L’oceanografo vincitore del premio Tridente d'Oro, ricercatore e divulgatore, spiega perché "egoisticamente" l'essere umano deve pensare a strategie per sopravvivere al surriscaldamento globale e al conseguente innalzamento dei mari
Per le sue attività di ricerca e divulgazione, l’oceanografo Sandro Carniel ha appena vinto il Premio Tridente d’Oro. Un riconoscimento molto ambito che in passato è stato assegnato a personaggi come Jaques Cousteau, Folco Quilici, Jaques Piccard o Sylvia Earle. Un riconoscimento meritato per la sua intensa attività di ricercatore e studioso ma anche di divulgatore che riguarda soprattutto il rapporto tra oceano e clima, e in particolare il ruolo e gli effetti che possono avere gli oceani in tale contesto. Oggi, infatti, Sandro Carniel è dirigente di ricerca del CNR e del Centro CMRE della Nato e affianca a quest’attività quella di divulgazione con i suoi tanti libri pubblicati (C’era una volta il bosco, Oceani e l’ultimo “Il mare che sale. Adattarsi a un futuro sott’acqua) in questi anni, nonché con la partecipazione a importanti manifestazioni come, ad esempio l’Ocean week Milano (Carniel è membro del Comitato Scientifico di One Ocean Foundation, che organizza la manifestazione).
Come è nata la sua passione per l’oceano?
Sono nato in Veneto, a 60 chilometri dal mare e 60 dalla montagna, a parte le altre professioni, potevo praticamente scegliere allo stesso tempo se diventare oceanografo o alpinista. Sono stati però i film degli anni 80 e, in particolare, la serie Magnum PI con quell’oceano hawaiano così affascinante a catturarmi. E quando l’ho scoperto e ho capito che oltre il mare di Jesolo e della Croazia c’era quello che vedevo in tv, ho deciso che dovevo conoscere meglio quei posti e, appunto, l’oceano. Man mano, la passione e cresciuta fino a spingermi a intraprendere i miei studi in questo ambito.
Da allora, quella passione si è trasformata in una grande attività di ricerca. Di cosa si occupa oggi?
La mia specializzazione è quella del rapporto tra oceani e clima e, da tre anni, mi trovo in un Centro di ricerca che si occupa soprattutto di tecnologia subacquea che permette di conoscere meglio cosa sta accadendo e come sta cambiando l’oceano. Si tratta di nuovi scenari in cui si usa tantissimo l’intelligenza artificiale, in pratica facendo fare ad altri oggetti quello che l’uomo non riuscirebbe a fare o farebbe in tempi molto lunghi: parlo, ad esempio, di droni subacquei che vanno in giro nell’oceano, raccolgono informazioni e le forniscono al ricercatore. Tutti i mezzi e gli strumenti che abbiamo a disposizione e l’ingegneristica applicativa, però, concorrono sempre verso la comprensione di ciò che sta accadendo agli oceani (anche perché ormai si parla spesso di salvare gli oceani per salvare la terra nda). Ci tengo a sottolinearlo perché è importante capire che solo con la comprensione di quello che succede si possono sviluppare strategie e capire come agire.
Il rapporto tra oceano e clima oggi si studia soprattutto per correre ai ripari?
Diciamo che oggi siamo già al punto in cui le cose che, purtroppo, andavo predicando 20 anni fa, sono diventate importanti per tutti. Ad esempio, ora, è noto che l’oceano produce metà dell’ossigeno che respiriamo, che fornisca proteine a più di 2 miliardi di persone, che tolga di mezzo più del 30% dei gas che alterano il clima (soprattutto la Co2) nonché il fatto che il trasporto del 90% delle merci e più del 95% del traffico internet viaggi lungo l’oceano. Insomma, di sicuro c’è una consapevolezza maggiore e questo porta a una maggiore attenzione verso l’argomento che però deve, necessariamente, attrarre attenzione e stimolare strategie da parte dei decisori politici, altrimenti la ricerca non può bastare.
Può spiegare in breve perché bisogna salvaguardare l’oceano?
Perché è bello e buono. Mi piace far passare il concetto greco di kalòs kai agathòs per dire che in il realtà noi non dovremmo salvaguardare l’oceano perché è bello da vedere, ma perché ci fornisce tutta una serie di servizi economici e tangibili. Clima stabile, pesce, purificazione sono servizi che comportano fatturato, per cui, anche solo per uno scopo egoistico all’essere umano serve tutelare l’oceano e la terra. Quello che cerco sempre di sottolineare è che, probabilmente, solo con attività che attirano chi è più attento all’ambiente, non si riesce a centrare l’obiettivo, mentre se si comprende che l’oceano ci serve, forse qualcosa si muove.
Come agire?
