare sulle nostre tavole?
Non esistono “cibi della longevità”. Abbiamo bisogno di una varietà non solo per ottenere macro e micro componenti importanti per il nostro organismo, ma anche per non accumulare sostanze inquinanti che sono presenti nei vari cibi.
La dieta mediterranea è un buon modello per la sua ricchezza in vegetali, ma non dimentichiamo la moderazione.
Capitolo integratori. Quali sono quelli che aiutano davvero in ottica healthy ageing? È tutto oro quello che luccica o ci sono anche dei rischi?
Gli integratori alimentari fanno bene a chi li vende!
Cosa pensa, per esempio, degli Omega 3?
Devono far parte dell’alimentazione, basta ricorrere ai cosiddetti pesci azzurri.
Il nostro Paese detiene insieme col Giappone l’aspettativa di vita più lunga al mondo, però, come diceva poco fa, non sempre si invecchia in maniera “sana”. Perché?
Perché la prevenzione non fa parte della nostra cultura. Il Servizio sanitario nazionale è molto attento alla cura ma ha dimenticato con il tempo che la prevenzione è fondamentale per ridurre le malattie croniche, come pure per ridurre la patologia tumorale.
Si dovrebbe partire con la prevenzione quando si è molto giovani, addirittura bambini…
Manca completamente un insegnamento che riguardi la salute che dovrebbe essere presente a tutti i livelli scolastici partendo dalla scuola materna.
Com’è cambiato il mondo della ricerca da quando l’Istituto Mario Negri ha cominciato a muovere i suoi primi passi…
I progressi delle conoscenze in questi ultimi sessant’anni sono eccezionali e non hanno paragoni con i periodi precedenti, basti pensare agli straordinari progressi delle conoscenze di biologia molecolare e alla presenza di nuove terapie molto efficaci.
Proprio in questo periodo di pandemia abbiamo assistito a un esempio straordinario di eccellenza e rapidità della ricerca con vaccini con un’efficacia superiore al 90 per cento creati in poco più di un anno…
I vaccini sono certamente un risultato della ricerca, ma soprattutto tutta quella ricerca sostenuta da fondi pubblici che ha rappresentato la base di conoscenza su cui sviluppare la ricerca applicata. In Italia la ricerca è purtroppo considerata ancora oggi una spesa anziché un investimento.
In tutta onestà cosa pensa di questo virus? È verosimile, come molti sostengono, nonostante le smentite ufficiali, che abbia avuto origine per mano d’uomo? A quanto pare, d’altronde, ancora non si è trovato con certezza l’animale che avrebbe fatto da ponte fra pipistrello e uomo…
Non abbiamo informazioni certe e, quindi, è inutile fare gli indovini. Teniamo tuttavia presente che la maggior parte dei virus parte attraverso gli animali e che quindi un eccesso di contatto fra gli animali e fra gli animali e l’uomo rappresenta un fattore di rischio.
Si parla, giustamente, vista la violenza della pandemia in corso, del Sars-CoV-2, ma siamo circondati da altri virus, alcuni dei quali stanno facendo registrare segnali poco rassicuranti. Pensiamo all’aviaria e alla suina, che sembra stiano riprendendo vigore…
La globalizzazione è certamente un fattore molto importante, non possiamo ignorare che i virus e i batteri viaggiano con gli animali e con noi.
Una parte significativa del futuro del genere umano si giocherà proprio sulla lotta a virus ed epidemie?
Non dimentichiamo che non esistono solo i virus ma anche i batteri. Ci dovremmo molto preoccupare per il fatto che molti batteri sono resistenti agli antibiotici. Muoiono ogni anno circa diecimila persone in Italia per infezioni che non sono sensibili agli antibiotici disponibili.
Anche in questo ambito un ruolo fondamentale dovrebbe giocarlo la prevenzione, magari tramite un modello produttivo e di sviluppo più sostenibile che, per esempio, faccia a meno degli allevamenti intensivi.
Certamente gli allevamenti intensivi richiedono l’impiego di molti farmaci, che poi ritroviamo, seppur in quantità minime, anche nel nostro cibo quotidiano. Inoltre sono proprio gli allevamenti intensivi con l’impiego di grandi quantità di antibiotici quelli che contribuiscono a generare l’antibiotico-resistenza.
Ma secondo lei la pandemia ci sta insegnando qualcosa o continuiamo ad affrontare problemi nuovi con metodi vecchi?
Questa pandemia ci ha trovato completamente privi di un protocollo per affrontarla. È quindi importante riflettere e imparare dagli errori fatti.
Secondo lei di quanto tempo avremo presumibilmente bisogno per uscire dalla pandemia?
È difficile rispondere, ma è probabile che ci sia bisogno di alcuni anni, almeno fin quando non avremo vaccinato tutto il mondo.
Il problema è che si procede con una certa lentezza nelle vaccinazioni…
Le vaccinazioni sono lente, anche se speriamo che ci sia una bella accelerata, perché non abbiamo fatto le prenotazioni nei giusti tempi lo scorso anno. Per il futuro dovremmo renderci autonomi, cioè capaci di produrre i vaccini di cui abbiamo bisogno, non solo oggi, ma anche per il futuro.
Perché le varianti sono ancora più pericolose e quale delle varianti la preoccupa di più?
Finché il virus può circolare, è soggetto a mutazioni. Ne sono già avvenute molte migliaia e per questa ragione si possono sviluppare delle varianti che sono più pericolose, cioè più infettive o più virulente. Una delle varianti più pericolose è la variante della Tanzania che presenta ben 34 mutazioni di cui 13 sulla proteina S.
Possibile che, a fronte di così tante persone che sono morte e continuano a morire, non si riesca a liberalizzare i brevetti facendo fronte comune a livello politico affinché le aziende farmaceutiche li rendano un bene pubblico e condiviso? Qualcosa di simile lo abbiamo avuto negli anni ’90 con l’Hiv…
Purtroppo le multinazionali farmaceutiche non hanno capito che rinunciare al loro brevetto avrebbe migliorato la loro immagine. In realtà sono rimaste insensibili alla morte di tre milioni di persone.
Come se ne esce, quale sarebbe secondo lei la soluzione più percorribile?
Occorre la volontà politica di attuare le procedure necessarie per ottenere licenze obbligatorie, cioè una interruzione temporanea del brevetto almeno per tutto il periodo in cui è presente il Covid-19.
Tutta questa situazione contribuisce ad acuire un altro problema: l’egoismo nazionalista e l’esclusione dei paesi poveri da un efficace piano vaccinale
Occuparci dei paesi a basso reddito non è un atto di beneficenza, è nel nostro interesse, perché rischiamo di importare nelle nazioni ricche le varianti che si sviluppano nei paesi poveri, e per questa ragione avremo bisogno di nuovi vaccini.
A questo proposito bisognerebbe investire forse di più su un vaccino “non per ricchi”, un vaccino cioè che sia svincolato dalla catena del freddo…
In effetti è impensabile utilizzare i vaccini Moderna e Pfizer per una loro distribuzione nei paesi in cui domina il caldo, perché è impossibile realizzare l’indispensabile catena del freddo di cui necessitano. Sono più adatti i vaccini che possono essere conservati a temperatura ambiente o in un semplice frigorifero ed è anche verso di questi che si deve indirizzare lo sforzo collettivo della ricerca.
Di cosa, secondo lei ci sarebbe bisogno per una società più saggia, wise appunto?
Una società saggia deve pensare che la differenza tra poveri e ricchi a livello individuale e a livello di collettività non giova per il raggiungimento di quella salute globale di cui abbiamo bisogno.
Vincenzo Petraglia