Un nuovo standard per certificare la sostenibilità tout court dei prodotti. È il fulcro di un progetto per innovare il sistema produttivo italiano. Ce ne parla il professor Fabio Iraldo, della Scuola Superiore Sant’Anna
Non c’è più tempo, lo gridano da tempo (inascoltati, o almeno ascoltati solo in parte) scienziati e attivisti, Greta Thunberg in testa, portavoce delle nuove generazioni, ma i risultati ad oggi sono ancora molto modesti. Lo ha gridato in tutta la sua drammaticità anche l’ultimo Rapporto Onu sul climate change che se non si fa immediatamente qualcosa di concreto, un’azione decisa che possa invertire la rotta, non ci sarà più modo di recuperare il danno causato al pianeta. Ormai – ma sembra che la politica e i poteri economici forti non abbiano ancora ben chiaro il concetto – non si tratta più di un semplice grido d’allarme che riguarda il futuro, è invece qualcosa che riguarda già tutti noi, il nostro presente, e i segni che lo testimoniano sono tangibilissimi, a partire dal modo in cui gli eventi climatici estremi si stanno susseguendo a un ritmo sempre più incalzante e preoccupante.
Il problema è che, per quanto si parli da tempo di transizione ecologica, economia circolare, modelli produttivi alternativi a quelli intensivi tuttora in auge, siamo ancora nella fase delle parole e degli impegni più o meno presi, che è però cosa ben diversa dalle azioni concrete. Certo passare dagli impegni ai fatti concreti richiede tempo, lo sappiamo, ma non c’è più tempo, almeno mantenendo i ritmi attuali che dovrebbero portare al tanto sospirato cambiamento, questo è il dato ad oggi assoluto, inequivocabile.
Un processo di cambiamento che non può prescindere da una presa di coscienza a livello globale e a tutti i livelli, politico, sovranazionale, individuale, aziendale, perché anche le imprese possono fare molto, moltissimo. E proprio relativamente a queste ultime il Progetto Life Effige (Environmental Footprint for Improving and Growing Eco-efficiency), finanziato dalla Commissione Europea, rappresenta un’iniziativa di grande interesse che mira a introdurre nelle filiere produttive la metodologia Pef (Product Environmental Footprint), il metodo di calcolo dell’impronta ambientale per migliorare ed incrementare l’efficienza ecologica e ridurre l’impatto ambientale delle imprese.
Nel suo ambito si inserisce la certificazione Made Green in Italy, che punta a diventare il nuovo standard sulla sostenibilità dei prodotti made in Italy e allo stesso tempo importante leva competitiva in uno scenario in cui l’attenzione alla sostenibilità, anche da parte del consumatore, è sempre maggiore, come spiega, Fabio Iraldo, professore ordinario dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna, coordinatore del progetto.
Professor Iraldo, quando e com’è nata l’esigenza di dare il via al progetto Effige e con quali finalità?
L’idea del progetto Effige è nata sei anni fa quando ancora la metodologia dell’impronta ambientale proposta dalla Commissione Europea era in piena fase di sperimentazione ed il marchio Made Green in Italy era appena stato stabilito da una legge italiana, ma non era stato ancora reso operativo attraverso un regolamento, che sarebbe arrivato soltanto alcuni anni dopo. La spinta che ci guidò era prevalentemente orientata a sviluppare una serie di attività di supporto e di accompagnamento per preparare il sistema produttivo italiano, e soprattutto le imprese di minori dimensioni, a cogliere le opportunità legate a questo schema di certificazione che sarebbero arrivate soltanto alcuni anni più tardi.
Perché un’azienda ormai non può più far a meno di ragionare e impostare tutto il suo business in chiave green?
Vi sono due fattori che oggi determinano in misura sempre più evidente la necessità di ripensare il business delle aziende in chiave di sostenibilità ambientale: da un lato vi è una evoluzione normativa decisamente orientata a sostenere, da un lato, e a imporre, dall’altro, una transizione verso modelli di business che siano capaci di coniugare gli obiettivi della competitività con il rispetto dell’ambiente e delle garanzie sociali.
L’evoluzione più recente sul fronte normativo che ha contraddistinto le politiche della Commissione Europea, ad esempio, ha chiaramente indicato che il percorso da seguire per chi realmente intende rimanere sul mercato e continuare ad operare non può che essere quello di adeguare le proprie tecnologie, le proprie modalità di lavoro e i prodotti che offre sul mercato alle priorità che la stessa Commissione ha fissato nella prospettiva di guidare la transizione ecologica verso una economia sostenibile e circolare.
