I rifiuti marini che arrivano negli oceani dai paesi del mondo sono una minaccia per il mare e per il Pianeta. Soffocano gli animali marini, entrano nella catena alimentare e rovinano gli ecosistemi. E i paesi del mondo cercano soluzioni
Si chiama Marine litter ma, ovviamente, non si tratta di rifiuti prodotti dal mare quanto di rifiuti che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza dei mari e la salute degli oceani. Un problema d’ordine globale che ha un impatto devastante sull’intero pianeta e contro il quale Stati e associazioni e persino imprese si confrontano ormai da anni, mettendo in campo tutta una serie di possibili soluzioni.
Marine litter: significato del termine
Ma qual è esattamente la definizione di marine litter? Anche se si traduce letteralmente con “rifiuti marini” è chiaro che in questo caso la definizione sia molto più ampia e che comprenda sotto un unico cappello tutti i rifiuti che in mare ci arrivano da più parti e che, ovviamente, non sono prodotti dal mare stesso.
I marine debris, i detriti marini, infatti, non appartengono ai nostri oceani ma sono rifiuti creati dall’uomo che sono stati scaricati nell’ambiente costiero o marino. In particolare: con “detriti marini” si indica qualsiasi “materiale solido antropico, fabbricato o lavorato, scartato, smaltito o abbandonato nell’ambiente, inclusi tutti i materiali gettati in mare, sulla riva o portati indirettamente al mare da fiumi, liquami, acqua piovana, onde o venti”.
L’impatto del marine litter sull’oceano e sull’ambiente
I rifiuti marini non sono, ovviamente, solo brutti da vedere ma danneggiano seriamente gli ecosistemi oceanici e sono nocivi per la fauna selvatica e per gli esseri umani. Mettono in pericolo le barriere coralline e le specie che vivono sul fondo del mare oltre a far correre il rischio alla fauna oceanica di impigliarsi e morire. Inoltre, non pochi animali marini ingeriscono particelle di plastica e soffocano.
Il marine litter è costituito da tutti i tipi di materiali: dalle plastiche negli oceani che galleggiano o rimangono sospese nell’acqua, come nel caso dell’immensa isola di plastica conosciuta come Pacific Plastic Vortex a quelli più pesanti che vanno a fondo e altri ancora persistono per decenni nell’ambiente marino.
Quali sono e quanti sono i marine debris
Secondo gli studi gli elementi presenti in maggiore quantità sono sigarette e filtri, sacchi di plastica, tappi, involucri per alimenti, posate monouso, bottigliette, lattine, cannucce.
Inoltre, uno studio recente ha scoperto che la quantità di rifiuti di plastica che entrano nell’oceano dalla terra ogni anno supera i 4,8 milioni di tonnellate (Mt) e può arrivare fino a 12,7 Mt e si tratta di numeri che stanno crescendo rapidamente con il potenziale che potrà anche raggiungere i 250 Mt entro il 2025.
Tonnellate che vengono dai 192 paesi con confini costieri ma che per l’83% derivano da 20 paesi che gestiscono male i rifiuti. Inoltre, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), circa l’80% dei rifiuti marini ha origine sulla terraferma.
Perché i rifiuti finiscono in mare?
La maggior parte degli studi scientifici ha concluso che la plastica negli oceani è il risultato di una gestione dei rifiuti scarsa o insufficiente e della mancanza di riciclaggio e recupero sufficienti. I detriti marini provengono da varie fonti e la plastica può entrare nell’oceano in molti modi. Alcune delle cause più comuni di inquinamento da rifiuti marini includono:
- Discariche mal gestite o con risorse insufficienti
- Trattamento delle acque reflue e straripamenti fognari combinati
- Persone che utilizzano le spiagge per svago o pesca da riva
- Siti di produzione, lavorazione della plastica e trasporti
- Impianti di smaltimento e trattamento dei rifiuti solidi a terra
- Contenitori per rifiuti e veicoli portacontainer coperti in modo inadeguato
- Scarico inappropriato o illegale di rifiuti domestici e industriali o rifiuti
- Rifiuti stradali che vengono lavati dalla pioggia o dallo scioglimento della neve o spinti dal vento nei corsi d’acqua
Marine litter: soluzioni a livello globale
Governi, associazioni e imprese, da qualche anno, sono scesi in campo contro la plastica in mare. Ci sono progetti, idee innovative, norme per evitare che la plastica continui ad arrivare in mare e persino progetti innovativi come la barca a vela di Yvan Bourgnon.
La Global Plastics Alliance
La Global Plastics Alliance (GPA) di cui fanno parte le associazioni dell’industria della plastica di tutto il mondo, ha affermato che dal 2011 – anno in cui l’Alliance è stata costituita – ad oggi i progetti sono quadruplicati. Sono diversi tra loro e vanno dalla pulizia delle spiagge ad un miglioramento delle capacità di gestione dei rifiuti, dalla ricerca a livello mondiale alle campagne di sensibilizzazione e informazione. Il tutto è iniziato quando alcune associazioni del settore in occasione della 5a Conferenza internazionale sul Marine Debris (5IMDC) hanno annunciato “The Declaration of the Global Plastics Associations for Solutions on Marine Litter”, nota anche come “Global Declaration“.
Le sei aree di interesse della Global Declaration sono informazione, ricerca, politiche pubbliche, condivisione delle best practice, riciclo/recupero delle materie plastiche e contenimento dei pellet di plastica. Inoltre, l’industria mondiale delle materie plastiche continua a muoversi verso sistemi più circolari in cui le risorse vengono utilizzate, riutilizzate e riciclate quanto più possibile. Un consorzio di circa 40 aziende leader di mercato a livello mondiale ha costituito l’Alliance to End Plastic Waste. Rappresentata da aziende multi brand, produttori e trasformatori di materie plastiche e società specializzate nella gestione dei rifiuti, l’Alleanza ha l’obiettivo di investire 1,5 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni per contribuire ad eliminare i rifiuti di plastica nell’ambiente.
Soluzioni contro il Marine litter nel Mediterraneo
Secondo il Report “Mare Plasticum: The Mediterranean” dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn), oltre 230mila tonnellate di plastica vengono scaricate ogni anno nel Mar Mediterraneo e l’Italia, insieme a Egitto e Turchia, è tra i tre principali responsabili. Per questo i paesi del Mediterraneo ideano e mettono in campo azioni comuni per ridurre il marine litter nel Mare Nostrum.
Esempi concreti – come il fishing for litter presentati ad Ecomondo nel 2018 – sono il modello di networking avviato con il progetto COMMON (Coastal Managment e MOnitoring Network for tackilng marine litter in the Mediterranean Sea – finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma ENI CBC Med) che coinvolge oltre 500 soggetti, tra istituzioni, enti, associazioni, comuni e cooperative, per favorire modelli di governance comuni nei tra paesi coinvolti: Italia, Libano e Tunisia.
Oppure l’esperienza storica della campagna Clean Up the Med che in 28 anni ha mobilitato oltre 500mila volontari provenienti da 23 diversi Paesi mediterranei, grazie alla quale sono stati ripuliti 100mila chilometri di spiaggia da oltre 800mila tonnellate di rifiuti. E la grande mobilitazione messa in campo dal progetto Clean Sea LIFE che in Italia, in quattro anni, ha dato vita ad una community unica coinvolgendo subacquei, diportisti, pescatori, studenti e cittadini in attività di pulizia delle spiagge e di informazione e sensibilizzazione.
Maria Enza Giannetto