La questione, tornata di grande attualità in questi giorni dopo la notizia del cancro alla prostata dell'allenatore del Siviglia Eduardo Berizzo, evidenzia lo sport come strumento di prevenzione
Lo sport come un valido strumento di prevenzione. Ma pure un altrettanto efficace supporto, in corso di malattia. Un tema di attualità alla luce della notizia del cancro alla postata dell’ex calciatore argentino e attuale allenatore del Siviglia Eduardo Berizzo.
Il binomio tra attività fisica e cancro è sempre più saldo, a suon di pubblicazioni scientifiche. Il trait d’union è il nostro sistema immunitario, che viene potenziato dalla pratica sportiva e risulta dunque maggiormente in grado sia di rispondere in maniera più efficace agli attacchi che piovono dall’esterno (nella persona sana) sia di ridurre la massa tumorale (nel paziente oncologico). Al punto che oggi l’impatto dell’attività fisica sulle malattie oncologiche è un argomento di elevato interesse e con abbondante letteratura, anche se la sua valutazione appare estremamente complessa. Sono state avanzate numerose ipotesi su tale correlazione, ma tuttora non si conoscono gli esatti meccanismi con cui la pratica sportiva abbia un impatto su forme tumorali diverse.
UNO SCUDO CONTRO LA MALATTIA – Sono i tumori al seno e al colon-retto quelli che sembrano godere del maggiore beneficio: sia in chiave preventiva sia di esito della malattia. Ma rispetto alla prima esigenza, vista la capacità di regolare il peso corporeo, la pratica sportiva s’è finora rivelata un valido antidoto nei confronti di altri undici diversi tipi di tumore: all’esofago, al fegato, al polmone, al rene, allo stomaco, all’endometrio, alla testa e al collo e alla vescica. Sono questi gli organi che negli sportivi risultano meno colpiti da neoplasie, cui occorre aggiungere una minore incidenza di mieloma multiplo e leucemie mieloidi. Un’ulteriore conferma è giunta da una ricerca pubblicata sulla rivista «Jama Internal Medicine» che ha passato in rassegna gli esiti di 12 studi europei e statunitensi, condotti tra il 1987 e il 2004, col coinvolgimento di 1,4 milioni di persone. Poco meno di 187mila le diagnosi di cancro conteggiate, ma la loro diffusione non era omogenea, dopo aver preso in considerazione la variabile (auto riferita) dell’attività sportiva. Tra i più «attivi», infatti, è stato conteggiato un numero minore di nuove diagnosi (incidenza) di adenocarcinoma dell’esofago (-42%), tumore del fegato (-27%), del polmone (-26%), del colon (-16%), del rene (-23%), dello stomaco (-22%), dell’endometrio (-21%), del distretto testa-collo (-15%), del retto (-13%), della vescica (-13%) e della mammella (-10%), di leucemie mieloidi (-20%) e mieloma (-17%). Soltanto rispetto a due tumori – quello della prostata (+5 %) e il melanoma (+27%) – lo sport non ha mostrato alcun effetto protettivo, ma anzi le persone più votate al movimento risultavano più esposte alla malattia. Un riscontro che può essere ricondotto alla maggiore esposizione ai raggi solari, da parte degli sportivi che prediligono sudare all’aria aperta.
I RISULTATI NEI MALATI DI CANCRO – Meno corposo, ma non per questo meno credibile, è invece il dossier di pubblicazioni che riguarda il potenziale effetto benefico che l’attività sportiva avrebbe nei pazienti oncologici, senza chiaramente rinunciare ai protocolli terapeutici standard (chirurgia, chemioterapia, radioterapia, immunoterapia). Una delle ultime prove, in tal senso, è giunta da una ricerca pubblicata sul «British Medical Journal Open», finalizzata a valutare l’impatto di una blanda ma costante attività motoria nei pazienti con una malattia oncologica in fase avanzata: tumori al seno, al colon-retto, all’esofago, alla prostata, alle ovaie, all’utero, neoplasie del sangue e melanoma. La differenza emersa tra i due gruppi – quello di controllo aveva mantenuto gli stessi livelli di attività fisica misurati prima dell’inizio dello studio, mentre ai pazienti inseriti nel campione di studio era stato richiesto di praticare trenta minuti di camminata a giorni alterni – al termine della valutazione effettuata dopo tre mesi è stata evidente: in termini di consapevolezza nei confronti della malattia, miglioramento di una serie di parametri cardiovascolari e delle relazioni sociali, visti i rapporti instaurati tra i pazienti. Risultati che, secondo Emma Ream, direttore del programma di ricerche sul supporto alle cure oncologiche dell’Università del Surrey, «evidenziano che l’esercizio fisico può essere utile anche nelle persone con una malattia oncologica avanzata». In questi casi la cautela è comunque d’obbligo, tant’è che non esistono protocolli standardizzati e le indicazioni vengono assunte sempre caso per caso.
QUANTA ATTIVITÀ FISICA? – Le linee guida suggeriscono di praticare almeno 150 minuti di attività fisica moderata, oppure, 75 minuti di attività fisica intensa ogni settimana, o una combinazione adeguata di entrambe. L’importante è che la pratica sportiva sia distribuita lungo tutta la settimana. L’obiettivo principale è quello di contrastare l’adozione di uno stile di vita sedentario. Cosa s’intende per attività fisica moderata e intensa? La prima si riferisce a quelle attività che richiedono un minimo sforzo respiratorio, come una camminata veloce oppure andare in bicicletta. La seconda alla pratica che porta a respirare più velocemente e in modo più profondo, e che fanno sudare. Fin qui la teoria, perché nella pratica, sopratutto nei malati oncologici, la valutazione deve essere ad personam. Ben venga anche in questo caso lo sport, ma guai a fare di testa propria.
Twitter @fabioditodaro