Il secondo fronte su cui oggi vengono esercitate molte pressioni è quello del mercato, sia per quanto riguarda i mercati di sbocco dei prodotti intermedi, il cosiddetto business-to-business, sia per quanto riguarda il mercato finale, business-to-consumer. Negli ultimi anni si è assistito ad un incremento mai visto precedentemente delle tendenze di acquisto e delle preferenze di consumatori ed aziende acquirenti verso prodotti green. queste pressioni sono destinate a mutare profondamente gli scenari di mercato di riferimento.
Cosa rischia un’azienda se non si adegua?
Le aziende che non colgono tempestivamente le opportunità offerte dai segnali provenienti dall’evoluzione normativa prospettica, da un lato, e dalle tendenze di mercato, dall’altro, rischiano semplicemente di rimanere spiazzate. Rispondere alle sfide con ritardo significherebbe sostenere costi molto più alti per un adeguamento forzato ai requisiti normativi incombenti e inseguire i competitor che hanno anticipato efficacemente gli sviluppi sul mercato e si sono accreditati nei confronti di consumatori e di clienti sempre più attenti all’eccellenza ambientale dei prodotti e dei servizi, nonché sempre più disposti a premiarli nelle proprie scelte di acquisto.
Quali i vantaggi che un approccio veramente sostenibile porta al proprio business?
I benefici e vantaggi competitivi che possono derivare da una trasformazione in senso green del proprio modello di business sono molteplici. Da un lato, come ad esempio per interventi inquadrabili in una strategia di economia circolare, possono essere associati notevoli incrementi di efficienza nell’uso delle risorse materiali e naturali, con conseguente riduzione dei costi di produzione e, quindi, miglioramento della competitività sul mercato. Dall’altro, strategie orientate alla sostenibilità sono ormai in grado di produrre miglioramenti sul fronte reputazionale e nell’immagine dell’azienda, percepita dagli stakeholder, che si traducono in una maggiore fidelizzazione dei clienti e nella capacità di acquisire quote di mercato a discapito dei concorrenti che si sono mossi con ritardo su questo fronte.
Molti pensano ancora che investire in sostenibilità sia soltanto un costo…
Vi sono senz’altro molti ambiti della gestione aziendale in cui l’adozione di misure ed interventi orientati ad una maggiore sostenibilità, è dimostrato, inducano un miglioramento dell’efficienza economica nell’ambito del business aziendale. L’esempio dell’economia circolare, citata in precedenza, è oggi una delle sfide che le aziende sono disposte a cogliere con maggiore entusiasmo proprio in ragione della possibilità ad essa connesse di ottenere risparmi nell’utilizzo di materie prime, ottimizzazione nell’impiego di scarti di produzione e, i generale, un’efficienza maggiore nell’utilizzo delle risorse che rappresenta il modo migliore per un’azienda di prolungare il loro valore nel tempo e di usarle al meglio. Nella logica non soltanto di un minor impatto ambientale, ma anche di una maggiore produttività e quindi competitività dell’impresa.
Quali i prossimi step del progetto?
Il progetto Effige è giunto a conclusione dopo un lungo periodo di attività di affiancamento alle imprese partecipanti condotte sul campo al fine di supportare un processo di pianificazione e di progettazione dei prodotti, e dei connessi processi produttivi, sulla base dei dati e delle informazioni calcolate con la metodologia dell’impronta ambientale. Le imprese partecipanti al progetto hanno toccato con mano come una corretta valutazione degli impatti ambientali di un prodotto possa essere un formidabile strumento per la ricerca e sviluppo e per il design di prodotti innovativi, al fine di diminuirne l’impronta.
I futuri passi, oltre i confini della durata ufficiale del progetto, saranno orientati a supportare ulteriormente la diffusione di questo metodo all’universo delle imprese italiane e alla generalità dei settori, anche in un’ottica di corretta comunicazione al mercato delle informazioni ambientali connesse ai prodotti, nella prospettiva del Green marketing.
In cosa consiste esattamente la certificazione “Made Green in Italy”? Come viene misurata nella pratica l’impronta ambientale, quali parametri presi in considerazione?
