Ecco come gli allevamenti intensivi ci avvelenano. Indaghiamo e approfondiamo le cause che legano l'industria zootecnica alle emissioni inquinanti (e non solo)
Il legame tra allevamenti intensivi e inquinamento non è una novità. Il particolare momento storico che stiamo vivendo, tuttavia, ha portato mass media e opinione pubblica a concentrarsi maggiormente sull’argomento, snocciolando dati e ricerche. Dati alla mano, la correlazione tra l’allevamento degli animali e l’inquinamento non è comunque così immediata e oggi sono in molti a chiedersi in che modo allevare mucche, polli e maiali possa avere una conseguenza diretta su quello che respiriamo (e non solo). Facciamo quindi un passo indietro, procediamo con ordine e facciamo chiarezza su un problema che incide in maniera diretta sulla salute dell’uomo e del pianeta intero.
Cosa sono gli allevamenti intensivi?
Gli allevamenti intensivi sono industrie zootecniche che si occupano di far crescere e riprodurre animali a scopo alimentare. Un allevamento intensivo (chiamato anche CAFO – concentrated animal feeding operation) altro non è che l’estrema meccanizzazione e industrializzazione dei processi di allevamento più classici e tradizionali. La finalità è quella di abbassare i costi di produzione di un bene sempre più richiesto: la carne.
Abbattere i costi di produzione e gestione, tuttavia, ha un’importante e drammatica conseguenza: il confinamento degli animali in spazi ristretti e insufficienti alle necessità dei capi di bestiame.
Le industrie zootecniche hanno poco a che vedere con l’immagine che ognuno di noi ha della fattoria classica: gli allevamenti intensivi sono infatti progettati per ottenere il massimo rendimento al minor costo possibile. Spazi sovraffollati, luce artificiale (o assenza di illuminazione), gabbie, possibilità minima (se non inesistente) di movimento e abuso di medicinali e antibiotici (per contrastare l’insorgenza di continue patologie), sono le caratteristiche principali di questa contemporanea modalità di allevamento degli animali.
Le immagini, tuttavia, sono sicuramente più descrittive delle parole: prima di addentrarci sui motivi per i quali gli allevamenti intensivi inquinano (e tralasciando l’aspetto altrettanto importante del maltrattamento animale) ecco qualche video girato all’interno di un CAFO, cosicché possiate farvi un’idea autonoma di un modus operandi ben radicato anche in Italia.
Perché gli allevamenti intensivi inquinano? L’impatto ambientale dei CAFO
Scoperta la vera natura degli allevamenti intensivi, passiamo all’argomento principale dell’articolo: l’inquinamento. Come detto all’inizio, non è semplice capire ciò che lega un allevamento intensivo alla produzione di inquinanti. Numerose, tuttavia, sono le ricerche a conferma della tesi.
Perché il problema degli allevamenti intensivi non risiede solo nel metodo di allevamento, ma anche nella quantità di animali allevati: dagli anni ’70 a oggi la produzione mondiale di carne è triplicata, così come il numero dei capi allevati. Secondo le ultime stime contenute nel rapporto World Livestock 2011: Lvestock in food security pubblicato dalla FAO la tendenza è in crescita e la richiesta di carne potrebbe aumentare del 73% entro il 2050.
Sono fonte di gas serra
Gli allevamenti intensivi, complessivamente, ospitano milioni di capi di bestiame. Che siano polli, maiali, mucche o oche, tutti questi animali producono deiezioni che, in gergo, vengono chiamate “liquami“. Dai processi digestivi degli animali si generano metano, ammoniaca e non solo. Ed è proprio attravero l’accumulo di liquami che, per esempio, l’ammoniaca liberata nell’aria si combina con le altre componenti inquinanti dando vita alle tristementi note polveri sottili che in Italia mettono costantemente in ginocchio la pianura Padana.
Una ricerca condotta da ISPRA in collaborazione con l’Unità Investigativa di Greenpeace ha messo in luce che gli allevamenti intensivi, solo in Italia, sono responsabili di oltre il 75% dell’ammoniaca immessa nell’ambiente, andando quindi a peggiorare di molto l’inquinamento della nostra penisola e la presenza di particolato nell’aria.
Scorrendo il sopracitato report di Greenpeace, inoltre, scopriamo che gli allevamenti intensivi si guadagnano il secondo posto sul podio delle attività più inquinanti del Belpaese. I veicoli a motore – che pur rappresentano una fetta importante dell’inquinamento nazionale – contribuiscono meno degli allevamenti a contaminare l’aria che respiriamo. Il trend, purtroppo, è in ascesa, come dimostra la tabella qui sotto.
Consumano e inquinano l’acqua
Le deiezioni degli animali allevati inquinano anche l’acqua: i liquami, che sono anche ricchi di fosforo, azoto, potassio, ormoni e antibiotici (di cui è ricca la dieta degli animali allevati nei CAFO) vengono – spesso in modo illecito – sparsi nel suolo andando poi di fatto a contaminare le acque superficiali e quelle di falda.
