Wise Society : Emissioni inquinanti e Coronavirus: intervista a Giovanni Vallini
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Emissioni inquinanti e Coronavirus: intervista a Giovanni Vallini

di Fabio Di Todaro
23 Marzo 2020

C'è correlazione tra lo stop imposto dall'emergenza Coronavirus e la diminuzione dell'inquinamento? La parola all'esperto in microbiologia dell'Università di Verona

Come già successo in Cina, anche la Pianura Padana, tra le zone più inquinate d’Europa, sta traendo giovamento dai blocchi imposti dall’emergenza Coronavirus. Dalle immagini dei satelliti si evince che, con la riduzione degli spostamenti e con le fabbriche a regime ridotto, la qualità dell’aria è decisamente migliorata.

Ma questo effetto positivo durerà nel tempo o torneremo ben presto ai livelli di inquinanti cui eravamo purtroppo abituati? Abbiamo chiesto a Giovanni Vallini, ordinario di microbiologia agraria dell’Università di Verona, di fare luce sulla questione, rispondendo a qualche domanda

La gran parte degli italiani è a casa e la qualità dell’aria migliora: quali sono le ragioni, oltre al minor numero di auto in giro?

Le emissioni di gas di scarico dovute al traffico veicolare contribuiscono pesantemente all’inquinamento dell’aria specialmente nelle aree metropolitane, quali gran parte del bacino padano. Gli scarichi veicolari contengono principalmente monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi, particolato sospeso e quantità variabili di anidride solforosa. In uno scenario mondiale in cui ci si affanna ormai a contrastare la pandemia causata dal nuovo Coronavirus, l’Italia, grazie alle misure adottate, sta registrando un crollo del traffico veicolare, ma anche delle attività produttive. Da qui la netta riduzione delle emissioni. Di conseguenza, l’aria è tornata a essere pulita come forse non si vedeva dai tempi della crisi petrolifera degli anni ‘70 del secolo scorso, quando lo stop al traffico automobilistico spinse i cittadini a riappropriarsi delle città sgombre da veicoli con uscite di massa a piedi e in bicicletta.

Empty streets of Milano

Foto: Michele Novaga

Si tratta di un effetto positivo che potrebbe durare nel tempo?

In mezzo a tanta angoscia per l’emergenza sanitaria, questa evidenza non può che consolarci. Ma il contingente miglioramento della qualità dell’aria è destinato a regredire rapidamente nel momento in cui il nostro Paese riprenderà il suo ritmo normale. Ciò dovrebbe però spingerci, adesso che ci accorgiamo quanto il traffico veicolare ammorba le nostre vite, a una riflessione per scelte strategiche di cambio di passo e durature in termini di contenimento degli impatti ambientali per uno sviluppo sostenibile, nei fatti e non soltanto nelle buone intenzioni.

Come mai finora il Coronavirus ha colpito aree con un determinato clima e non altre?

È ancora presto per delineare ipotesi precise sulle condizioni eco-climatiche che potrebbero favorire l’affermazione e la diffusione del Coronavirus in alcuni aree geografiche piuttosto che in altre. Sappiamo ancora ben poco circa le reali preferenze in termini dei parametri ambientali che possano favorire lo sviluppo di questo virus. L’unico riferimento utile viene dagli studi condotti su altri Coronavirus già conosciuti per essere agenti eziologici di malattie respiratorie nell’uomo.

Cosa ci dicono questi lavori?

Che basse temperature ed elevati valori di umidità sembrano favorire la sopravvivenza di questi virus. Ma, ripeto, è ancora troppo presto per dire che l’emergenza rientrerà con l’inoltrarsi della primavera.

E poi?

Che si tratta di virus che tendono a essere annientati da più comuni antisettici e disinfettanti, oggi di fatto presenti in quasi tutte le case.

Fra tamponi, guanti in lattice e mascherine, nell’ultima settimana i rifiuti ospedalieri a rischio infettivo sono aumentati del 20%. È vero che potrebbero essere trasformati in energia, aprendo la strada a una nuova frontiera dell’economia circolare?

Semmai sia possibile dal repentino accumulo di rifiuti ospedalieri trarre un qualche vantaggio attraverso un corretto protocollo di smaltimento e trattamento, bisogna considerare che per legge tali rifiuti devono essere distrutti tramite incenerimento. Se, in un’ipotesi di ottimizzazione della filiera di smaltimento, si accertasse la compatibilità e li si convogliasse in termovalorizzatori dotati di sistemi di recupero energetico, avremmo fatto certamente un bel passo avanti.

Twitter @fabioditodaro

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