Le donne incinte esposte a temperature elevate o all’inquinamento atmosferico hanno maggiori probabilità di abortire, mettere al mondo bambini prematuri e sottopeso. Un problema per tutte, ma che sembra riguardare più da vicine le donne afroamericane: questo il dato che emerge da una ricerca condotta analizzando oltre 32 milioni di nascite registrate negli Stati Uniti. Il lavoro, condotto analizzando le conclusioni di 57 precedenti ricerche pubblicate a partire dal 2007 e diffuso attraverso le colonne della rivista «Jama Network Open», aggiunge dunque un tassello in più alla conoscenza di quelli che possono essere gli effetti del cambiamento climatico sulla salute riproduttiva.
L’impatto del cambiamento climatico sulla salute
Il cambiamento climatico ha certamente svariate conseguenze sulla salute umana, sia dirette sia indirette; inoltre, i suoi effetti sulla salute possono manifestarsi a breve come a lungo termine. Si stima infatti che, a livello globale, nel 2000 si siano verificati circa 150 mila decessi a causa del cambiamento climatico. Secondo un recente studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, entro il 2040 siamo destinati a raggiungere i 250mila decessi l’anno. Tale stima sarebbe risultata ancora più alta se avessimo escluso dal calcolo la riduzione della mortalità infantile prevista per i prossimi anni: dunque, si può concludere che gli eventi meteorologici estremi siano già tra i principali fattori del cambiamento climatico che interessano la salute pubblica.
Inoltre, la mortalità dovuta alle ondate di calore e alle alluvioni è destinata ad aumentare, in particolare in Europa. Infine, i mutamenti previsti nella distribuzione di patologie trasmesse da vettori causeranno anch’essi importanti conseguenze sulla salute umana.
Le conseguenze della crisi climatica sulla salute riproduttiva
La metanalisi condotta dai ricercatori statunitensi ha confermato che l’aumento delle temperature rischia di peggiorare l’esito di una gravidanza. E – soltanto un’ipotesi, per ora: ma credibile, considerando quelle che possono essere le conseguenze di un parto prematuro o di una nascita con un peso inferiore all’atteso – peggiorare la salute dei nascituri.
Particolarmente a rischio di partorire con largo anticipo, secondo le informazioni già disponibili in letteratura, sembrerebbero le donne asmatiche. Ma i problemi innescati dal cambiamento climatico alla salute riproduttiva non riguardano soltanto le donne. Questo aspetto è considerato infatti tra i principali responsabili della fertilità maschile. Il numero medio degli spermatozoi degli uomini oggi è dimezzato rispetto a quarant’anni fa e un italiano su dieci è ormai infertile.
A cosa si deve questa «caduta»? Il cambiamento climatico potrebbe giocare un ruolo. È infatti noto che l’aumento della temperatura danneggia l’apparato riproduttivo maschile molto più di quello femminile. In alcune specie animali, come le farfalle e i coleotteri, un incremento di pochi gradi delle temperature esterne può arrivare a dimezzare la fertilità. Motivo per cui gli esperti non hanno escluso che questo stesso processo si stia verificando (o possa verificarsi) anche nell’uomo.
Il clima sempre più caldo minaccia la fertilità maschile
«L’apparato riproduttivo maschile e gli spermatozoi in particolare sono molto sensibili al caldo – spiega Alessandro Palmieri, docente di urologia all’Università Federico II di Napoli e presidente della Società Italiana di Andrologia -. In alcuni casi la produzione di spermatozoi è stata vista calare di tre quarti e la capacità di fecondazione è crollata. Per di più, gli effetti negativi si tramandano anche sulla prole eventualmente generata che risulta meno fertile, con un 25 per cento di riduzione delle capacità riproduttive».
