Wise Society : Marco Del Prete e la Medicina dei Sistemi: ecco come interviene sulla salute del paziente
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Marco Del Prete e la Medicina dei Sistemi: ecco come interviene sulla salute del paziente

di Maria Enza Giannetto
3 Gennaio 2023
SPECIALE : I segreti della longevità

Il presidente della International Academy of Physiological Regulating Medicine ci parla della Medicina dei sistemi e dell'approccio della Medicina delle basse dosi nella cura delle malattie cronico-degenerative

Nel 1992, il medico B.J. Zeng usò per la prima volta il termine medicina e farmacologia dei sistemi. Da allora, e soprattutto negli ultimi due decenni, la Medicina dei sistemi è diventata un’area di interesse sempre maggiore. Si tratta di un approccio medico che considera il “corpo” come parte derivata da un insieme integrato che include interazioni biochimiche, fisiologiche e ambientali.

Importante rappresentante di questo approccio è il dottor Marco Del Prete, medico nefrologo, omeopata, specializzato in terapie omotossicologhe nonché presidente dell’International Academy of Physiological Regulating Medicine che abbiamo conosciuto nel corso del simposio “Medicina dei sistemi: modelli di integrazione nella prassi clinica e nuove soluzioni terapeutiche”, realizzato in collaborazione da WHO Collaborating Center for Integrative Medicine dell’Università degli Studi di Milano e dalla International Academy of Pysiological Regulating Medicine (PRM) – Associazione medica indipendente promotrice della medicina centrata sulla persona e rispettosa della fisiologia umana – e sostenuto come sponsor non condizionante da Guna. Uno dei massimi esperti della materia, che è stato anche fra i relatori del Longevity & Anti-Aging World Forum di Wise Society.

Marco Del Prete

Foto: Marco Del Prete

Dottor del Prete, ci racconta come è nato il suo interesse per la medicina omeopatica?

Ho cominciato a interessami dell’Omeopatia con tutto il suo bagaglio concettuale sin dall’inizio, quando ancora ero studente in Medicina. In particolare mi incuriosiva l’attenzione rivolta al paziente e al suo personale modello reattivo e costituzionale. Il paziente era più importante della malattia e la terapia andava adattata all’individuo quasi come fosse un abito di sartoria. Agli inizi degli Anni ’90, poi,  frequentai un corso di Biotecnologie e Medicina Naturale all’università degli Studi di Milano, diretto da Professor Umberto Solimene e fui affascinato dalla rilettura in chiave più moderna di concetti che risalivano al ‘700. L’immunologia, la biochimica, in fondo, spiegano con linguaggio innovativo i “misteri” delle piccole dosi e della similitudine. Dopo anni di esperienza nella medicina più convenzionale sia in ambito Ospedaliero sia come Medico di Medicina generale e dopo avere conseguito la specialità in Nefrologia, decisi di dedicare a questa avventura scientifica ed intellettuale la mia vita professionale.

Qual è oggi il suo approccio medico?

Il mio approccio medico è stato da subito e continua a essere un approccio integrato. Non credo molto alle classificazioni concettuali e alla complementarietà intesa quasi in senso sussidiario. Un medico deve potere disporre di diverse metodologie di cura e di interpretazione della malattia e del disagio e adattarle alla necessità clinica e alle peculiarità del paziente.

Lei è presidente dell’International Academy of Physiological Regulating Medicine, di cosa si tratta?

La PRM Academy rappresenta la versione rinnovata della Associazione Medica Italiana di Omotossicologia. Nel Gennaio del 2019 è stata inserita dal ministero della Salute, tra le Società  scientifiche accreditate. L’Omotossicologia è una rilettura moderna della Omeopatia, nata in Germania nella seconda metà del secolo scorso dal genio del dottor Hans Heinrich Reckeweg rispondendo all’esigenza di innovare il linguaggio storico dell’Omeopatia alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e di arricchirne il bagaglio farmacologico e terapeutico. 

All’inizio degli anni 2000, infatti, un gruppo di medici italiani sviluppò un’ulteriore corrente di pensiero. Volendo esemplificare, l’Omotossicologia si occupa del “foglio su cui vengono scritte le parole del nostro linguaggio biologico. Se questo foglio, e in particolare l’ambiente in cui le cellule sono immerse, è inquinato da fattori esterni o interni come tossine, inquinanti atmosferici, intermedi metabolici ma anche conflitti emozionali, il flusso di materia, energia e informazione viene interrotto. La coerenza e la progettualità del nostro sistema biologico si smarrisce. L’idea innovativa fu, quindi, quella di arricchire l’interesse dedicato al foglio con una peculiare attenzione alle parole che vi andavamo a scrivere.

Quali sarebbero queste parole?

La parole che il sistema biologico utilizza per coordinare la sua straordinaria complessità sono molecole messaggere: citochine, ormoni, neuromediatori, neuropetidi, fattori di crescita. Possono esser pensati come SMS che attraversano distanze che in proporzione farebbero impallidire i nostri voli spaziali. Le concentrazioni di queste molecole sono equiparabili alle diluizioni di molti farmaci omeopatici e omotossicologici, a dimostrare che  la comunicazione biologica sembra preferire i sussurri alle grida.

