Plastica monouso addio? Dal 3 luglio l’Unione Europea mette ufficialmente al bando diversi prodotti di plastica usa e getta con la direttiva UE 2019/904, più conosciuta come Direttiva Sup (Single-use plastic). Il termine sarà perentorio per i nuovi prodotti. I negozi potranno continuare a venderli fino a esaurimento scorte.
Perché vietare la plastica monouso
Si stima che nel mondo vengono prodotte 380 milioni di tonnellate di plastica ogni anno: di questi, almeno il 50% è per scopi usa e getta. Proprio gli oceani, i mari e i fiumi sono quelli maggiormente colpiti. Si stima che più di 10 milioni di tonnellate di plastica vengano scaricate negli oceani.
L’Europa è particolarmente sensibile, anche perché è consapevole che l’80-85% dei rifiuti marini rinvenuti sulle sue spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano la metà e gli oggetti collegati alla pesca il 27% del totale. I rifiuti di plastica continuano ad accumularsi e ogni anno nell’UE vengono perse o gettate in mare 11mila tonnellate di attrezzi da pesca.
Stop alla plastica monouso: le critiche
Sulla norma, accolta positivamente nel complesso, ci sono stati pareri critici nel merito e nel particolare. L’agenzia Reuters riporta che i produttori di plastica hanno anche criticato le nuove regole, che secondo loro rischiano di frammentare il mercato se alcuni paesi si attengono al requisito UE del 30% di contenuto riciclato nelle bottiglie di plastica per bevande entro il 2030 e altri optano per obiettivi più ambiziosi. Il risultato potrebbe essere che alcuni produttori potrebbero dover produrre diversi prodotti per svariati Paesi, il che non sarebbe economicamente sostenibile, ha detto una fonte dell’industria.
Plastics Europe, che rappresenta i produttori, ha invitato la Commissione a garantire che le linee guida non siano aperte all’interpretazione in modo che gli stati membri non finiscano per adottare regole diverse. Per quanto riguarda l’Italia, ha recepito la direttiva con la Legge di delegazione europea (n.53 del 22 aprile 2021). Essa, però, ha escluso dal bando tutte le plastiche usa e getta compostabili, nelle quali l’industria italiana è molto forte.
Plastica monouso: cosa sarà vietato
Ma cos’è la plastica monouso? Detta anche plastica usa e getta, viene usata solo una volta prima di essere gettata via o riciclata. Comprende ogni prodotto fatto di plastica in tutto o in parte, “non concepito, progettato o immesso sul mercato per compiere più spostamenti o rotazioni durante la sua vita essendo rinviato a un produttore per la ricarica o riutilizzato per lo stesso scopo per il quale è stato concepito”, specifica la direttiva.
Utilizzati una sola volta o per un breve periodo di tempo prima di essere gettati via, “è quindi più probabile che sia questo tipo di prodotti a finire nei nostri mari rispetto alle opzioni riutilizzabili. La plastica si accumula nei mari, negli oceani e sulle spiagge, nell’UE e nel mondo, con gravi rischi per la vita marina e la salute umana” ha spiegato la Commissione Europea in un documento mirato a fornire orientamenti sulle norme UE sulla plastica monouso.
In base a questa direttiva, in materia di plastica monouso, gli Stati membri devono garantire che determinati prodotti di plastica monouso non siano più immessi sul mercato dell’UE, specifica la Commissione Europea.
La direttiva UE elenca prodotti quali: bastoncini cotonati; piatti, posate, cannucce, agitatori per bevande; aste per palloncini; contenitori per alimenti in polistirene espanso per l’asporto o per piatti pronti per il consumo; contenitori e tazze per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi. Però non nomina i bicchieri monouso né mascherine e guanti (causa pandemia ancora in corso) e i palloncini.
Al bando sono tutti messi i prodotti in plastica oxo-degradabile. Quest’ultima comprende tutte quelle materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in micro frammenti o la decomposizione chimica.
La norma e le critiche italiane
La direttiva in sé in Italia ha ottenuto un largo consenso, ma nel merito anche varie critiche.
Tutto parte dalla definizione di “polimeri naturali non modificati” che, ai sensi della definizione di “sostanze non modificate chimicamente” di cui all’articolo 3, punto 40, del regolamento CE 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, non dovrebbero essere inclusi nella presente direttiva poiché sono presenti naturalmente nell’ambiente.
Peccato che le principali bioplastiche derivano da polimeri naturali modificati chimicamente realizzati a partire dagli zuccheri presenti nel mais, barbabietola, canna da zucchero. Su questo l’Italia ha un’industria fiorente.
Come riporta l’ultimo report (2020) di Assobioplastiche, il fatturato della filiera è passato da poco meno di 370 milioni di euro del 2012 agli 815 milioni nel 2020, e conferma un tasso di crescita media annua superiore al 10%. È una filiera che conta 278 aziende, 2.775 addetti dedicati, oltre 110mila tonnellate di manufatti compostabili prodotti.
Tra i vari prodotti a segno positivo il rapporto indica il nuovo raddoppio dei volumi di articoli monouso compostabili che hanno fatto segnare un +116%.
Nella legge 53/2001 si scrive che “ove non sia possibile l’uso di alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti elencati nella parte B dell’allegato alla direttiva UE”, si possa “prevedere la graduale restrizione all’immissione nel mercato dei medesimi nel rispetto dei termini temporali previsti dalla stessa, “consentendone l’immissione nel mercato qualora realizzati in plastica biodegradabile e compostabile certificata conforme allo standard europeo della norma UNI EN 13432 e con percentuali crescenti di materia prima rinnovabile”.
Le critiche sono arrivate da più parti. “Forte preoccupazione” l’ha espressa già da fine maggio il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Il ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani a inizio giugno aveva sollevato la questione, spiegando che “L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, solo quella riciclabile. Tutte le altre, anche se sono biodegradabili o sono additivate di qualcosa, non vanno bene”. Il vulnus della legge, secondo il responsabile del dicastero, era legato alla messa al bando di tutti i tipi di plastica, anche quella biodegradabile e compostabile.
La posizione di Legambiente
Sempre a giugno il presidente Legambiente, Stefano Ciafani, aveva criticato l’impostazione sulle bioplastiche compostabili delle linee guida emanate nei giorni scorsi dalla Commissione europea “che invece farebbe bene a seguire il modello italiano che ha permesso di ridurre i sacchetti per l’asporto merci di quasi il 60% dopo il bando entrato in vigore circa 10 anni fa”. L’associazione ambientalista è, inoltre, fortemente contraria a considerare la deroga per prodotti a base di carta con sottili o sottilissimi rivestimenti in plastica tradizionale (anche in questo caso l’industria italiana è forte). “Anche in questo caso la possibilità di utilizzare film in bioplastica compostabile rappresenterebbe una valida alternativa già operativa nel mercato”, scrive Legambiente in una nota.
A metà giugno, però, il responsabile del dicastero ha fatto sapere che “l’accordo con Bruxelles è già trovato. Il problema non c’è, grazie a un’interlocuzione più tecnica che politica, che fa bene a tutti”. In ogni caso lo stesso ministro Cingolani ha specificato che ci sono soluzioni di tipo tecnologico grazie alle quali si può creare plastica biodegradabile e compostabile “che in futuro potrebbero diventare di largo uso”.
Andrea Ballocchi