Dino Impagliazzo, pensionato 86enne di Roma ogni giorno con la sua onlus RomAmor raccoglie cibo invenduto e lo distribuisce a centinaia di senza fissa dimora della capitale
Nell’epoca dello spreco alimentare, tutto è iniziato con un panino. «Me lo chiese un giorno un senzatetto, davanti alla stazione Tuscolana», racconta Dino Impagliazzo, 86 anni, ex dirigente in pensione di Roma che ormai da anni è diventato un punto di riferimento per centinaia di senza fissa dimora della Capitale. «Ne comprai uno al bar per questo ragazzo, ma dal giorno dopo cominciai a prepararli a casa mia. Prima da solo, poi coinvolgendo i condomini del mio stabile. Adesso serviamo più di duecento pasti caldi a settimana, tra le stazioni Tuscolana e Ostiense». L’altra faccia della medaglia dello spreco alimentare, che ancora oggi nel mondo porta a dissipare un terzo del cibo prodotto, è quella rotonda e segnata dal tempo del signor Dino. Poco a poco il suo progetto di solidarietà si è trasformato nella onlus RomAmor, dove prestano servizio 350 volontari che, quattro volte a settimana, distribuiscono oltre duecento pasti.
Qual è il suo rapporto coi commensali?
Mi vogliono bene e mi rispettano, anche se all’inizio erano un po’ diffidenti. Pensavano che facessi tutto ciò per soldi. Invece poi hanno compreso che a muovermi è l’amore per il prossimo.
Chi sono i suoi utenti più affezionati?
La metà delle persone alle quali offriamo un pasto sono italiani. Molti di loro, fino al giorno prima, vivevano in una casa con una famiglia, ma poi hanno divorziato e si sono trovati per strada. Altri hanno perso il lavoro e non possono più permettersi un affitto o di acquistare beni di prima necessità.
Come si rapporta con loro?
Cerco sempre di capire come possa aiutare una persona in difficoltà, non soltanto servendogli un pasto caldo. Presso le stazioni ferroviarie dove serviamo il cibo portiamo anche dei medici che visitino gratis i senzatetto, organizziamo per loro dei corsi di lingua italiana gratis, cerchiamo di dare una mano dal punto di vista psicologico, del contatto umano. Il cibo serve per mangiare, ma poi una persona va assistita in tutti i suoi bisogni. Adesso stiamo organizzando uno spazio dove potranno alloggiare temporaneamente questi senza dimora. Molto spesso queste persone giungono in Italia di passaggio per poi dirigersi verso altri Paesi.
Da chi acquista il cibo da preparare poi ai senzatetto?
Mi rifornisco da chi mi conosce e da chi sa che, assieme ai miei collaboratori, portiamo il cibo gratuitamente a chi ne ha bisogno. C’è il piccolo commerciante ambulante che ci offre il sabato frutta e verdure, che non arriverebbero mai al lunedì. Poi ci sono grandi catene di supermercati che ci contattano e ci offrono grandi carichi di prodotti di prossima scadenza, che possono essere usati per cucinare. Ci sono alcuni panettieri che ci chiedono di passare a ritirare da loro, a fine giornata, tutto il pane o la pizza invenduti. Viviamo del passaparola: se le persone sanno che si può fare del bene gratuitamente, sono più felici.
Quanto è stata importante, in questo senso, la legge anti-spreco?
Direi che ha segnato una piccola svolta, sia per noi sia per le associazioni più grandi. È fondamentale trasmettere a ogni cittadino la consapevolezza che troppo cibo viene buttato e che lo stesso potrebbe sfamare tante persone gratuitamente. Ma sul piano della sensibilizzazione sul tema dello spreco alimentare, rimane ancora molto da fare. Non sprecare quello che non ci occorre e utilizzarlo in modo utile per altri ci aiuta a migliorare il mondo in cui viviamo.
Cosa trae in cambio da questa esperienza?
Dietro a un pasto caldo e a una coperta si intrecciano volti, storie, lacrime e sorrisi. Pachistani, marocchini, polacchi, italiani, rumeni e tunisini: ci sono tutti nel microcosmo di una stazione. Essere lì per aiutarli contribuisce a sentire quel mondo anche un po’ nostro. La diversità così diventa un’opportunità per arricchirsi, incrociando il sorriso e lo sguardo con persone che vivono un periodo meno fortunato.
Dove intendete arrivare grazie al vostro operato?
Abbiamo messo su una casa di accoglienza ai Castelli Romani: al momento sono ospitate venti nigeriani scappati dalla violenza di Boko Haram. L’obiettivo è creare altre strutture come questa. Siamo alla ricerca di altri spazi per l’ospitalità, speriamo che qualcuno che ne abbia la possibilità possa metterli a disposizione della nostra causa.
Twitter @fabioditodaro