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Franco Aliberti: «Riciclo e provocazione nei miei piatti 100% mono ingrediente»

di Mariella Caruso
9 Luglio 2019

Lo chef salernitano ha intrapreso un percorso per la valorizzazione delle parti meno nobili dei prodotti. E ha messo in carta un dessert che invita a riflettere sulla plastica nei mari

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Franco Aliberti pratica la cucina ecosostenibile in un’ottica anti spreco, Foto: @francoalibertichef/Facebook

«Sono figlio di contadini, cresciuto fino ai miei 17 anni nella campagna salernitana. In casa mia non si gettava via nulla, tutto si riutilizzava e questo ha inciso sui miei comportamenti, sulla mia memoria gustativa e sul mio modo di intendere la cucina». A parlare è Franco Aliberti, da qualche mese chef del Tre Cristi, ristorante milanese del quale ha preso le redini dopo aver lasciato La Preséf, ristorante stellato all’interno dell’Azienda Agricola “La Fiorida”. In questa sua nuova casa Aliberti pratica la cucina ecosostenibile in un’ottica anti spreco.

Cosa intende per cucina ecosostenibile?

Col tempo ho scoperto che le parti meno considerate, ma non per questo meno nobili degli ingredienti, hanno un sapore più forte e il loro utilizzo mi permette di sperimentare e di intraprendere una strada gastronomica divertente, curiosa e utile.

Una strada che perseguiva anche in Valtellina. Perché ha deciso di trasferirsi?

Avevo bisogno di una piazza che recepisse più velocemente questi messaggi che porto avanti. Milano è la città aperta e ideale per parlare al mondo.

I piatti 100% del suo menu, in cui un ingrediente viene utilizzato completamente senza generare scarti, fanno parte di questi messaggi?

Sì, nelle mie esperienze lavorative, tra le quali quella al ristorante Vite di San Patrignano, ho sviluppato l’attitudine di non giudicare mai dall’apparenza, ma sentire con il cuore. Mi piacerebbe che questi piatti, che necessitano di lunghe e complicate lavorazioni, arrivassero prima al cuore e poi al cervello dei miei ospiti. Vorrei solleticare la loro curiosità con il recupero dei cosiddetti scarti attraverso il gusto e l’estetica. Sono convinto, infatti, che il bello debba essere parte integrante del riutilizzo.

Ci fa un esempio di questi piatti?

Il 100% Zucchina è una mezza penna rigata ottenuta dal gambo della pianta della zucchina, le sue foglie e crema di zucchine. Il 100% Pomodoro, invece pomodoro San Marzano cotto alla brace, dove il cuore si trasforma in crema e dalle bucce si ottiene un brodo profumato. C’è il Raviolo che prevede l’utilizzo completo di legumi: sfoglia leggera impastata con estratto di baccelli di fave e piselli, ripieno di fave e pecorino. E anche lattuga, di cui utilizziamo anche il torsolo per un risotto, e la patata di cui utilizziamo anche la buccia.

Quindi sono tutti ingredienti biologici?

Preferisco chiamarli naturali. Se si coltiva in biologico vicino a un campo intensivo basta una folata di vento per contaminare tutto, quindi preferisco dire che si tratta di prodotti naturali coltivati con grande sensibilità etica. Molti dei prodotti vegetali che utilizzo li coltivo io stesso in un campo di 120 metri quadri a Settimo Milanese, all’interno di Villa Airaghi. Questo mi permette anche di aumentare la sensibilità della brigata, che mi aiuta a curare il campo.

E gli altri prodotti?

Ci approvvigioniamo da piccoli coltivatori o associazioni che occupano ragazzi disagiati. Si tratta di agricoltori che commercializzano prodotti magari non belli ma buoni. La sensibilità riguarda anche tutti gli altri ingredienti: gli animali da cortile sono tutti da caccia e non da allevamento. Non utilizziamo prodotti ittici d’acqua salata. L’unica eccezione sono i lupini di mare di una cooperativa di 100 pescatori dell’Adriatico in attesa della certificazione Msc. La trota è di itticoltura sostenibile di montagna del Trentino. Le uova sono quelle di selva de La Gramola di Morbegno da galline libere di razzolare nel bosco e il burro d’alpeggio della Valtellina.

Anche il vostro dessert “No planet B” è un invito alla riflessione?

Il dolce con biscotto, crema bruciata al limone, ghiacciolo alla menta e cialde croccanti di menta, fragola e zafferano rappresenta una spiaggia invasa dalla plastica e invita a riflettere sulla plastica che ogni giorno finisce nel cibo che mangiamo. Un modo che vorrei potesse aiutare a prendere coscienza del problema, un invito a fare la propria parte. Per ognuno di questi dessert verranno donati 0,50 centesimi di euro all’Associazione MareVivo si occupa anche di preservare i mari dalla plastica.

Voi come fate la vostra parte con la plastica?

 Abbiamo eliminato bottigliette e bicchieri di plastica.

Quanto del suo pensiero è frutto dell’incontro con sua moglie, la scienziata ambientale Lisa Casali?

Già prima di Expo, in tempi non sospetti, avevo aperto il ristorante Evviva in cui ponevo l’attenzione sullo scarto. L’incontro con Lisa ha allargato scientificamente i miei orizzonti. Lei è una che può fare la differenza perché lei non si limita a parlare ma conosce i dati e dà anche l’esempio.

Lei coltiva anche la passione per il design. Come nasce?

Sono sempre stato un tuttofare. Io autoproduco e cerco di mettere a posto prima di chiamare qualcuno. Sin da piccolo ho coltivato la passione per i presepi e per tutto ciò che è fatto con le mani. Questa passione mi aiuta a rendere unico ciò che faccio: le decorazioni a forma di verdura del locale le ho realizzate da me con polvere di scarto della lavorazione del marmo. Anche in questo caso è design di riciclo.

È riutilizzabile all’infinito anche il materiale con cui Laura Zeni ha realizzato il piatto che riprende il suo profilo.

Sono 20 pezzi unici in KRION®, un materiale caldo al tatto e simile alla pietra naturale. Composto da due terzi di minerali naturali e da una piccola percentuale di resine ad alta resistenza, 100% biologico e interamente riciclabile, un materiale che può essere rilavorato e riutilizzato sostanzialmente all’infinito. Il piatto non vuole essere autocelebrativo, ma uno spunto a mangiare facendo sempre più attenzione a come il nostro cervello recepisce l’assunzione del cibo.

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“In casa mia – spiega Franco Aliberti – non si gettava via nulla, tutto si riutilizzava e questo ha inciso sui miei comportamenti, sulla mia memoria gustativa e sul mio modo di intendere la cucina”, foto: Ufficio stampa Tre Cristi

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