L'esempio dei Serafin, famiglia "sballata" di Varese che per un mese ha vissuto bevendo acqua dalle borracce, usando fazzoletti di stoffa e comprando prodotti sfusi senza involucri di plastica o carta
Siamo capaci di non utilizzare più prodotti alimentari confezionati e bottiglie e bottigliette di plastica «a perdere», così comode e sempre a portata di mano ma tanto dannose per l’ambiente? E’ possibile diminuire drasticamente l’uso della plastica? Potremmo pensare di no, ma nulla è impossibile se si osserva la storia della famiglia Serafin di Varese, che per un mese è riuscita a ridurre al minimo i rifiuti prodotti.
Papà Lorenzo, mamma Chiara e il figlio Dario – soprannominati la «famiglia sballata» – hanno dimostrato che vivere senza plastica e imballaggi è possibile. Come? Ricorrendo a contenitori riutilizzabili per pane e formaggi, retine e cassette per frutta e verdura, borracce e bottiglie di vetro al posto di quelle di plastica. Nonché al ritorno dei fazzoletti di stoffa al posto di quelli di carta usa e getta. «La nostra vita è rimasta la stessa, ma poniamo più attenzione allo stile di vita e ai consumi».
Vivere senza plastica: un’esperienza che vale come esempio
Il progetto, seguito sui social network ed oggetto di attenzione da parte anche di istituti scolastici italiani, è stato messo in campo, tra gli altri, grazie a Provincia, Comune di Varese, ACSM Agam e Legambiente. «L’obiettivo è quello di diventare un riferimento anche per altre famiglie – racconta Chiara, insegnante di sostegno a Varese e referente dei progetti di sostenibilità ambientale per il proprio istituto -. Non a caso abbiamo documentato la nostra esperienza anche attraverso i social network, per fare in modo che quanto fatto a casa nostra fosse di ispirazione magari per chi vive al capo opposto del Paese».
A livello dei singoli, d’altra parte, il risultato è abbastanza marginale. Ma se un «gioco» come quello portato avanti dalla famiglia Serafin diventasse il più frequente nelle case degli italiani, be’ allora la solfa potrebbe pure cambiare. A fare da traino, in questo caso, possono essere soprattutto i bambini. Lorenzo e Chiara hanno approfittato del figlio Dario, dieci anni, per fare in modo che la sua esperienza fosse condivisa con i compagni di classe. E, da lì, arrivasse nelle loro case.
I consigli per ridurre l’uso della plastica
Cambiare vita, giura la donna, non è stato poi così difficile. «Ho riscoperto un’abitudine che avevo da bambina: quella di utilizzare i fazzoletti di stoffa, per ridurre l’uso della plastica all’interno della quale sono invece contenuti gli analoghi in carta. Quanto all’acqua, basta munirsi di una borraccia: e così via anche la plastica delle bottiglie. Per comprare frutta e verdura, ho preferito cooperative o rivenditori a chilometro zero, dal momento che le normative da rispettare nella grande distribuzione non agevolano chi vuole ridurre l’uso degli imballaggi».
Detto ciò, non sono mancate le difficoltà. «Acquistare la carne e il pesce senza vaschette preconfezionate e trovare dei punti vendita di shampoo e bagnoschiuma sfusi, dove fosse possibile recarsi con i propri contenitori da riempire».
Nulla di insormontabile, però. «Abbiamo dovuto ricalibrare gli orari, perché per fare la spesa in questo modo occorre più tempo. Ma se l’intenzione è questa, ce la si può fare». Piccoli sacrifici in termini di comodità e tempo che permettono di dare un grande contributo ambientale.
Un taglio netto alla produzione di rifiuti
Secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), oggi una famiglia di quattro persone produce circa due tonnellate di rifiuti ogni anno (489,2 chili di rifiuti solidi urbani procapite). Vale a dire un chilo e mezzo di rifiuti a testa ogni giorno. Circa metà di questi, viene avviato al riciclo o al recupero, la frazione rimanente per la maggior parte viene avviata alla termodistruzione (19 per cento) o allo stoccaggio in discarica (24 per cento).
Nel 2017 in Italia sono stati immessi nel marcato più di 13 milioni di tonnellate di imballaggi e il 78 per cento di questi è finito nella spazzatura (67,5 per cento riciclato e 10,5 per cento incenerito). Oltre il 90 per cento di tutta la plastica raccolta arriva da un imballo. Ecco perché, a conti fatti, l’esperienza di Lorenzo, Chiara e Dario è molto più di una sfida naif. È un qualcosa che, se replicato, può aiutare il nostro Paese a fare un respiro profondo.
Twitter @fabioditodaro