Wise Society : I progetti di ARcò: pneumatici, bambù e paglia per edifici nel Sud del Mondo

I progetti di ARcò: pneumatici, bambù e paglia per edifici nel Sud del Mondo

di Marco Valsecchi
21 Maggio 2014

Risorse minime e ricerca innovativa sono alla base della costruzione di due edifici a Gaza realizzati da Arcò

L’approccio pragmatico prima di tutto. Quando le risorse sono minime e la situazione è quella dell’emergenza, c’è una sola via possibile: progettare attraverso il fare. Un limite? No, se a questo tema di fondo si intrecciano l’attenzione per l’estetica e la costante ricerca dell’innovazione. Esattamente come succede all’interno di ARcò, cooperativa milanese formata da architetti e ingegneri che hanno scelto di unire le forze per portare avanti imprese “al limite” in zone afflitte da gravi problemi.

Scuola di Bambù, un progetto ARcò

Scuola realizzata col bambù – Foto ARcò

ARcò, la nascita del progetto

«Siamo nati per caso. Parallelamente, abbiamo vissuto tutti storie simili, legate alla sostenibilità in architettura e al sociale. Il progetto ha preso forma nel momento in cui una onlus ci ha chiesto di costruite con un budget di soli 15 mila euro una scuola in un villaggio beduino, in modo che i bambini non dovessero più rischiare la vita per spostarsi verso la città», spiega Alessio Battistella, uno dei soci fondatori.

L’idea di partenza è mutuata dagli studi di Michael Reynolds, architetto americano e teorico del “radically sustainable living”, una concezione dell’architettura che propugna la realizzazione di abitazioni totalmente autosostenibili. Da qui provengono una certa visione e molte tecniche architettoniche. Che però ARcò ha sempre cercato di estremizzare e innovare, adattandole ai contesti di riferimento.

La scuola di gomme

Scuola di Gomme di ARcò

Scuola di Gomme di ARcò

L’edificio scolastico realizzato tra il 2009 e l’inizio del 2010 a Khan al-Ahmar, un accampamento beduino nel West Bank, rappresenta un esempio da manuale di questo modo di intendere l’architettura. La “scuola di gomme” è stata costruita utilizzando per la prima volta gli pneumatici come dei veri e propri mattoni: una novità assoluta per questo tipo di materiale. A Um Al Nasser, nella Striscia di Gaza, ARcò ha eretto nel 2012 un’altra scuola, questa volta a partire dai sacchi di terra. Un metodo già sperimentato, ma portato in questo caso al suo estremo, per renderne possibile l’impiego su una superficie molto ampia: 400 metri quadrati, destinati ad accogliere 125 bambini all’interno di sei aule.

A subire un radicale rinnovamento, nel caso del progetto sviluppato nel 2010 per il campo beduino Waadi Abu Hindi, sempre in Israele, è stata invece la tecnica del pisé. Dovendo conservare l’involucro di lamiera e i volumi iniziali, come richiesto dall’autorità militare, gli architetti hanno preso spunto dal sistema con cui tradizionalmente si creano mura in argilla umida all’interno di casseforme di legno, per arrivare a realizzare un muro multistrato spesso 34 cm, con all’interno intonaco in calce, cannucciato di bambù, impasto di argilla e paglia, da integrare poi nella lamiera di zincato esistente.

Scuola Terra

Scuola di Terra – Foto ARcò

Tantissimi progetti nel sociale

Gli esempi potrebbero non fermarsi qui, visto che dal 2007 a oggi il gruppo ha portato a termine 12 progetti diversi, tra edifici ed esposizioni, e ne ha firmati altri sette, non ancora realizzati. Oltre a sviluppare una intensa attività didattica e di formazione al di fuori dell’ambiente accademico, attraverso corsi e workshop. In cantiere, però, c’è anche dell’altro: «Fino ad oggi siamo stati soprattutto in Palestina per risolvere dei problemi contingenti e perché finora abbiamo sempre lavorato con Vento di Terra, una organizzazione non governativa che è particolarmente attiva in quei territori. Ma non è una questione politica. Infatti adesso ci sposteremo anche verso aree del mondo molto lontane da lì, con problematiche molto diverse a livello architettonico», ci anticipa Battistella.

La prossima sfida? «Stiamo lavorando con La Gotita Onlus per realizzare un orfanotrofio in Bolivia, nell’area di Oruro, quindi sopra i tremila metri di altitudine e con temperature che possono scendere di parecchio sotto lo zero». Inutile dire che serviranno altra ricerca, nuove intuizioni e – ancora una volta – tanta capacità di innovare con poco.

 

 

 

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