Wise Society : Migrazione sanitaria: un fenomeno con numeri record

Migrazione sanitaria: un fenomeno con numeri record

di Fabio Di Todaro
13 Settembre 2018

Sempre di più gli italiani che scelgono di muoversi per curarsi. Un fenomeno che - secondo il Censis - fa spostare dal solo Mezzogiorno 258mila persone l'anno soprattuto verso le strutture ospedaliere del Nord

La medaglia presenta almeno tre facce: c’è chi parte per necessità, chi per praticità e chi perché alla ricerca di una migliore qualità. Quando si parla di migrazione sanitaria, occorre considerare almeno tre aspetti. Si tratta di tre ambiti diversi che, pur presentando oggettive difficoltà, legate sia alla malattia e agli spostamenti, hanno profonde differenze per ciò che riguarda la dimensione del disagio, che in molti casi appare ancora gestibile, mentre in altri sembra toccare i limiti dell’umana sopportazione. Comune denominatore sono i disagi. Vero è che non è pensabile avere l’eccellenza sempre sotto casa, come a giusta ragione sempre più spesso devono ricordare gli specialisti: a pazienti, parenti e lettori convinti di poter avere un ventaglio di cure a 360 gradi nel raggio di cinquanta chilometri. Ma è tangibile il disagio che, soprattutto muovendosi da Sud a Nord, affrontano migliaia di persone, spesso anche per cause mediche che non renderebbero la migrazione sanitaria ineluttabile.

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Migrazione sanitaria: Sono circa 750mila l’anno i ricoveri in mobilità ospedaliera interregionale. Il 25 per cento di questi pazienti si allontana di non oltre cento chilometri da casa, mentre un altro 23 per cento compie un viaggio di oltre quattrocento chilometri, image by Flickr

MIGRAZIONE SANITARIA: I NUMERI – Sono circa 750mila l’anno i ricoveri in mobilità ospedaliera interregionale. Il 25 per cento di questi pazienti si allontana di non oltre cento chilometri da casa, mentre un altro 23 per cento compie un viaggio di oltre quattrocento chilometri. Questo non vuol dire però che il fenomeno della migrazione sanitaria interessi un numero altrettanto elevato di persone, perché alcuni vengono ricoverati più di una volta nello stesso anno. Inoltre alcuni passano da ricoveri in regime ordinario a ricoveri in regime diurno o ancora da un ospedale ad un istituto di riabilitazione. Una certa componente di questa migrazione è «casuale». Ovvero: circa il dieci per cento dei ricoveri fuori regione avviene a seguito di un incidente o di una malattia sopraggiunta quando il paziente si trovava in viaggio. I numeri più significativi riguardano invece i viaggi dal Sud al Nord del Paese, che ricadono nell’area della «necessità». Si parte, cioè, perché impossibilitati a fruire, nella propria regione, delle prestazioni mediche di cui si necessita o per la presenza di liste d’attesa che allungano eccessivamente i tempi per ottenerle. Secondo il settimo rapporto Rbm redatto dal Censis, la migrazione dal Mezzogiorno del Paese è un fenomeno che riguarda 258mila persone. Le regioni da cui si parte di più sono la Campania (56 mila partenze annue), la Sicilia (43mila), la Calabria e la Puglia (40mila). I poli attrattivi sono rappresentati principalmente da Roma, Milano, Genova, Bologna, Padova, Firenze, Pisa e Siena. Ma si emigra per «necessità» anche dalle regioni più piccole verso quelle più grandi del centronord, alla ricerca dei poli ospedalieri più attrezzati e specializzati.

