Il coordinatore delle squadre di supporto per l'Emergenza psicosociale della Croce Rossa Italiana racconta che chi è a contatto con persone sofferenti, rischia di dover affrontare la stessa sindrome da lavoro correlato. Perchè si porta dietro il carico emotivo di malessere e solitudine delle persone assistite
La Croce Rossa agisce tramite l’impegno gratuito, organizzato e continuativo di più di 150 mila soci attivi, appartenenti a sei distinti gruppi di volontariato, specializzati in attività diverse. Lavora in tempo di pace come di conflitto e abbastanza recenti sono gli interventi ad Haiti e in Abruzzo, zone devastate dal terremoto. I volontari sposano i sette principi fondamentali del movimento internazionale di Croce Rossa, che ne costituiscono lo spirito e l’etica: Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontariato, Unità e Universalità. Umanità, non a caso valore posto in cima alla lista, significa però partecipazione ed empatia, con lo stress che ne deriva, stress che i volontari non sempre riescono a gestire al meglio. Ne abbiamo parlato con Antonio Zuliani, psicologo e psicoterapeuta, dal 2006 coordinatore delle squadre di supporto per l’Emergenza psicosociale della Croce Rossa Italiana.
In cosa consiste lo stress del volontario?
Le attività della Croce Rossa Italiana sono molto diversificate nell’ambito del soccorso sanitario e dell’assistenza sociale e di conseguenza lo sono anche le pressioni psicologiche cui sono sottoposti i volontari. Il trait d’union è rappresentato dal fatto che tutti noi ci facciamo carico del disagio, della sofferenza e della solitudine delle persone che assistiamo: il contatto crea una forte empatia che nei casi più gravi può causare nel volontario una sindrome post traumatica da stress, anche se è piuttosto raro. Mediamente si riscontra una sofferenza personale significativa che rientra nel rischio psicosociale dell’attività di volontariato.
Rientra anche nei casi di rischio da stress lavoro-correlato previsti dal dl 81 del 2008?
Direi di sì. Non è catalogabile come malattia secondo i criteri dell’Inail, ma alla lunga può creare dei problemi nella vita personale del volontario. Chi lavora molto con i bambini sofferenti, per esempio, tende poi a non essere un padre o una madre sereni perché porta a casa un carico di ansia che proietta sui propri figli. Anche il mondo del no profit segue la normativa sulla valutazione dello stress lavoro-correlato ma il legislatore ha un po’ derubricato il volontariato, concedendo una deroga: ovvero è obbligatorio attivarsi per la sicurezza del lavoro volontario anche sotto questo punto di vista, ma con un grado di “pressione” meno rilevante. In Cri, però, sappiamo quanto può essere pesante lo stress da soccorso e quindi ci siamo attivati da anni con iniziative che vanno oltre l’applicazione del decreto.
Quali sono?
Il nostro Commissario Nazionale ha fatto stendere le linee guida per un servizio di assistenza psicologica del personale. Abbiamo molti volontari psicologi e molti altri ne stanno arrivando viste le ultime emergenze. L’obiettivo è quello di creare un vera e propria squadra interna dedicata a questa attività di supporto, una squadra che opererà a livello nazionale; saremo la prima organizzazione no profit a costruire una struttura ramificata e attenta al proprio personale volontario con un lavoro che dovrà essere continuato nel tempo
Come operate?
Si lavora molto sulla formazione e sulla prevenzione. È importante che i volontari prendano coscienza delle situazioni che affronteranno e del loro carico emotivo: spieghiamo loro che potrebbero pensare e sentire una serie di cose e quali, disagi di tipo emotivo ma anche fisico. Quando ti trovi a contatto costante con gente che ha perso tutto per il terremoto come è successo in Abruzzo è normale provare ansia, non dormire, sentirsi in colpa o inadeguati alla situazione, stare male. Spieghiamo che non sono loro a essere strani o sbagliati e questo è già un modo per gestire lo stress. Insegniamo loro delle tecniche di rilassamento e soprattutto li abituiamo a tirare fuori i “grumi” emotivi: li educhiamo a parlare delle proprie emozioni, anche negative, dopo le esperienze più forti come quella, appunto, dell’Abruzzo perché le conoscano e le riconoscano; dalla comprensione nasce l’accettazione e quindi una maggior serenità per quello che è possibile.
Una sorta di psicoterapia…
La psicoterapia è più un lavoro del terapeuta sull’individuo. Questo invece è un lavoro di gruppo perché siamo una squadra prima, durante e dopo l’intervento. Così funziona. È una questione di forma mentis. Chi esce di notte per dare assistenza ai senza tetto, per esempio, non porta solo cibo e coperte ma si mette in relazione con un mondo altro, con persone che spesso hanno un atteggiamento di rifiuto e di ostilità verso chi cerca di interagire con loro. Tutto questo non solo è molto stressante per il volontario ma richiede che lui si ponga il tipo di atteggiamento psico-emotivo giusto: per non fare pressioni e non creare disagio sia a chi assiste sia a stesso.
E per quanto riguarda le attività previste dalla normativa?
Ci saranno anche quelle. Il commissario Rocca darà l’incarico alle RSPP (Responsabili Servizio Prevenzione e Protezione) per la valutazione dei rischi dello stress lavoro-correlato. Tenendo conto che le tecniche, i problemi e le tempistiche sono diverse, alcuni indicatori sono in comune. Penso al turn over accentuato che però, se in azienda è un segnale di stress e disagio, in un’associazione come la nostra può riflettere un momento di disinteresse, anche momentaneo, del volontario. Non si tratta di un obbligo ma di una scelta quindi, accettando i criteri di carattere generale, bisogna poi trovare degli indicatori più specifici legati alle reazioni emotive alle situazioni affrontate.