Servono però più programmi di disassuefazione per i fumatori e più divieti. L’Esempio è l’Australia
Un mondo senza tabacco? È possibile, a patto che «le istituzioni inseriscano il turbo nel far fronte comune contro la vendita e il suo consumo». L’appello a un’azione tempestiva giunge da un gruppo di esperti di varie università del mondo, coordinati dagli australiani Robert Beaglehole e Ruth Bonita. Nessuna utopia. Per vedere i contorni di un mondo senza sigarette, servirebbero soltanto tre decenni. E per far perdere alle sigarette il loro status symbol, senza porre divieti, occorrerebbe ancora meno: neppure tre anni da adesso.
Il messaggio, destinato a far discutere, arriva dalla rivista The Lancet, ed è stato diffuso in occasione della conferenza mondiale “Tabacco o Salute”, svoltosi ad Abu Dhabi nei mesi scorsi. L’appello dei ricercatori parte da un assioma condiviso: ogni anno per le cause del fumo muoiono quasi sette milioni di persone nel mondo, l’80% delle quali vivono in Paesi a basso reddito. «Saranno loro i più colpiti dal peso economico e sociale delle malattie che il tabacco provocherà nei prossimi decenni», hanno affermato gli autori del documento, facendo riferimento alle strategie con cui le multinazionali hanno puntato il mirino sui Paesi asiatici e africani, dove i divieti sono quasi assenti, dopo i cali di consumo registrati nel mondo occidentale, più consapevole dei danni provocati dal fumo. Da qui l’idea di lanciare una proposta radicale: perché non immaginare un mondo libero dove a fumare sia meno del 5% degli adulti entro il 2040?
Il messaggio è diretto all’Organizzazione delle Nazioni Unite e all’Organizzazione Mondiale della Sanità. «È giunto il momento di riconoscere l’inaccettabilità del danno arrecato dall’industria del tabacco». Sebbene siano passati dieci anni dall’introduzione della Convenzione mondiale sul controllo del tabacco, il primo trattato internazionale sottoscritto da 180 Paesi, e i fumatori siano lentamente in diminuzione, soltanto il 15% della popolazione mondiale ha accesso ai programmi di disassuefazione dal fumo. Colpa anche di un sistema di divieti e di una tassazione disomogenei. Nel frattempo il tabacco ha causato altri cinquanta milioni di decessi. E, affermano i ricercatori, i fumatori nel mondo saranno più di un miliardo anche nel 2025, se non verrà stretta la cinghia. Ecco perché non c’è altro tempo da perdere.
Gli estensori del documento sono partiti dalle disposizioni contenute nella convenzione mondiale, finora applicate con successo soltanto nei Paesi dell’Oceania, nel Regno Unito, in Finlandia e in alcune isole del Pacifico. Qui i risultati ottenuti sono stati eccezionali. Oggi l’Australia sta crescendo una generazione senza fumo, avendo (prima) ottenuto la vendita di pacchetti senza logo e (poi) vietato il fumo anche all’aperto e poi proibito la vendita di sigarette a tutti i nati dopo il 2000. «Estendendo l’applicazione in quegli Stati in cui l’entrata in vigore del documento è stata lenta o risulta ancora incompleta, sarà possibile arrivare al divieto della vendita del tabacco». Più delicata è la vicenda della Cina, dove ci sono più di trecento milioni di fumatori e la produzione ricade sotto l’operato di un’azienda statale: chiaro, dunque, il conflitto di interesse tra controllori e controllati. Per questo motivo è necessario il contributo dell’Onu. «Serve un impegno finalizzato al divieto di commercializzare il tabacco simile a quello messo in atto contro le malattie croniche».
Da Abu Dhabi è giunto un messaggio chiaro: realizzare campagne informative mirate a chiarire i danni provocati dal fumo costa meno che realizzare di politica sanitaria per far fronte alle conseguenze della dipendenza. Allo stesso tempo andrebbe limitato lo spazio pubblicitario concesso a questi prodotti. «Più li si mostra, meno probabile è che la gente riesca a farne meno». Meglio non consentire alcuna deroga, dal momento che vietando solo le forme di pubblicità diretta non si azzera la probabilità che le principali compagnie mostrino il loro volto migliore attraverso sponsorizzazioni a eventi o iniziative sociali. Le luci andrebbero accese infine sui Paesi più poveri, dove l’industria del tabacco si è spostata negli ultimi anni. Ridurre il consumo del tabacco in Africa e Asia è uno degli obbiettivi inseriti nel Millennium Development Goals.
Twitter @fabioditodaro