Wise Society : Il burnout dei ristoratori, come metterlo a fuoco e affrontarlo

Il burnout dei ristoratori, come metterlo a fuoco e affrontarlo

di Mariella Caruso
5 Marzo 2022

Aumento di ansia, irritabilità, isolamento e tristezza. Sono alcune delle criticità evidenziate dal primo studio italiano scientifico che indaga le cause dello stress nei settori della ristorazione realizzato dall’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto con l’Ordine degli Psicologi del Lazio. Uno studio cominciato alla fine del 2019 che è durato due anni e che, solo per coincidenza, si è sovrapposto alla crisi pandemica da Covid-19 evidenziando la condizione di confusione, incertezza, e disagio dei professionisti della ristorazione.

Cucina di un ristorante

Foto Shutterstock

Sindrome da burnout nel settore della ristorazione: lo studio

Chi bazzica il mondo della ristorazione conosce bene le problematiche del settore caratterizzate da molte situazioni di burnout, ovvero la sindrome da stress lavorativo frequente soprattutto nelle professioni ad elevata implicazione relazionale. I motivi non sono difficili da comprendere. «La fatica fisica, la concentrazione, l’accentramento di tante responsabilità, l’allargamento della platea, le review dei giornalisti e clienti, sfibrano profondamente. Un giorno ci si alza e ci si rende conto di essere ‘burned’», dice la chef e patron del ristorante Glass Hostaria di Roma, Cristina Bowerman, che da presidente dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, ha voluto fortemente lo studio (disponibile in formato e-book per tutti) premiato anche dal programma internazionale “50 Best For Recovery”, nell’ambito di “The World’s 50 Best Restaurants”. «Abbiamo scelto di premiare lo studio con il nostro Recovery Fund progetti a lungo termine. C’era attenzione sulla human sustainability già prima della pandemia e adesso ce n’è ancor più bisogno», ha chiosato il director of content di The World’s 50 Best Restaurants e The World’s 50 Best Bars global, William Drew.

«Il mio chef mentore ripeteva sempre che uno chef bravo è quello che previene gli incendi, non chi è in gamba a spegnerli», ha sottolineato Bowerman presentando lo studio firmato dagli psicologi David Pelusi, Isabella Corradini e Franco Amore, che si conclude con un repertorio di “buone prassi” per il settore. «Paradossalmente, la situazione emergenziale e le criticità emerse hanno dato lo spunto per trovare nuove strade e rimettere in discussione un sistema che, per molti, già era al limite da molto tempo», è stato spiegato.

Cristina Bowerman

Cristina Bowerman – Foto Andrea Federici

I risultati dei questionari

La premessa doverosa è che le risposte ai quesiti proposti sono arrivate su base volontaria e quindi il campione non è statisticamente significativo. Questo, però, non significa che non siano indicative di tendenze in atto.

Le criticità relative al settore della ristorazione sono riconducibili a:

  1. turnover del personale (80,18%);
  2. equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (55,85%)
  3. orari di lavoro (54,95%)
  4. carichi di lavoro (54,05%).

I sintomi più ricorrenti correlati al burnout, che aumentano proporzionalmente con l’aumentare degli anni di lavoro e sono più pervasivi in chi lavora da oltre 20 anni, sono:

  1. criticità del sonno, in crescita nell’ultimo anno (54,45%),
  2. ansia (40,54%),
  3. tristezza (38,73%)
  4. isolamento sociale (34,90%).

Tra chi ha alle spalle oltre 20 anni di attività ci sono anche importanti sintomi fisici:

  1. peggioramento del sonno (38%)
  2. problemi di pressione (35%)
  3. problemi alimentari (31%)
  4. problemi muscolo scheletrici (aumentati per il 24% e rimasti stabili per un altro 24%)

Gli spunti per migliorare la situazione

Sono tanti gli spunti emersi dai focus group. Tra questi ce ne sono alcuni strettamente legati alla sostenibilità a partire dalla migliore gestione delle materie prime e dalla maggiore attenzione della qualità nella ristorazione. Altri punti cruciali sono la ristrutturazione dei tempi di lavoro, la crescita personale come forma di motivazione.

Le buone prassi

Il repertorio di “buone prassi” per il settore che chiude lo studio è riassunto in tre step. Il primo è mettere a fuoco il disagio psichico personale esaminando i segnali come mal di testa, disturbi di stomaco, insonnia, tensione muscolare, difficoltà di concentrazione e irritabilità, la reazione degli altri ai comportamenti e la fatica nelle attività quotidiane. Il secondo è dedicare del tempo a mettere a fuoco lo stato mentale e il terzo è individuare e modificare alcuni aspetti pratici della vita quotidiana.

Come valutare lo stato di salute

Ma quali sono i modi per valutare il proprio stato di salute, fisico e mentale? Sono diversi gli scenari che si possono presentare quando si lavora nella ristorazione. Eccone qualcuno

Le attività di lavoro sono gestite, si mantengono relazioni affettive e si dedica tempo ai propri interessi. Anche se vi sono le difficoltà si riesce a superarle senza avere un malessere costante, duraturo; non ci sono sintomi psichici quali ad esempio un senso costante di forte scoraggiamento o stati ripetitivi di ansia, ci si sente soddisfatti per alcuni risultati raggiunti, si ha un’idea di come continuare se pur tra le difficoltà.

Le attività sono gestite ma si commettono errori prima non presenti, si capisce che persone care e colleghi criticano ripetutamente per il nostro comportamento relazionale (apatico, irritabile, triste…), c’è poca voglia di distrarsi, le cose che prima piacevano sono ora meno interessanti. C’è qualche difficoltà a dormire e mangiare regolarmente, si è colpiti talvolta da mal di testa.

Si rischia di perdere il posto di lavoro e i collaboratori e le persone care si allontanano a causa del vostro comportamento, non riuscite a concentrarvi, non dormite oppure mangiate in modo eccessivo, fate ripetuto uso di sostanze quali alcol o droghe, sentite che gli altri sono ostili o non volete frequentarli. Temete costantemente per il futuro, non dormite, vi accorgete di essere sempre fissati su idee negative o anche autolesionistiche.

Ovviamente se è il caso bisogna rivolgersi allo psicologo.

Mariella Caruso

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