Secondo i medici quella che fino a pochi anni fa era considerata una condizione psicologica, oggi è invece una reale malattia che colpisce tre milioni di persone in Italia
Di mezzo ci va sempre il glutine, componente proteica del frutto di diversi cereali, fino a pochi anni fa sconosciuto e oggi vocabolo “chiave” all’interno della comunità scientifica e delle aziende alimentari, sempre più interessate a colpire un target di popolazione dai numeri in costante crescita. L’anno scorso i numeri del gluten-free nella Grande distribuzione organizzata sono cresciuti del 17% e quelli epidemiologici dell’intolleranza al glutine vanno quasi di pari passo: oltre 148mila i celiaci conteggiati nel 2012, in lieve aumento rispetto all’anno precedente. Oltre a loro, sulla scena continuano ad affacciarsi i cosiddetti sensibili al glutine.
Dalla celiachia alla gluten sensitivity
Chi dice di essere sensibile al glutine sostiene di non avere più disturbi intestinali dopo aver eliminato i farinacei – esclusi amaranto, avena, mais, manioca, miglio, quinoa, riso – dalla dieta. Cioè: sottoponendosi alla stessa alimentazione seguita dai celiaci, i miglioramenti risultano evidenti. Con la differenza che, fino a quando questa condizione non sarà ritenuta patologica, chi ne soffre non avrà diritto all’esenzione per l’acquisto dei prodotti senza glutine in farmacia o nei supermercati. La frequenza della gluten sensitivity sarebbe sei volte superiore a quella della celiachia.
In pratica: se i celiaci attesi in Italia sono circa 500mila, i soggetti affetti da sensibilità al glutine sarebbero almeno tre milioni. La condizione, dai sintomi simili a quelli della celiachia, ha un’origine sicuramente diversa, ma non del tutto chiara.
Gluten sensitivity: un disturbo di cui si sa ancora poco
Se per ridurre al minimo l’intolleranza non esiste alternativa all’eliminazione della componente proteica del frumento dalla dieta, oggi la sfida più interessante riguarda la sensibilità al glutine non celiaca: un disturbo di cui sa ancora poco, ma correlato anche alla dieta. La mancanza di un biomarker specifico è un importante fattore limitante per poter sbilanciarsi: impossibile, dunque, compiere una diagnosi certa. Per il momento la si identifica dopo aver escluso altre malattie, ma ci sono alcuni segni che potrebbero presto diventare importanti marcatori diagnostici: l’anemia, la perdita di peso, gli episodi di allergia alimentare durante l’infanzia. Quasi tutti i medici convergono sull’opinione che, quella che fino a pochi anni fa era considerata una condizione psicologica, sia invece una reale malattia.
Non solo glutine
All’origine, però, potrebbe non esserci soltanto il glutine. Nel mirino degli studiosi ci sono anche altre proteine del grano e soprattutto gli oligo-mono-disaccaridi fermentabili e i polioli, identificati dalla sigla FODMAP, contenuti in diversi alimenti: nei derivati del grano e della segale, nel cous-cous, nel latte e nei suoi derivati, in alcuni tipi di frutta (mango, pera, cocomero, ciliegie, albicocche, datteri e fichi), nel miele, nel cioccolato, nelle verdure cotte a foglia larga (più di tutte cicoria e bietola), negli asparagi, nei broccoli, nel finocchio, nei legumi, nei peperoni e nei funghi.
«Sulla gluten sensitivity si sta cercando di fare chiarezza – afferma Umberto Volta, docente di medicina interna all’università Alma Mater di Bologna e coordinatore del board scientifico dell’Associazione italiana celiachia (Aic) -. Il quadro clinico, caratterizzato da sintomi intestinali e non, regredisce con l’eliminazione temporanea del glutine dalla dieta: su questo non sembrano esserci più dubbi. Diverse ricerche hanno però dimostrato come pure l’ingestione di alimenti poveri di FODMAPs migliori il quadro del disturbo. A incidere in maniera importante sullo sviluppo dei sintomi sarebbero anche conservanti e additivi alimentari: sotto accusa ci sono il glutammato, il benzoato, i solfiti, i nitrati e vari coloranti».
Eliminare il glutine dalla dieta non è dunque l’unico rimedio da adottare. «Nella gluten sensitivity la soglia di tolleranza al glutine può essere molto flessibile e va fissata individualmente – spiega Luca Elli, responsabile del centro per prevenzione e diagnosi della celiachia al Policlinico di Milano -. Alcune persone potrebbero non essere costrette né ad adottare una dieta così stretta né a seguirla con costanza per tutta la vita. Nel caso della celiachia l’eliminazione del glutine rappresenta una soluzione terapeutica certa, da seguire per tutta la vita. Per i soggetti sensibili al glutine, invece, può bastare un’esclusione di poche settimane per favorire una completa remissione dei sintomi».