E poi: quale ripartenza ci attende? Quali le vie d'uscita dalla crisi? E l'Europa reggerà? L'economia globale saprà andare oltre il Pil? Parliamo di questi e altri temi caldi col noto economista Enrico Giovannini, ex presidente Istat e chief statistician Ocse
L’Italia ha appena incassato il declassamento da parte dell’agenzia britannica di rating Fitch che ha sferrato un colpo mortale ai nostri titoli di Stato, valutati come BBB-, in pratica un livello appena sopra la definizione di “spazzatura”. Da parte sua l’Istat ha appena registrato un -4,7% del Pil nel primo trimestre di quest’anno e le previsioni per i prossimi mesi, a causa soprattutto della pandemia, fanno rabbrividire.
Cosa ci aspetta per il futuro e perché l’Italia è stata colpita a livello economico più duramente di altri paesi? E l’Europa reggerà all’onda d’urto del Coronavirus, ne uscirà più forte o in frantumi a causa degli egoismi nazionalistici? Come cambierà lo scacchiere politico-economico globale e il Covid-19 potrà diventare un acceleratore di cambiamento per un mondo più sostenibile e solidale, o avverrà l’esatto contrario con una “guerra” fra poveri senza precedenti?
A questi ed altri interrogativi fondamentali in questa delicatissima fase storica che stiamo attraversando risponde Enrico Giovannini, economista di fama internazionale, docente universitario ed ex chief statistician dell’Ocse e presidente dell’Istat, oltre che Ministro del lavoro e delle politiche sociali del Governo Letta.
In quest’intervista esclusiva a Wise Society il portavoce di ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che ha all’attivo svariati libri, quali L’Utopia Sostenibile, e dalle cui intuizioni è nato il movimento mondiale per andare “Oltre il Pil”, illustra quella che potrebbe essere una road map per uscire da questa crisi senza precedenti dando vita a un’Italia più forte e a un sistema socio-economico mondiale più sostenibile e capace di far fronte alle altre minacce globali più incombenti, prima fra tutte quella climatica.
Cosa dobbiamo aspettarci, concretamente, da questa emergenza legata al Coronavirus? Che mondo avremo quando riusciremo a superarla?
A causa del Coronavirus stiamo vivendo una crisi senza precedenti. Non solo per l’emergenza sanitaria, per il dolore di tante perdite e per milioni di famiglie costrette a rimanere in casa a causa del lockdown, ma perché l’impatto sull’economia è molto ampio e i rischi di instabilità sociale sempre più alti. Per questo motivo dobbiamo mettere in campo strumenti eccezionali sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta. Servono aiuti per le famiglie e le imprese, ma il tutto deve essere affrontato con un’ottica sistemica. Non c’è dubbio che la crisi impatti sull’Italia in modo così duro anche perché non ci siamo dotati nel tempo di strumenti di preparazione e prevenzione degli shock. Non eravamo preparati e la pandemia ci ha trovato estremamente vulnerabili.
Sul piano geopolitico ed economico il mondo sarà diverso da come lo conosciamo oggi e per questo dobbiamo agire il prima possibile per dare supporto al nostro tessuto industriale e fornire aiuto ai più deboli. Su quest’ultimo aspetto, come ASviS, insieme al Forum Disuguaglianze e Diversità, abbiamo proposto l’istituzione di un Reddito di emergenza, un intervento che potrebbe essere erogato rapidamente anche ai lavoratori irregolari, invisibili all’attuale sistema di welfare. Lavoratori su cui, ricordiamolo, si reggono molti comparti considerati essenziali, soprattutto nella filiera dell’agroalimentare.
Bastano secondo lei le misure prese dal Governo, non solo per tamponare la situazione attuale e la profonda crisi sociale, economica e istituzionale, ma soprattutto per progettare un’Italia diversa, davvero in grado di ripartire dopo la bufera Coronavirus?
Le decisioni prese fino ad ora rappresentano un primo passo per uscire dall’emergenza, ma che, pur riconoscendo che le risorse messe a disposizione dal Governo sono ingenti, non bastano. Non si può affrontare questa crisi con la mentalità con cui si sono affrontate quelle precedenti e il tempo a nostra disposizione non è molto. L’Italia, dopo la crisi del 2008 è ripartita più lentamente rispetto agli altri Paesi, ripetere lo stesso errore sarebbe fatale. Bisogna da subito ragionare su come orientare risorse e politiche per stimolare quello che chiamo un “rimbalzo” in avanti. Non possiamo permetterci di tornare al punto di partenza, occorre voltare pagina e capire il futuro che vogliamo.
Quali saranno i settori più colpiti dalla crisi?
Quello del turismo sarà sicuramente tra i più colpiti, anche perché a causa del distanziamento sociale e del divieto agli spostamenti ripartirà più tardi degli altri. Non bisogna però sottovalutare né gli aiuti da destinare al comparto industriale né a quello agricolo per aiutarli a diventare più sostenibili. Quest’ultimo nei giorni scorsi ci ha ricordato che, a causa dell’emergenza sanitaria, manca nei campi mano d’opera per la raccolta dei prodotti alimentari. Si rischia di minare la sicurezza alimentare del Paese e di vedere sprecata una grande quantità di cibo.
