Lo dice l'ultimo rapporto dell'Ispra che calcola il costo economico annuo (16 miliardi di euro) dello spreco indicando anche le gravi ripercussioni per l’ambiente (il 7% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera).
Un anno dopo l’entrata in vigore della legge antispreco, che incentiva il sistema delle donazioni, la quantità di cibo elargita è cresciuta del 20%. Un dato incoraggiante, ma che non permette di parlare dello spreco alimentare al passato, soprattutto in Italia. Ogni giorno, infatti, ogni italiano dissipa una quantità di cibo corrispondente a un apporto energetico di 960 chilocalorie: all’incirca la metà di quelle che dovrebbe consumare una persona normopeso in una giornata di dieta equilibrata.
I dati sullo spreco alimentare in Italia
Il dato emerge dal rapporto «Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali», con cui l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha fotografato la situazione degli ultimi otto anni: quelli compresi tra il 2007 e il 2015. Il contributo, superiore alla media mondiale (660 chilocalorie), si traduce in un costo economico annuo pari a 16 miliardi di euro. Ma più gravi sono le ripercussioni per l’ambiente, se si considera che lo spreco alimentare contribuisce al 7% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera.
L’impronta ecologico dello spreco alimentare
Il rapporto fornisce dati e informazioni sull’impronta ecologica dello spreco, che incide sul cosiddetto deficit di biocapacità: ossia la capacità potenziale di erogazione di servizi naturali. Il dato in Italia raggiunge la quota del 18%. I suoi effetti ambientali sono associati soprattutto alle fasi iniziali della catena di produzione agroalimentare.
Dopo quasi mezzo secolo dalla cosiddetta «Rivoluzione Verde», che ha pure avuto il merito di incrementare la produttività agricola, è dunque sempre più evidente che i sistemi alimentari, soprattutto quando hanno assunto forme d’intensificazione, sono stati una delle cause scatenanti dell’alterazione dei processi climatici, dei cicli dell’azoto e del fosforo, della perdita dell’integrità biologica, della riduzione della disponibilità di acqua e del consumo di suolo fertile.
Dal dossier s’evince pure un notevole aumento di sprechi tra produzione e fornitura (+48%), una sovralimentazione in fortissimo aumento (+144%) e uno spreco in consumo e vendita al dettaglio che diminuisce del 23%. Nel mondo la sovralimentazione media rappresenta il dieci% del consumo e arriva al 16% in Italia. Mediamente agli aumenti del fabbisogno alimentare si risponde con eccessi crescenti di forniture, consumi e ancor più raccolti, generando aumenti esponenziali di spreco. Al contrario con la riduzione di produzione e forniture calano anche gli sprechi.
Cosa fa aumentare lo spreco alimentare?
Nel fabbisogno alimentare, l’Italia continua a perdere terreno: il tasso di auto-approvvigionamento è sceso all’80%, soprattutto in conseguenza dell’esodo rurale e dell’abbandono agricolo che vede l’Italia al primo posto in Europa. Il rapporto dell’Ispra indica come spreco alimentare la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali e le capacità ecologiche e acclude a esso elementi edibili basilari ma poco considerati: come sprechi per «non rese» produttive e perdite prima dei raccolti, sovralimentazione nel consumo, perdita nutrizionale, perdite nette di prodotti usati in allevamenti, usi industriali ed energetici, sprechi di acqua potabile. Dal documento s’evince pure nei sistemi alimentari locali, ecologici, solidali e provenienti da piccole aziende, lo spreco è mediamente otto volte inferiore a quello delle imprese agricole di grandi dimensioni.
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