L’inquinamento idrico contribuisce in modo considerevole al fenomeno di eutrofizzazione, che genera una crescita anomala di organismi vegetali nelle acque a causa della presenza di dosi massicce di azoto, fosforo e zolfo, diminuendo di fatto l’ossigenazione dell’acqua e generando, di contro, l’aumento della morte di molte specie animali di acqua dolce.
Al problema della contaminazione dell’acqua, poi, si aggiunge anche quello dell’impronta idrica (quantità di acqua utilizzata in un qualsiasi processo di produzione) degli allevamenti intensivi: l’allevamento di bestiame necessità di enormi quantità di acqua, l’oro blu del mondo. Secondo il documento diffuso da Waterfoodprint, per la produzione di un kg di manzo sarebbero necessari 15415 litri di acqua.
Consumano (e occupano) il suolo
Gli allevamenti intensivi consumano le risorse naturali, suolo compreso. La FAO afferma che “il settore dell’allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d’uso antropico delle terre“. La terra è infatti fondamentale per coltivare il mangime destinato a sfamare gli animali da macello, tanto che secondo l’International Livestock Research Institute (ILRI), l’industria zootecnica occupa – direttamente e indirettamente – il 30% delle terre non ricoperte dai ghiacci.
La sempre maggior richiesta di carne nell’ultimo decennio ha inoltre intensificato il fenomeno, contribuendo alla deforestazione. Secondo le ricerche svolte dalla FAO, solo in Amazzonia il 70% dei territori deforestati è stato trasformato in pascoli bovini, mentre restante 30% è occupato dalle terre coltivate per produrre il mangime destinato agli animali stessi.
Allevamenti intensivi in Italia
E se oggi sono principalmente sotto accusa gli allevamenti intensivi cinesi e statunitensi, in Italia molti si nascondono dietro la presunta qualità del made in Italy: è opinione diffusa, infatti, che sulla nostra penisola gli animali vengano allevati come un tempo. I fatti, tuttavia, ci suggeriscono il contrario: secondo i dati Istat aggiornati a dicembre 2019 nel nostro paese vengono allevati 40 milioni di polli, 8 milioni di suini, 7 milioni di ovini, 6 milioni di bovini e 1 milione di caprini.
L’ultima ricerca di Greenpeace sul legame tra allevamenti intensivi e inquinamento atmosferico, poi, non fa che confermare i dati sopra riportati.
L’emergenza Coronavirus ha portato alla luce il problema degli allevamenti intensivi, soprattutto alla luce del fatto che molte ricerche ipotizzano che l‘inquinamento possa aver contribuito al propagarsi del Covid-19. E l’arrivo della peste suina nel nostro paese fa eco. Mai come oggi, insomma, è necessario prendere dei provvedimenti. La scelta di ridurre l’inquinamento è nelle mani del consumatore finale che, scegliendo di mettere meno carne nel piatto, contribuirà a risanare il pianeta dall’inquinamento.
Informarsi sugli allevamenti intensivi: un po’ di risorse
I dati non sono tutto e degli allevamenti intensivi hanno parlato in molti. Per tutti coloro che vogliano informarsi di più sugli allevamenti intensivi, ecco qualche risorsa utile allo scopo.
- Cowspiracy – Il segreto della sostenibilità ambientale
Cowspiracy è un documentario del 2014 che oggi è possibile vedere in streaming su Netflix. Il film mette nero su bianco la responsabilità dell’industria zootecnica in relazione all’inquinamento del pianeta. sul pianeta. - “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”
Uno dei più famosi saggi di Melanie Joy, teorizzatrice del carnismo. Un libro che indaga l’ideologia del carnismo da molteplici punti di vista, nonché un modo pratico per scoprire che, in realtà, i nostri allevamenti intensivi non differiscono molto dai cosiddetti wet market che, in piena pandemia da Coronavirus, hanno scandalizzato la società occidentale. - “Se niente Importa. Perché mangiamo gli animali?”
In questo libro, il celebre scrittore Johnatan Safran Foer si interroga su cosa sia la carne: sfogliando le pagine del volume ci muoveremo con lui in un viaggio lungo tre anni, durante i quali l’autore ha scoperto l’orrore degli allevamenti intensivi americani.
Serena Fogli
FONTI
Dati Istat su consistenze degli allevament in Italia, aggiornamento a dicembre 2019
“Covid-19, esposizione al particolato e allevamenti intensivi” di Elisa Murgese, Unità Investigativa Greenpace Italia e ISPRA
Livestock and climate change: what if the key actors in climate change are… cows, pigs, and chickens? Goodland, R. ; Anhang, J.
World Livestock 2011, Livestock in food security, FAO
Livestock’s long shadow, environmental issues and options, FAO, 2006
A Global Assessment of the Water Footprint of Farm Animal Products, Mesfin M. Mekonnen and Arjen Y. Hoekstra, Ecosystems (2012) 15: 401–415 DOI: 10.1007/s10021-011-9517-8
Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States: A nationwide cross-sectional study, Xiao Wu MS, Rachel C. Nethery PhD, M. Benjamin Sabath MA, Danielle Braun PhD, Francesca Dominici PhD, Department of Biostatistics, Harvard T.H.