Riproduzione del corpo umano

Foto di camilo jimenez su Unsplash

Parla di quella medicina che vede il paziente in maniera olistica e come unità di mente, corpo e spirito? 

Esatto. La visione di insieme di un individuo è fondamentale per il solo fatto che nulla è più complesso di un essere umano. E’ approccio innovativo che nasce da esigenze imprescindibili. Per anni la Medicina ha considerato il corpo umano come un insieme di organi separati gli uni dagli altri. La lettura della complessità come un insieme di entità più semplici che possono essere analizzate separatamente, rientra in un modello di pensiero che viene definito Riduzionismo. E in Medicina il Riduzionismo ci ha regalato traguardi straordinari, sia da un punto di vista diagnostico sia da quello terapeutico. Tuttavia ci sono molti temi non risolti e mi riferisco in particolare alle malattie croniche  come le malattie oncologiche, cardiovascolari, metaboliche. Nonostante gli indubbi successi diagnostici e terapeutici la morbilità e la mortalità per queste patologie è ancora elevata e la loro incidenza e prevalenza non sembrano correlare con un aumentata di aspettativa di vita. Quindi abbiamo bisogno di cambiare in parte la prospettiva un po’ come quando si guarda un quadro da lontano.

Come si fa?

Negli ultimi 20 anni ha preso piede la Medicina dei sistemi, inserita nel più ampio contesto della scienza dei sistemi. Essa interpreta l’organismo come un sistema complesso di organi collegati tra loro, ossia un sistema formato da sottosistemi in grado di resistere alle perturbazioni indotte da stressors di varia natura: virus, emozioni, junk food. La Medicina dei sistemi integra l’approccio riduzionista in perfetta sinergia. Pensiamo, ad esempio, alla cardiologia: ormai sono stati raggiunti traguardi terapeutici e diagnostici che hanno migliorato la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti. Ma le strade che portano alla malattia  possono essere molto diverse e solo l’approfondimento di queste istanze individuali ci permetterà di migliorare le nostre strategie di intervento e prevenzione.

Qual è la differenza e quale la possibile (necessaria?) collaborazione tra approccio riduzionistico e sistemico?

La medicina dei sistemi non è soltanto un vezzo speculativo. Essa si avvale, ad esempio, di nuove prospettive diagnostiche le cosiddette scienze omiche, come la genomica, la trascrittomica, la metabolomica, che ci permetteranno di conoscere molti dettagli, molti dati, ad oggi non accessibili e di essere più predittivi e di poter meglio personalizzare le terapie. E’ proprio il rapporto medico paziente che cambierà perché non ci si limiterà più a descrivere un problema o a valutare dei fattori rischio, ma si costruirà un serio progetto di prevenzione che prevede una partecipazione attiva e consapevole del paziente.

Medicina dei sistemi: illustrazione

Foto Shutterstock

In questo contesto rientra la Medicina delle basse dosi. Di cosa si tratta esattamente?

La medicina delle basse dosi appartiene di diritto alla medicina dei sistemi, proprio perché utilizza il linguaggio con cui i sistemi comunicano. E’ in perfetta sinergia con qualsiasi altra strategia di cura e ha un ampio ambito applicativo supportato da basi di ricerca in via di costante sviluppo. Le malattie cronico degenerative sono le principali aree di interesse di questo approccio. Le patologie allergiche, autoimmuni, la modulazione del dolore e dell’infiammazione, l’anti-aging sono forse gli ambiti in cui siamo maggiormente coinvolti ma la riprogrammazione del linguaggio è utile in ogni contesto caratterizzato da un difetto di “verbalizzazione”.

Il 5 maggio scorso – sotto l’egida dell’OMS e del centro collaborante per la medicina integrata, della FEMTEC e dell’associazione che rappresento la PRM accademy (con il patrocinio del ministero della salute e della Fnomceo e con la partecipazione dei principali Atenei provenienti tutta Italia)- si è svolto all’Università degli Studi di Milano, un importante congresso che ha affrontato il tema della medicina dei sistemi e dei nuovi possibili modelli di integrazione clinica e terapeutica. Si è parlato di come la Medicina moderna deve anche – e soprattutto – garantire che l’organismo vivente persista in una condizione di salute e di benessere anche al fine di contenere la spesa sociosanitaria.

Quali sono stati gli argomenti trattati? 

E’ stato un momento di incontro e di confronto tra approcci diversi, conclusi con la firma congiunta di una dichiarazione di intenti condivisa. Abbiamo bisogno si superare gli spazi angusti una eccessiva specializzazione in favore di una rinnovata interdisciplinarietà e direi anche trandisciplinarietà perché la medicina si avvale di tutte le scienze: la fisica, la matematica e anche la semiotica (scienza che studia la significazione dei messaggi) che ci aiuterà a decifrare il linguaggio con cui comunicano i sottosistemi. E’ la comunicazione che rende più piccolo un grande modo e fa sembrare più semplice la straordinaria complessità che siamo.

Maria Enza Giannetto

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