Quello che si sa oggi è che anche l’esposizione dei maschi al calore durante l’età dello sviluppo compromette la capacità riproduttiva, in varie specie animali. Il risultato è il medesimo: ovvero un calo netto delle possibilità di conservazione della specie. Ma questi discorsi possono essere estesi anche all’uomo? Abbiamo certamente più sistemi di protezione per l’apparato riproduttivo, ma i sospetti di un effetto negativo da parte del cambiamento climatico sulla fertilità sono ormai quasi una certezza anche per la nostra specie. L’aumento di un grado della temperatura ambientale accresce di un decimo di grado la temperatura all’interno della quale sono custoditi i testicoli. Un aumento impercettibile, ma che può compromettere la fertilità.
«Nell’uomo stiamo assistendo a una progressiva riduzione del volume dei testicoli, al punto che i parametri di normalità sono già stati rivisti al ribasso – riprende lo specialista -. L’involuzione della fertilità maschile appare un dato di fatto. Il fumo, i contaminanti chimici e le infezioni sessualmente trasmesse hanno sicuramente un ruolo prevalente. Ma non è da escludere l’impatto dell’ambiente: non soltanto per i lavoratori a rischio».
Dalle aree più inquinate del Paese arriva la conferma
Il cambiamento climatico – è un dato di fatto – deriva anche dall’aumento dei tassi di inquinamento atmosferico. Ragion per cui l’impatto sulla salute riproduttiva potrebbe in realtà nascere proprio dalla peggiore qualità dell’aria che ci circonda. Nelle aree in cui si rilevano concentrazioni elevate di pesticidi, perfluorati, metalli pesanti, diossine e ftalati – sostanze che agiscono come interferenti endocrini: mimano cioè l’effetto degli estrogeni senza alterare la loro concentrazione nel sangue – i tassi di fertilità sono più bassi.
Una differenza che si registra anche nel nostro Paese, come confermano i coordinatori di «Ecofoodfertility», un progetto di ricerca internazionale che vuole indagare gli effetti dell’inquinamento sulla capacità riproduttiva. Avviato già da cinque anni nell’area della Terra dei Fuochi, «Ecofoodfertility» ha nel tempo coinvolto anche gli uomini di Gela, Piombino, Monselice, Brescia e Taranto. Tutte aree ad alta densità industriale, dove gli effetti negativi sulla salute si rilevano anche a livello dell’apparato riproduttore.
Esaminando esclusivamente il liquido seminale, i ricercatori coordinati da Luigi Montano, responsabile dell’ambulatorio di andrologia dell’ospedale di Oliveto Citra (Salerno), hanno rivelando dati inequivocabili sulla vitalità e fertilità del seme maschile di chi vive in aree inquinate come Taranto o la Terra dei Fuochi (a cavallo tra le province di Napoli e Caserta), se comparati con quelli di chi abita in zone della stessa regione non considerate a rischio.
I composti sotto la lente di ingrandimento
L’evidente differenza tra i due campioni esaminati ha dimostrato che, sia i lavoratori delle acciaierie sia i pazienti che vivono in un’area altamente inquinata, mostrano una percentuale media di frammentazione del Dna dello sperma superiore al trenta per cento, evidenziando un chiaro danno spermatico.
«La valutazione del Dna dello sperma può essere sia un indicatore della salute individuale e della capacità riproduttiva sia un dato adeguato per connettere l’ambiente circostante ai suoi effetti», hanno messo nero su bianco. «Gli iperfluorati, usati in una varietà di prodotti di consumo, gli ftalati, impiegati nei giocattoli per bambini, i parabeni, usati soprattutto nei profumi e nei saponi, e il bisfenolo A, utilizzato per la produzione di plastiche quotidiana sono solo alcuni esempi dei moltissimi agenti e sostanze inquinanti che ogni giorno impattano sulla nostra vita – dichiara la ginecologa Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma -. Senza dimenticare poi le diossine sviluppate dagli incendi di materiale plastico e dai rifiuti di ogni genere abbandonati nell’ambiente e nelle nostre città. L’esposizione a queste sostanze nel corso della gravidanza può provocare mutazioni epigenetiche nel feto che si trasmettono da una generazione all’altra, in maniera irreversibile».
Twitter @fabioditodaro
Articolo pubblicato il 26 luglio 2020