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Mario Cucinella: «Servono politiche lungimiranti per rendere le città vivibili»

di Andrea Ballocchi
8 Giugno 2022

Traffico, verde urbano, qualità edilizia: su questi punti si deve lavorare per città a misura d’uomo. Lo afferma l’architetto e designer Mario Cucinella, che offre una chiave di lettura sul vero significato di architettura sostenibile, transizione ecologica e attenzione alla casa

In un periodo storico in cui la transizione ecologica è sempre più vitale per il presente e il futuro della nostra società, anche il tema del design e dell’architettura sostenibile è quantomai importante, come dimostra anche il Salone del Mobile e il FuoriSalone della Milano Design Week 2022, che ha incentrato nella sostenibilità il suo filo conduttore. Fra gli architetti che più incarnano questi temi nel loro modo di svolgere la professione c’è sicuramente Mario Cucinella, sempre attento a creazioni attente all’uomo e all’ambiente e che proprio alla Week milanese è presente con “Design with Nature” un’interessantissima installazione a Rho Fiera, nel padiglione 15 .

Cucinella è uno degli architetti più importanti e riconosciuti in Italia e a livello internazionale. Tante le sue opere che hanno ricevuto riconoscimenti, dal Centre for Sustainable Energy Technologies (CSET) di Ningbo (vincitore del prestigioso MIPIM award) al Nido d’Infanzia di Guastalla (Reggio Emilia), riconosciuto col Premio “Sterminata Bellezza” di Legambiente.

Mario Cucinella E Tecla

Foto Iago Corazza

La sua carriera spiega la coerenza di scelte che mettono al centro la sostenibilità: anche l’ultima opera, Tecla, casa in terra cruda costruita con una stampante 3D. Nulla è per caso.

Alla transizione ecologica ha dedicato non troppo tempo fa un articolo intitolato “L’ambiente e un viaggio di sola andata” in cui mette in luce come un’attenta politica debba tenere conto dei diritti della natura. “La ricaduta non è solo di salvaguardia e di crescita dell’ecosistema, ma di natura sociale. E questo tema deve essere al centro della transizione ecologica.”

Nell’era del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – dal quale l’Italia potrà disporre di oltre 240 miliardi di euro per mettere in pratica sei missioni di cui una dedicata proprio alla transizione ecologica e alla “rivoluzione verde”, abbiamo voluto incontrare Mario Cucinella e comprendere con lui cosa questo termine significhi e quali implicazioni abbia l’architettura per trasferire dalla teoria alla pratica alcune linee programmatiche di questo Piano.

Partiamo dal piano Nazionale e dalla transizione ecologica delineata. Che giudizio ne ricava?

Mi pare che più che sia più una transizione tecnologica; di ecologia c’è poco nel PNRR. Mi pare più che altro un adeguamento tecnologico o infrastrutturale necessario, ma a mio modo di vedere il concetto di “ecologia” è legato alla ricerca di equilibrio con la biosfera, ovvero il mondo da proteggere, da tutelare, l’ambiente che ci permette di vivere. Questo aspetto è considerato troppo poco. Anche sul tema edilizia spesso si utilizzano parole come ecologia e sostenibilità come un “condimento” generalizzato senza che abbia più il suo profondo significato.

Architettura sostenibile ed edilizia come vanno pensati?

Architettura ed ecologia paiono ossimori, antitetici: costruire implica comunque una trasformazione di materie prime, è legato a un processo industriale, ha un impatto ambientale significativo. Tuttavia, costruire è fondamentale, perché abbiamo necessità di abitazioni, di scuole, di ambienti dove vivere e lavorare. L’edilizia è un tema importante, che si può e si deve migliorare molto, a partire dalle filiere produttive: penso ai materiali edili, che si stanno comunque orientando verso un’attenzione verso l’economia circolare. C’è un grande lavoro che si sta facendo sui prodotti, sui componenti e un lavoro da fare su diversi aspetti: pensiamo, per esempio, agli scarti edilizi. Da qui l’importanza di ottimizzare il processo costruttivo, evitando o riducendo al massimo gli sprechi.

Quali sono gli aspetti importanti da considerare nel costruire in modo più sostenibile?

Occorre partire da un’attenta progettazione, che offre una prima, essenziale risposta.

Mario Cucinella

Foto di Amedeo Turello

Altrimenti poi si lavora per compensare gli errori, intervenendo con soluzioni impiantistiche compensative. Quindi, sono le scelte progettuali che si fanno su un determinato edificio a creare qualità o problemi che poi si cercano di risolvere in qualche modo. Per questo motivo gli architetti giocano un ruolo importante: ecco perché si parla di qualità del progetto. L’architettura non è un’avventura estetica, non è uno slogan pubblicitario, ma implica un rapporto fondamentalmente ambientale e sociale. Ben vengano anche le certificazioni, ma se si vuole centrare gli obiettivi europei che guardano alla riduzione e all’azzeramento delle emissioni occorre cambiare l’agenda attuale sul modo di concepire le costruzioni.