Cosa può insegnarci questo Coronavirus? Potrebbe essere anche un’opportunità in ottica sostenibilità? Forse può farci prendere coscienza, sia come singoli che come istituzioni e aziende, di problematiche mai affrontate finora con decisione…
È una prova ulteriore che dobbiamo cambiare l’attuale modello socioeconomico. Va ripensato il nostro stile di vita e il funzionamento delle città, il modo con cui beni e servizi vengono prodotti, il rapporto dell’uomo con la natura. Sappiamo che la distruzione degli ecosistemi accelera la diffusione di nuovi virus, la comunità scientifica ci aveva avvisato sull’argomento e non l’abbiamo ascoltata. Ora più che mai dobbiamo puntare sull’Agenda 2030, unico piano di azione globale, firmato da 195 Paesi compreso il nostro, capace di fornire una visione sistemica dei diversi temi che toccano da vicino lo sviluppo sostenibile. Povertà, educazione, alimentazione, salute, occupazione, ambiente e crescita economica, serve un nuovo approccio per scongiurare l’insorgere di nuove crisi.
Un tema che come ASviS vi sta particolarmente a cuore…
L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile nasce proprio per diffondere la cultura legata allo sviluppo sostenibile tra le istituzioni, le aziende e la società civile, attraverso la promozione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Al momento della nascita, il 3 febbraio del 2016, non immaginavamo potesse diventare in breve tempo una realtà così importante, un punto di riferimento istituzionale e un’autorevole fonte d’informazione. Segno che i tempi per riflettere e spingere sui temi della sostenibilità erano maturi. L’ASviS è una realtà che con oltre 230 organizzazioni aderenti rappresenta la più grande rete della società civile mai creata nel Paese. Per quanto riguarda i temi, ogni anno con il Rapporto proponiamo una serie di interventi per accelerare verso il raggiungimento degli Obiettivi dell’Agenda 2030. A tale proposito, sottolineo l’importanza dell’inserimento in Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile, il quale poggia sul concetto di giustizia intergenerazionale.
Come giudica i mercati, il mondo delle banche e della finanza in questa fase storica? Anche qui, il Covid-19 potrebbe forse rappresentare un’opportunità di cambiamento…
Il rischio di voler usare le risorse perdendo di vista la necessità di pensare al futuro cambiando il nostro modello economico, cosa di cui si discuteva solo poche settimane fa a livello globale ed europeo, c’è ed è concreto. La stessa crisi mostra dove può condurci un approccio non sostenibile. Il ruolo dei mercati, delle banche e della finanza sarà determinante per indirizzare gli investimenti post crisi. Ma la finanza internazionale si stava già orientando verso la sostenibilità, verso gli investimenti nelle energie rinnovabili che, anche con un prezzo del petrolio così basso, rimangono competitive. Credo che, con l’aumento del rischio complessivo, ci saranno cambiamenti nel modo in cui si investe in determinati settori: penso, ad esempio, a quello sanitario, ma, al di là della situazione di breve termine, il cambiamento di paradigma è ormai alle porte.
Cosa pensa dell’Unione Europea? Sta facendo abbastanza?
Si è discusso molto sugli strumenti che l’Unione Europea dovrebbe mettere in campo per finanziare l’emergenza sanitaria e gli sforzi per superare la crisi. L’obiettivo delle politiche deve essere ridurre al massimo gli effetti negativi del Coronavirus, stimolando una “resilienza trasformativa” del sistema socioeconomico. Le decisioni che l’Europa è chiamata a prendere non avranno effetti soltanto su milioni di persone, ma sul futuro della stessa Unione. Farei una distinzione tra Commissione europea e Consiglio. La prima ha risposto in maniera rapida e innovativa rispetto al passato, pur non essendo un’istituzione designata a gestire le emergenze. Diverso, purtroppo, è stato il comportamento del Consiglio europeo, cioè dei singoli Paesi. Alcuni hanno sottovalutato l’impatto di questo shock, come fatto anche dalla Banca centrale europea all’inizio di questa crisi. Il Coronavirus ci insegna che per gestire questi tipi di shock servono sia nuovi strumenti sia nuovi modi di pensare.
Cosa succederebbe se l’Europa cadesse? C’è questo rischio secondo lei alla luce anche degli ultimi accadimenti?
Immaginiamo per un attimo che questa epidemia avesse colpito solo l’Italia, come ne saremmo usciti? Dove avremmo trovato le risorse da mettere in campo e quanti posti di lavoro in più sarebbero stati persi? L’Europa, e in particolare la Banca Centrale Europea, ci sta salvando dal collasso. Per questo l’abbiamo creata, per essere più grandi di fronte alle sfide e alle crisi. Per questo, in un mondo che cambia velocemente e dove i problemi non sono solo locali ma globali, non possiamo rischiare di vedere andare in frantumi il sogno europeo. Saremmo tutti più fragili e vulnerabili alle diverse crisi economiche, sociali e ambientali.