Proprio con l’obiettivo di consentire alle aziende che calcolano l’impronta ambientale dei propri prodotti di utilizzare questa informazione come leva di marketing, è nato lo schema di certificazione “Made Green in Italy”. lo schema prevede che, alle aziende che applicano il metodo del Life Cycle Assessment secondo i requisiti della PEF Product Environmental footprint comunitaria, e che sono in grado di dimostrare performance migliori della media italiana, sia assegnato un marchio da apporre sul proprio prodotto, al fine di catturare l’attenzione di consumatori sempre più sensibili alle tematiche ambientali. Inoltre, alle aziende che ottengonol il marchio, è concesso l’utilizzo di un ampio spettro di opportunità di comunicazione al mercato di questi indicatori ambientali, per segnalare l’eccellenza del proprio prodotto.
Made Green in Italy darà una grossa mano anche alla trasparenza delle aziende in termini di filiera e intero ciclo di vita del prodotto?
Per la prima volta in Italia e in Europa uno strumento di politica ambientale associa le dimensioni delle performance ambientali nel ciclo di vita del prodotto con requisiti legati alla provenienza territoriale dello stesso, coniugando un marchio green con la logica del cosiddetto made in Italy. L’accesso alla certificazione è infatti consentito ai soli prodotti che possono vantare la denominazione made in Italy secondo quanto previsto dalle normative vigenti, quali ad esempio quelle relative ai dazi doganali.
Che risposta state avendo in termini di adesioni?
Per poter essere pienamente applicato il marchio necessita del coinvolgimento di un numero significativo di imprese, o di loro associazioni rappresentative, per poter definire regole di calcolo specifiche per determinate categorie di prodotti. Soltanto in presenza di queste regole è possibile per le singole aziende calcolare l’impronta del loro prodotto e quindi richiedere la concessione del marchio. Ad oggi hanno aderito al sistema le prime associazioni di categoria che hanno pubblicato le regole di prodotto per specifiche categorie quali, ad esempio, la pasta di grano duro, il Grana Padano e l’aceto italiano.
Come si può notare, queste categorie rappresentano punte di diamante del made in Italy alimentare. Per quanto riguarda le singole imprese, ad oggi soltanto una azienda ha ottenuto il marchio per un prodotto di uso molto comune da parte del consumatore, ovvero la borsa in plastica riciclata multiuso per lo shopping. Nei prossimi mesi assisteremo a una notevole accelerazione dello schema in quanto molte regole di prodotto per ulteriori categorie sono di imminente approvazione: tessili e abbigliamento, prodotti del settore dei metalli e anche servizi.
Come si può aderire a questo sistema di certificazione?
Le associazioni di categoria o i raggruppamenti di imprese che intendono proporre nuove regole per categoria di prodotto nell’ambito dello schema Made Green in Italy devono accertarsi di rappresentare più del 50% nella produzione nazionale nel proprio comparto e, successivamente, devono condurre uno studio approfondito mirato a quantificare l’impatto ambientale del prodotto medio rappresentativo del comparto interessato. Una volta definite le regole, approvate da una consultazione pubblica e ufficializzate dal Ministero, le singole imprese possono ottenere il marchio per un proprio specifico prodotto applicando i requisiti del marchio e richiedendo la certificazione ad un verificatore di parte terza accreditato, il cui nominativo può essere rintracciato tra quelli elencati nel sito web dello stesso Ministero della Transizione ecologica.
Ci sono in Italia altri sistemi di certificazione simili o Made Green in Italy è unico nel suo genere?
Alcune caratteristiche distintive fanno del Made Green in Italy un marchio unico nel suo genere. Innanzitutto il marchio è un mix tra etichette di tipo 1 ed etichette di tipo 3 secondo la classificazione dell’ Iso International standard organization. Sinteticamente, questa caratteristica consiste nell’abbinare requisiti di performance del prodotto con requisiti relativi al calcolo dell’impronta ambientale e alla sua comunicazione al consumatore.
L’integrazione fra queste due forme di certificazione costituisce una frontiera, non solo italiana ma anche sullo scenario europeo. Inoltre, con un approccio molto innovativo, il marchio ha introdotto, per la prima volta con riferimento a una certificazione di prodotto, il requisito del miglioramento continuo delle prestazioni, obbligando di fatto le aziende aderenti a impegnarsi incessantemente a ricercare margini di ulteriore ottimizzazione e riduzione degli impatti ambientali, di anno in anno. Infine, come già anticipato, il marchio è unico nel panorama europeo in quanto è capace di associare la garanzia di tracciabilità sulla provenienza del prodotto al riconoscimento per le sue prestazioni ambientali.
Vincenzo Petraglia
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