Wise Society : Global Witness: c’è l’industria della carne dietro alla deforestazione nella savana del Cerrado

Global Witness: c’è l’industria della carne dietro alla deforestazione nella savana del Cerrado

di Valentina Neri
7 Marzo 2024

Mentre la deforestazione in Amazzonia cala, quella nella savana del Cerrado aumenta. Secondo un report della ong Global Witness, la responsabilità è anche delle grandi industrie della carne

Abbiamo sentito tutti parlare della deforestazione in Amazzonia. E a buon diritto, perché è la foresta tropicale più grande in assoluto, ospita circa il 10% dellabiodiversitàdel Pianeta e, stoccando gigantesche quantità di CO2, contribuisce ad arginare il riscaldamento globale. Ma il Brasile ospita anche un altro ecosistema preziosissimo, la savana del Cerrado. Anch’esso è teatro di una catastrofe ambientale, che magari ha meno risonanza mediatica ma comporta comunque gravi conseguenze. Anche su di noi. Secondo un report pubblicato dalla Ong Global Witness, i diretti responsabili hanno nomi e cognomi: sono le grandi industrie della carne.

Savana del cerrado

Savana del Cerrado – Foto Shutterstock

Perché la savana del Cerrado è un ecosistema prezioso

La prima cosa da sapere sulla savana del Cerrado è che ha dimensioni enormi. Situata tra Brasile, Paraguay e Bolivia, copre quasi due milioni di chilometri quadrati (all’incirca la metà dell’intera Unione europea). Questo paesaggio molto vario, che alterna grandi campi erbosi aperti e foreste chiuse, ospita più di 6mila specie di alberi, 14mila di insetti e circa 200 di mammiferi. Lo chiamano la “foresta capovolta”, per via delle lunghe radici che le piante hanno dovuto sviluppare per sopravvivere alle ondate di siccità e agli incendi.

Sono proprio le radici, più ancora di foglie, tronchi e steli, a immagazzinare l’anidride carbonica. Gli studi condotti sul tema sostengono che nel 2017 il Cerrado ne stoccasse 13,7 miliardi di tonnellate, più di quelle emesse da un’economia come la Cina nell’intero 2020. Ciò significa che silenziosamente, ogni giorno, le piante del Cerrado contrastano il riscaldamento globale che noi esseri umani, con le nostre attività, abbiamo contribuito a innescare.

La deforestazione nel Cerrado è in aumento

L’esistenza di tutti questi servizi ecosistemici, però, si basa sul presupposto che la savana del Cerrado sia in salute. E oggi non è così. Quando è entrato in carica per il suo quarto mandato da presidente del Brasile dopo una lunga assenza forzata dalle scene politiche, Lula ha deciso di puntare in alto. Promettendo di azzerare la deforestazione in Amazzonia entro il 2030. Nel 2023, suo primo anno da presidente, l’area deforestata si è attestata sui 5.150 chilometri quadrati: la metà dei 10.277 dell’anno precedente. Un risultato incoraggiante, senza dubbio. Ma la savana del Cerrado vive una situazione opposta. Dai quasi 5.500 chilometri quadrati del 2022, l’area deforestata nel 2023 è arrivata a superare i 7.800 chilometri quadrati. Questo anche per via di regolamentazioni più morbide: agli agricoltori per esempio è richiesto di preservare soltanto il 20% del proprio appezzamento, contro l’80% previsto per le aree dell’Amazzonia.

Una strada nel Cerrado, con la cresta del monte Espirito Santo sullo sfondo – Foto Shutterstock

Il ruolo dell’industria della carne

Global Witness, a seguito di un’approfondita indagine, si è fatta un’idea molto chiara dei responsabili di questo incombente disastro ambientale. A giocare un “ruolo chiave”, sostiene, sono le tre maggiori aziende brasiliane di confezionamento di carne: JBS, Marfrig e Minerva.

Nello stato federato del Mato Grosso, dove ricade parte del Cerrado, ci sono 32,8 milioni di bovini: nove per abitante. Non stupisce dunque che sia un peso massimo nelle esportazioni di carne bovina, con un valore di 2,75 miliardi di dollari nel 2022; la maggior parte è diretta verso la Cina (1,9 miliardi), ma anche Stati Uniti e Regno Unito sono ottimi clienti (rispettivamente con 66 e 15 milioni di dollari).

I ricercatori di Global Witness, attingendo a varie fonti, sono quindi andati a ricostruire la provenienza delle carni di JBS, Marfrig e Minerva. In seguito, hanno verificato se gli allevamenti fossero collocati in zone dove la deforestazione era proibita. I risultati sono sconcertanti. Sempre considerando solo il territorio di Mato Grosso, il 35,6% dei bovini provenienti dal Cerrado è stato allevato in un’area deforestata, quasi sempre senza le necessarie autorizzazioni. Tra quelli allevati in Amazzonia, la percentuale si ferma al 12,2%. Il 42,8% dei ranch nel Cerrado sorge su un’area deforestata; in Amazzonia non si arriva al 10%.

Insomma, il commercio globale di carne si impernia anche sulla deforestazione illegale. È un commercio in cui hanno un ruolo sia i Paesi occidentali, come acquirenti, sia le grandi banche, che sottoscrivono le obbligazioni dei colossi del settore, sia le società finanziarie che acquistano le loro azioni. Global Witness ha anche contattato le tre aziende citate: tutte sostengono di rispettare le leggi brasiliane sulla deforestazione e gli accordi siglati con le autorità del Paese.

Il regolamento europeo sui prodotti a “deforestazione zero”

Le istituzioni dell’Unione europea, con una mossa pionieristica, hanno scelto di non essere più complici inconsapevoli della distruzione delle foreste dall’altra parte del mondo. Lo hanno fatto attraverso il regolamento europeo sulla deforestazione (EUDR), una legge che impone alle aziende di verificare che i prodotti che importano non contribuiscano alla deforestazione o al degrado forestale.

Questo requisito si applica a una serie di merci ritenute particolarmente a rischio: olio di palma, bovini, soia, caffè, cacao, legno e gomma, oltre che ai loro prodotti derivati come carni, mobili o cioccolato. E vale sia se provengono da uno stato dell’Unione, sia se arrivano da altri Continenti (come, appunto, l’America latina). Il regolamento entra in vigore a partire dal 30 dicembre 2024, con una deroga di un anno per le piccole imprese; e senza dubbio inciderà sulle dinamiche del mercato, seppure dopo un iniziale periodo di rodaggio.

L’iniziativa è senza dubbio lodevole. Ma è ancora molto parziale. Anche perché il suo perimetro di applicazione comprende gli ecosistemi classificati come “foreste” secondo i criteri della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Gran parte del Cerrado, però, non lo è. Certo, inevitabilmente la sorveglianza sarà più stringente. Ma non si può comunque sperare che basti l’entrata in vigore della nuova legge per rovesciare una situazione che è preoccupante, e ci riguarda tutti.

Valentina Neri

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