A proposito di Tecla: è l’esempio capace di unire innovazione tecnologica (stampa 3D) all’impiego di materia prima antichissima (terra cruda). È un esempio replicabile, e se sì anche in città?

Tecla è un prototipo, non mi sento di dire che sarà la soluzione a tutti i problemi, ma di certo vuole essere la rottura di un paradigma. Essa dimostra che è possibile ragionare di costruzioni con materiale a km zero, a zero emissioni, con materiali riciclabili. Se nell’agenda si considerano questi aspetti in una prospettiva di edilizia che voglia guardare agli obiettivi futuri, Tecla offre una risposta. La complessità della sua realizzazione sta nella progettazione, nella digitalizzazione, in elementi “leggeri” che però consentono di realizzare un’abitazione in 250 ore con un materiale antico come il mondo e naturale. D’altronde, se si vuole spingersi in là occorre cambiare qualcosa. Sarei già contento se nell’evoluzione di Tecla, anziché impiegare completamente la terra – che ha problematiche strutturali – la si combinasse anche, in misura anche solo del 20%, con un materiale cementizio o comunque in grado di favorire una maggiore stabilità: vorrebbe dire si è ridotto notevolmente il problema delle emissioni.

Cosa pensa del Superbonus 110%? Può essere una leva utile per realizzare un’edilizia efficiente?

Credo sia una buona opportunità per lavorare sul patrimonio edilizio esistente, che merita un’attenta opera di aggiornamento. Il Superbonus ha il merito di aver attivato molte opportunità e meccanismi economici che aiutano a rigenerare l’esistente e a centrare gli obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi e che L’Unione Europea e tutti i suoi Stati membri hanno firmato e ratificato e sono fermamente impegnati ad attuarlo, dandosi obiettivi cogenti al 2030 e al 2050.

Le città sono considerate dal ministro Cingolani come laboratorio per la crescita sostenibile. Com’è possibile combinare sostenibilità e resilienza in modo da renderle davvero “a misura d’uomo”?

Bisogna considerare la città come un ecosistema, che ha un proprio equilibrio e conta sulla interconnessione tra le sue parti. Per apportare cambiamenti, serve una visione politica che lavori con gradualità, ma con decisione e lungimiranza per apportare cambiamenti migliorativi al volto delle città. Possiamo cercare di renderle più abitabili, anche contando su una presenza maggiore di alberi, tuttavia essi non possono essere la panacea per tutti i mali. Sono utili per migliorare la vita quotidiana, ma sono altre le questioni da risolvere, considerando le peculiarità delle nostre realtà urbane. Occorre lavorare su politiche importanti come la riduzione del traffico urbano, prendendo posizioni nette. Solo così il verde urbano ha un senso, contestualizzato in una visione più ampia e organica.
Uno dei pochi “effetti collaterali” positivi, se vogliamo, della pandemia è che ci si è accorti un po’ ovunque del problema della qualità abitativa e si è cominciato a chiedere un’opinione anche agli architetti, spesso e volentieri non considerati. L’Italia è un Paese che sull’architettura e sull’urbanistica non ha mai voluto investire e gli effetti, purtroppo, si vedono. Ecco: servirebbe ascoltare la voce di professionisti competenti, capaci di dare una visione che la politica non ha più, perché vive di tempi talmente brevi che mal si conciliano con opere di lungo respiro e su temi di bene comune: trasporto pubblico, questione abitativa, verde, scuole. Su questi punti servirebbe una “pace sociale” su cui condividere una strategia di medio e lungo termine.
Oltre a quella degli architetti, serve una visione di sociologi, economisti… La città, infatti, non può essere solo una questione di progettazione architettonica o infrastrutturale.

La casa, infine: con la pandemia è stato uno spazio riscoperto. Su cosa si deve puntare per renderle abitabili e vivibili?

Pensiamo ai condomini e alla loro struttura tradizionale, spesso composta da “una scala con tanti appartamenti attorno”. L’ideale sarebbe prevedere negli edifici di spazi di condivisione, dove poter fare coworking stando vicini a casa, per esempio. Sulle nuove costruzioni tutto è possibile, come esemplifica bene SeiMilano. Nello sviluppo di nuove realtà c’è l’idea di conciliare necessità abitative e lavorative. Sull’esistente è più complesso.
Di certo, la pandemia ha rotto un modo di pensare che vedeva il futuro orientato nelle grandi città. Oggi non è così, o non lo è in maniera così prevalente: si tornano a considerare realtà urbane di grandezza medio-piccola, vicine alle grandi città, come si è cominciato a mettere al centro la qualità di vita delle persone.

Andrea Ballocchi

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