Wise Society : Il riscaldamento globale fa aumentare le allergie

Il riscaldamento globale fa aumentare le allergie

di Rosa Oliveri
1 Marzo 2021

I cambiamenti climatici hanno un’incidenza importante sulle malattie respiratorie.  A causa del surriscaldamento globale, il periodo dell'impollinazione, a livello mondiale, si è dilatato, allungando la permanenza dei pollini nell'aria. E i soggetti allergici ne pagano le conseguenze

C’era una volta la primavera, stagione dell’anno più temuta dagli allergici. C’era una volta, perché a causa del surriscaldamento il periodo dei pollini, a livello mondiale, si è molto dilatato. Il riscaldamento globale, infatti, ha un’incidenza importante anche su questo aspetto visto che, è ormai assodato, esiste una importante correlazione tra surriscaldamento globale e allergie.

foto di un soffione: il legame tra allergie e riscaldamento globale

Foto di Coley Christine / Unsplash

Allergie: perché il riscaldamento globale le fa aumentare? 

Gli allergici, si sa, vivono il periodo dell’impollinazione come un vero e proprio incubo. Occhi gonfi, naso chiuso e starnuti. L’unica nota positiva nella lotta alle allergie è che, in genere, ci si convive per un periodo circoscritto alla primavera inoltrata.

Purtroppo, però, tra gli effetti negativi del riscaldamento globale c’è anche l’allungamento del periodo dei pollini. La lotta all’inquinamento atmosferico, quindi, riguarda anche la salute dell’apparato respiratorio. Il peggioramento della qualità dell’aria, infatti, comporta un aumento generale dei problemi di salute soprattutto in bambini, anziani, immunodepressi, e una maggiore incidenza sulle allergie. Una situazione destinata a peggiorare proprio in virtù del riscaldamento globale.

L’innalzamento delle temperature sta infatti prolungando il periodo di pollinazione delle piante e con i pollini che circolano nell’aria più a lungo i sintomi per gli allergici diventano una vera tortura. Non solo: le temperature più alte e la scarsa piovosità portano a un clima più secco, di conseguenza anche i pollini diventano più leggeri e raggiungono distanze più lontane.

Oms: il riscaldamento globale influisce sulle malattie respiratorie

Nel mondo scientifico, di fatto, non esistono dubbi sulla correlazione tra riscaldamento globale e concentrazioni atmosferiche di gas serra, che sono aumentate del 30% dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, gli effetti sulla salute causati dai cambiamenti climatici, in particolare quelli dovuti al progressivo riscaldamento del pianeta, saranno tra i più rilevanti problemi sanitari da affrontare nei prossimi decenni.

E gli effetti dei cambiamenti climatici sulle malattie respiratorie e allergiche sono numerosi: è da tempo nota la correlazione tra asma e fattori climatici quali variabili meteorologiche, allergeni e inquinanti atmosferici.

Il legame tra riscaldamento globale e aumento dei pollini, infatti, era già emerso durante alcuni esperimenti effettuati in passato e in serra. Inoltre, già nel 2010 l’Asthma and Allergy Foundation of America e la National Wildlife Federation avevano redatto un rapporto sull’incidenza del surriscaldamento sulle malattie respiratorie, prevedendo l’accrescimento delle patologie di asma e allergia a causa della diffusione di polline, muffe ed edera velenosa.

Lo studio americano: l’impollinazione dura 30 giorni in più

A distanza di dieci anni, arriva ora lo studio pubblicato su Pnas, Proceedings of the National Academy of Sciences dal Dipartimento di Biologia dell’Università dello Utah, secondo il quale oggi il periodo dell’impollinazione dura più a lungo ed è molto più intenso rispetto a 30 anni fa. E questo cambiamento è indubbiamente legato all’innalzamento delle temperature globali provocato dalle attività umane.

I dati dello studio americano, su larga scala, e con prove statistiche che non permettono dubbi, rivela i risultati dei monitoraggi effettuati e i campioni di polline raccolti tra il 1990 e il 2018 da 60 stazioni tra Stati Uniti e Canada gestiti dal National Allergy Bureau. I ricercatori hanno valutato che in tutto il Nord America, dal 1990 al 2018 si è registrata una variazione sia dei tempi del periodo di impollinazione sia dell’intensità. Secondo i dati l’impollinazione inizia mediamente 20 giorni prima e dura 10 giorni di più e si registra un incremento complessivo del 21% su tutto il territorio nordamericano. Inoltre, pare che l’intervento umano sul clima abbia contribuito per il 50% all’andamento delle stagioni del polline e per circa l’8% all’andamento della concentrazione del polline.

Ragazza con allergia

Foto di cenczi da Pixabay

Allergie e riscaldamento globale: la situazione in Italia

In Italia – dove le patologie allergiche riguardano 15 milioni di persone e sono la quarta causa di malattia cronica – uno studio dell’Università di Perugia ha mostrato come il picco dell’allergia asmatica non venga più raggiunto a luglio, ma ben prima, con una concentrazione di pollini ben più alta rispetto al passato.

In modo particolare, l’incremento dei casi riguarderebbe l’allergia al polline di cipresso, soprattutto nel centro Italia. Le piante a fioritura primaverile ed estiva tendono a produrre più polline e per periodi più lunghi. Inoltre, una ricerca sulla sensibilizzazione al polline di cipresso ha evidenziato un aumento dei pazienti sensibilizzati in centro Italia e, rispetto a vent’anni fa, un ritardo della produzione di polline, da febbraio a marzo, con un prolungamento della stagione di fioritura fino alla primavera. L’olivo invece è stato analizzato in diverse regioni italiane, osservando un progressivo incremento di polline nell’atmosfera, in un periodo che ormai va da aprile alla fine di giugno. Infine, anche muffe ed edera velenosa si sono diffusi maggiormente a causa dell’innalzamento delle temperature in tutto il mondo.

Rosa Oliveri

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