Wise Society : Cosa ci lascia in eredità Expo Milano 2015?

Cosa ci lascia in eredità Expo Milano 2015?

di Michele Novaga
2 Novembre 2015

Cosa avrebbe dovuto essere la grande esposizione e in che cosa ha fallito secondo Slow Food e Expo dei Popoli

Sono passate poche ore dalla cerimonia conclusiva di Expo 2015 che dopo 180 giorni ha chiuso i battenti con un record di partecipazione e di affluenza. Ma se da un lato i dati su presenze, visitatori, aumento del Pil e indotto snocciolate dagli organizzatori sono andate addirittura al di sopra delle aspettative, dubbi e incertezze permangono per quanto riguarda l’eredità che la grande esposizione universale lascia dietro di sé. E sulle risposte sul tema dell’alimentazione.

Alcune associazioni lamentano uno scarso sviluppo del tema ispiratore “Nutrire il pianeta, energia per la vita” e di quelli sulla nutrizione in generale. «Se l’eredità di Expo potrà portare dei risultati è troppo presto per dirlo. Ma noi avremmo premuto di più l’acceleratore su una maggiore equità e sostenibilità sociale dei modelli alimentari. Il pezzo che noi abbiamo svolto ci sentiamo di dire che è stato efficace: abbiamo incontrato tante persone nuove a cui abbiamo dato proposte di soluzione per quanto riguarda la nutrizione e non siamo stati fortunatamente l’unico soggetto. Purtroppo questo lavoro non ha riguardato la maggioranza delle attività culturali ed educative che si sono svolte all’interno di Expo», commenta a wisesociety.it Nino Pascale, presidente di Slow Food presente a Expo con un proprio padiglione.

Critica anche la posizione di Expo dei Popoli, forum della società civile e dei movimenti contadini che raggruppa una cinquantina fra organizzazioni non governative e associazioni. «Expo è stato un catalizzatore, un fenomeno di attrazione di massa. E tutti i pezzi della società civile sono stati quasi costretti a prendervi parte, spesso anche contro la propria volontà. Ma la percezione che abbiamo sul luna park del cibo (non è un termine nostro, lo hanno sdoganato anche gli stessi vertici di Expo) è che la narrazione che ne è emersa mette al centro di tutto la tecnologia come risposta suprema per vincere fame e povertà. Questo si vede osservando i padiglioni: la maggior parte hanno fatto solo promozione turistica tranne alcuni come Angola, Svizzera e Germania», spiega a wisesociety.it il coordinatore Giosuè De Salvo che giudica positivamente l’esperienza della Cascina Triulza «presidio importante in mezzo a una lettura che i governi e il settore corporate dava del tema. Ma la sfida di dare un palinsesto di 180 giorni riempiendo 10/12 ore di programmazione al giorno, ha creato un risultato debole. Sicuramente non è uscito un messaggio univoco anche se lì dentro c’è stata una cura dei valori un po’ più articolata. Ma l’impressione è che non sia uscito un segnale netto».

Ma per le due organizzazioni che non l’hanno sottoscritta, non sembra essere un successo nemmeno la Carta di Milano, il rivoluzionario (almeno secondo gli organizzatori di Expo) documento di impegno collettivo sul diritto al cibo firmato un milione e mezzo di persone e consegnato al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon in occasione della visita ad Expo.

«Non l’abbiamo sottoscritta non per ostilità, ma perché per noi è incompleta. E’ un documento che ha dei meriti perché per la prima volta pone dei problemi importanti sul cibo come diritto. Ma manca di alcuni elementi. Soprattutto sul tema della riduzione delle emissioni, che proprio quest’anno sarà al centro dei lavori della Cop 21 di Parigi», aggiunge Pascale. «A noi sembrava molto importante un riferimento alle emissioni nella produzione del cibo insieme all’indicazione delle possibili strade per provare a ridurle».

«Non consideriamo la Carta di Milano un gesto rivoluzionario ma un documento calato dall’alto nonostante la parvenza di partecipazione che si è cercato di dare. Servono impegni vincolanti per governi e imprese transnazionali e la possibilità che la società civile sia coinvolta nel monitoraggio degli impegni che questi si prendono nei loro confronti. Oggi è tempo di scelte e bisogna avere un’idea su come gestire la transizione verso sistemi agroalimentari sostenibili e, quindi, anche sull’utilizzo delle risorse pubbliche verso certi modelli e meno verso altri, con tutti i loro meccanismi perversi», conclude De Salvo.

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