CHI EMIGRA? – Questo fenomeno, che diversi osservatori ed esperti descrivono in crescita, innesca un giro d’affari di 4,6 miliardi di euro. A pagare sono soprattutto le regioni meridionali, che invece di investire sul proprio territorio si trovano costrette a rimborsare (attraverso il meccanismo della compensazione tra Regioni) le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove. La Regione Calabria perde oltre il sette per cento del suo budget sanitario a causa dell’emigrazione dei suoi cittadini: si tratta di oltre 265 milioni di euro l’anno, che potrebbero invece essere investiti in strutture e professionalità. A seguire ci sono la Campania (ne perde 235) e la Sicilia (155). La Regione più attrattiva in mobilità sanitaria è la Lombardia che incassa oltre 800 milioni di euro, seguono l’Emilia-Romagna con 358 e il Veneto con 161. Bene anche Liguria e Toscana, grazie alle ottime performance del Gaslini di Genova e dell’Ospedale Meyer di Firenze. Ma chi sono i pazienti che più spesso emigrano? Particolarmente significativa è la migrazione dei minori, le malattie pediatriche spesso prevedono periodi di permanenza lunghi, perché relativi a patologie complesse, e il coinvolgimento di entrambi i genitori, i quali, più frequentemente che nei casi di pazienti adulti, i cui accompagnatori sono spesso pensionati, hanno maggiori problemi legati al lavoro. Analogamente per i malati ci sono i problemi connessi alla scuola e infine il peso della socializzazione per loro è maggiore. Particolare attenzione richiede la questione dei pazienti oncologici: anche in questo caso trattasi molto spesso di migrazione per «necessità». La forza di attrazione dei grandi centri specialistici è maggiore: basti pensare che dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia-Romagna, dalla Toscana e dal Lazio ogni anno si muovono tra quattromila e seimila persone per problemi connessi con un tumore. Mentre dalla Campania sono oltre dodicimila, novemila dalla Calabria e quasi ottomila dalla Sicilia. Questo vuol dire che, mentre nel caso delle migrazioni sanitarie ordinarie, esiste una proporzione tra regioni del nord e regioni del Sud, nel caso dei pazienti oncologici tale proporzione viene raddoppiata. Inoltre nel caso dei pazienti oncologici salta quasi completamente la migrazione di prossimità nel Mezzogiorno e quasi l’ottanta per cento dei malati migra verso le regioni del centro nord.

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Le regioni da cui si parte di più in migrazione sanitaria sono la Campania (56 mila partenze annue), la Sicilia (43mila), la Calabria e la Puglia (40mila). I poli attrattivi sono rappresentati principalmente da Roma, Milano, Genova, Bologna, Padova, Firenze, Pisa e Siena, image by iStock

IL SOSTEGNO DAL MONDO DEL NON PROFIT – Quando si parla di migrazione sanitaria, rimane sullo sfondo la figura degli accompagnatori, che però ha un ruolo nevralgico in questo senso: tanto per il paziente quanto per i forzieri di chi incassa. Sempre secondo il Censis, nel 2017 sono state oltre 825mila le persone (quasi sempre parenti) che hanno accompagnato un malato a curarsi a distanza. E se i pazienti devono affrontare soprattutto la spesa del viaggio e dell’alloggio, quando si tratta di day-hospital, l’accompagnatore deve pagarsi vitto e alloggio, oltre a dover assentarsi dal lavoro. Quindi al disagio emotivo della malattia, si aggiunge quello pratico dello spostamento, il costo economico diretto per il vitto e alloggio e infine il mancato guadagno o comunque l’indebolimento della propria situazione professionale. Ecco perché, all’interno delle famiglie, si tende a «sacrificare» colui che può assentarsi dal lavoro: la metà di essi infatti è o casalinga o pensionato, anche se non mancano operai e impiegati. Pazienti e parenti dunque si trovano a dover sostenere una spesa notevole (e spesso difficilmente quantificabile all’inizio) per curarsi lontano da casa. In loro aiuto, però, nei luoghi di cura giungono diverse organizzazioni non profit. Una di queste è «CasAmica onlus» associazione impegnata da oltre trent’anni a offrire accoglienza e supporto ai pendolari della salute e ai loro accompagnatori: mettendo a disposizione le proprie case di accoglienza, dove queste persone trovano il conforto e il sostegno dei numerosi volontari e operatori. Attualmente la onlus gestisce sei strutture di accoglienza distribuite tra Milano, Roma e Lecco per un totale di circa duecento posti letto. A Milano, in particolare, sono presenti tre case per gli adulti e una pensata appositamente per i bambini e i loro familiari. Quella di Roma, immersa in un grande spazio verde, accoglie sia adulti che bambini con i loro genitori. Mentre la dimora di Lecco è nata per accogliere in particolare i malati che devono affrontare una lunga riabilitazione e non hanno una rete di parenti e amici in grado di aiutarli.

Twitter @fabioditodaro

 

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