Polifosfati e citrati sono additivi ammessi dalla legge ma spesso vengono usati per migliorare l'aspetto del pesce e aumentarne in modo artificioso il peso. E non sempre sono indicati in etichetta
Pochi sanno che la legge autorizza l’uso di additivi nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati). Nella maggior parte dei casi non ci sono pericoli per la salute perchè si tratta di additivi autorizzati. Spesso però servono a mascherare i processi di alterazione del pesce, per migliorare l’aspetto e aumentare in modo artificioso il peso.
I citrati vengono usati per prolungare la conservazione, proteggendo il pesce dall’ossidazione e riducendo così l’irrancidimento dei grassi e le modifiche di colore. Il citrato non è tossico (è l’acido più presente negli agrumi) e quindi non ci sono limiti quantitativi: si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia fino a 20mg/kg.
L’uso di acqua ossigenata nei prodotti ittici, invece, è vietato, ma in realtà il sistema viene utilizzato spesso, tanto da aver provocato la pubblicazione di una circolare del Ministero della salute che ribadisce il “divieto di utilizzo di perossido di idrogeno a contatto con il pesce destinato al consumo alimentare umano”. L’acqua ossigenata viene usata in modo illecito perché rende più bianche le carni, soprattutto in seppie, calamari e totani il cui candore è particolarmente apprezzato dal consumatore.
Gli additivi alimentari non vanno demonizzati quando sono usati nei modi previsti dalla legge. I consumatori però devono saperlo e le etichette devono essere corrette. Quando il pesce fresco viene “trattato” con additivi leciti, deve essere classificato come prodotto alimentare “trasformato”, e quindi non si può scrivere sull’etichetta la parola “fresco”, lasciando credere al consumatore che sia tale.
Fonte: www.ilfattoalimentare.it