Lei è stato Chief Statistician dell’Ocse, quali sono le sfide globali e oggettivamente i pericoli e le minacce più impellenti a livello globale?
La più grave minaccia che l’umanità è costretta ad affrontare viene dalla crisi climatica e dalle instabilità economiche e sociali che esso sta determinando. Parole non mie, ma del Segretario Generale dell’Onu António Guterres che ricorda come sia urgente agire per contrastare gli impatti di questa emergenza. Ci troviamo in un momento cruciale, l’Ipcc, l’organo scientifico a supporto della Convenzione Onu sul cambiamento climatico, ci ricorda che ci restano meno di dieci anni per scongiurare i più gravi disastri imposti dalla crisi climatica. Una priorità che deve spingerci a mettere in atto una serie di politiche di sviluppo sostenibile in grado di rendere il mondo un luogo più giusto, equo e inclusivo. Una trasformazione che non passa solo dalla transizione energetica, ma che deve mettere al centro il benessere collettivo, per un nuovo paradigma economico, sociale e ambientale. Qualcuno ha detto che la pandemia è come la crisi climatica, ma in “timelapse”, cioè a velocità supersonica. Forse fare questo paragone ci aiuta a capire che il clima deve avere la stessa priorità della lotta al Coronavirus.
Negli anni ha seguito vari progetti internazionali per individuare nuovi indicatori per il benessere dell’uomo e del mondo. A quali conclusioni è arrivato?
Quando, nel 2004, organizzai il primo Forum mondiale su “Statistica, Conoscenza e Politica” non sapevo che stavo avviando quello che poi è divenuto un movimento mondiale per andare “Oltre il Pil”, ma già nel 2005, quando lanciai il Global Project avevamo compreso di avere la possibilità di cambiare il paradigma di valutazione del benessere in tutto il mondo. Quello che abbiamo compreso in questi vent’anni di lavoro in tutto il mondo è che non possiamo guardare a un singolo indicatore, per quanto sofisticato. Abbiamo bisogno di una molteplicità di dati, non troppo ampia, ma in grado di coprire i diversi aspetti del benessere umano e del pianeta. I 17 indicatori compositi, relativi ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, che l’ASviS pubblica periodicamente per i paesi europei, per l’Italia e le sue regioni, sono un buon punto di equilibrio. Sintetizzano circa 100 indicatori elementari, ma consentono di costruire una sintesi esprimibile su due pagine, come facciamo nel Rapporto ASviS, dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali. Ma il problema non è statistico, quanto politico, perché se da tali analisi non discendono decisioni a favore dello sviluppo sostenibile non cambia nulla.
Si può andare veramente oltre il Pil? Sostenibilità ed economia circolare sono solo un’utopia o si possono tramutare in realtà?
In Italia e in Europa l’ossessione della crescita economica ha da sempre dominato il dibattito e orientato le politiche. Chiariamoci, con l’attuale sistema economico la crescita è importante per creare nuovi posti di lavoro e per far fronte all’enorme debito pubblico del nostro Paese. Ma il modello non è più in grado di diffondere benessere in tutte le aree della società e, anzi, scarica costi sui più deboli, e non parlo solo di quelli monetari ma anche sanitari e sociali. La sfida per andare oltre il Pil è sicuramente difficile, ma ci sono vari Paesi che ci stanno provando, disegnando le proprie politiche con lo sguardo su parametri totalmente diversi. È il caso della Nuova Zelanda, dove la prima ministra Jacinda Ardern mesi fa ha deciso di orientare l’azione di governo intorno al benessere, quale asse portante di tutte le politiche. Ma anche in Europa si muove qualcosa, il programma della presidente della Commissione Ursula von der Leyen è orientato allo sviluppo sostenibile e ai commissari è stato dato l’incarico di dare attuazione ai diversi Obiettivi di sviluppo sostenibile. Anche l’Italia si è dotata di strumenti avanzati, come il BES (Benessere Equo e Sostenibile). Il Coronavirus non deve fermare il processo di cambiamento, ma deve essere l’opportunità per accelerare questo cambiamento.
Quali secondo lei i pilastri su cui dovrebbe poggiare una società più “wise”, saggia?
I pilastri sono proprio quelli indicati dall’Agenda 2030. Dobbiamo lavorare insieme per assicurare il benessere del pianeta e delle persone, in un contesto di maggiore libertà, con un’ottica di lungo periodo, che rispetti la giustizia tra generazioni. Serve spirito di collaborazione, nessuno deve essere lasciato indietro nel processo di costruzione di un mondo in grado di tutelare anche la qualità dell’ambiente, dove vige il rispetto universale per i diritti dell’uomo e della sua dignità, per lo stato di diritto, per la giustizia, l’uguaglianza e la non discriminazione. Dove vi siano pari opportunità per la totale realizzazione delle capacità umane, alimentate da una crescita economica duratura, aperta a tutti e sostenibile. L’Agenda 2030 rappresenta un’opportunità, cogliamola.