Servono politiche globali di riduzione dello stress sul nostro mare. Il mare è una parte di un sistema climatico interconnesso. Non si può pensare di agire a livello locale, provinciale, regionale perché servono norme a livello internazionale. Io credo che ormai, la sensibilità, anche grazie a iniziative come Ocean week di Milano o come il Decennio del Mare (2021-2030), a livello comunicativo, il concetto dell’importanza del mare sia passato ma è necessario che gli attori politici agiscano. Purtroppo però temo che se non si cambia visione sarà davvero difficile che un qualunque politico o amministratore in carica per soli 4 anni possa prendersi certe responsabilità.
Quanto conta l’Ocean literacy?
E’ fondamentale. L’alfabetizzazione e la conoscenza dell’oceano ha tante declinazioni e comprende tutte le attività da mettere in piedi per far capire l’influenza che il mare ha su di noi e viceversa. Ovviamente questa alfabetizzazione del mare e dell’oceano ha tanti livelli e bisogna partire dalle basi per spiegarlo a chi ne è totalmente digiuno per poi salire di livello man mano che la conoscenza è maggiore. Se non conosci i fondamenti di un sistema, non ne apprezzi il valore e non lo proteggi. Ovviamente, però, l’ocean literacy presuppone toni adeguati all’ambiente in cui si parla e all’utenza.
Di sicuro lei contribuisce anche con i suoi libri, come l’ultimo “Il mare che sale. Adattarsi a un futuro sott’acqua” con cui descrive il problema dell’innalzamento del livello dei mari in seguito al riscaldamento climatico globale.
Cerco di dare il mio contributo. Quello che tengo a sottolineare è che questo libro non è un testo disperato e apocalittico. Quando si parla del pericolo dell’innalzamento dei mari non stiamo dicendo che di qui a pochi anni moriremo tutti annegati, ma stiamo parlando del pericolo che corre una specie. Perché, ammettiamolo, sempre in modo egoistico, noi non dobbiamo preoccuparci di salvare la Terra che, nei millenni ha superato catastrofi maggiori di questa, ma di salvare noi stessi e altre specie. Qui non si tratta della vita sulla terra: quella, in forma diversa, ci sarà per sempre come successe quando il pianeta venne inquinato con l’ossigeno e man mano comparve l’uomo. Il problema è, semmai, la sopravvivenza della nostra specie. Quindi, in modo egoistico, cerchiamo di essere intelligenti: l’innalzamento dei mari è la prima conseguenza del surriscaldamento del pianeta e quella, anche se si fermasse tutto di colpo, è già in atto e andrà avanti per secoli. Quello che noi possiamo fare come specie vivente è mitigare: che significa ridurre e puntare a tecnologie che ne inquinino meno in modo da allungare i tempi e mentre si mitiga, però, l’azione da svolgere è quella dell’adattamento, ovvero preparazione a quello che sta succedendo. Lo sappiamo tutti che da qui alla fine del secolo il livello del mare si alzerà di 80-150 cm (ci sono persino 5 luoghi che potrebbero scomparire, nda) quindi non ha senso aspettare e stare a guardare. Adattarsi significa cominciare a ragionare sulla concezione dei waterfront, su dove collocare i tubi, dove spostare le zone di espansione di una città costiera, dove costruire i parcheggi e persino dove posizionare le prese elettriche di una casa. Queste azioni ci faranno guadagnare tempo mentre si mettono in atto strategie di mitigazione e, se vogliamo, saranno anche fonte di nuova occupazione.
C’è un messaggio finale che può lanciare?
Servono azioni globali e una visione di giustizia climatica. Se continuiamo a tenere separata l’agenda ambientale da quella sociale non ne veniamo fuori. Solo capendo che il mondo è un grande sistema e che tutti siamo interconnessi si possono programmare strategie efficaci. Non si può continuare a pensare che se un problema riguarda un luogo lontano, in realtà non ci tocca: non è così e la pandemia dovrebbe avercelo insegnato. Per questo è importante continuare a divulgare queste informazioni e farlo, sia con i piccolissimi in modo da formare una classe dirigente del futuro consapevole e attenta sia con gli attori economici e politici di oggi che possono fare la loro parte subito.
Sandro Carniel alla Ocean week
Ecco gli appuntamenti con Sandro Carniel alla Ocean week di Milano (qui il programma completo)
- Sabato 11 giugno alle 18.30 alla Centrale dell’acqua
I Grandi Cambiamenti”: Sandro Carniel presenterà il suo ultimo libro “Il mare che sale. Adattarsi a un futuro sott’acqua”. A cura di Fabio Pozzo, giornalista. Disponibile anche in Streaming.
- Domenica 12 giugno ore 11 alla Bam Biblioteca degli alberi di Milano
Dialoghi per l’ambiente “Blu – L’ecosistema azzurro del nostro pianeta”
L’acqua, elemento vitale per l’uomo, in un dialogo aperto con Luisa Cristini, Sandro Carniel e Ambrogio Beccaria
Maria Enza Giannetto