Wise Society : La Biennale Architettura percorre il sentiero della sostenibilità

La Biennale Architettura percorre il sentiero della sostenibilità

di Maddalena Bonaccorso
25 Giugno 2014

“Fundamentals” è il tema scelto dal direttore Rem Koolhaas per l'esposizione veneziana che si chiudera il 23 novembre. Vi proponiamo il nostro percorso tra essenzialità e conformità all’ambiente

Nell’anno del Pritzker Prize a Shigeru Ban, l’architetto più “green” del pianeta, la Biennale Architettura di Venezia non poteva restare indietro sul sentiero della sostenibilità. Già dal tema, “Fundamentals”, che il direttore Rem Koolhaas ha scelto per l’esposizione, emerge forte un richiamo agli elementi basilari del vivere la creazione architettonica mettendo al primo posto essenzialità e conformità all’ambiente. Per la Biennale numero quattordici, ma anche per buona parte degli eventi satellite che girano intorno alla kermesse, le parole d’ordine sono semplicità e adattabilità al presente.

Non per niente, tra i padiglioni nazionali, una menzione speciale della giuria presieduta dallo stesso Koolhaas è andata al Canada per “Arctic Adaptations: Nunavut at 15”; studio sulla modernità realizzato ai Giardini dell’Arsenale da Lola Sheppard, Matthew Spremulli e Mason White in occasione del quindicesimo anniversario della fondazione di Nunavut, il territorio più remoto dello stato canadese. Come può adattarsi e svilupparsi l’architettura in condizioni climatiche uniche al mondo? Riuscendo a rispondere alle esigenze della minoranza culturale (nella fattispecie, gli inuit) e ricorrendo a progetti di social housing e di scuole e strutture sanitarie sostenibili, perfettamente integrate nei territori.

Per rimanere nel campo delle partecipazioni nazionali, impossibile non citare il padiglione di Israele, anch’esso ai Giardini dell’Arsenale, che coniuga ambiente e tecnologia, urbanizzazione e de-urbanizzazione con l’installazione “The Urburb”, curata dagli artisti Ori Scialom, Roy Brand e Keren Yeala-Golan: enormi stampanti ad aghi disegnano sulla sabbia una città, e successivamente la cancellano per poi ricrearla, in un loop di creazione e distruzione che, storicamente, richiama il “Piano Sharon”, progetto urbanistico per la costruzione di una “new town” commissionato nel 1948 da David Ben Gurion per far fronte alla massiccia emigrazione nello Stato di Israele.

Trasferendoci dai Giardini alle Corderie dell’Arsenale, anche il Kosovo mostra grande attenzione ai temi della storia e del pensiero green, dedicando una monumentale installazione agli “shkembi”, sedie tradizionali a tre gambe, il cui nome vuol dire anche “roccia”. Considerato un vero e proprio “fundamental”, elemento fondativo tra passato e presente, la sedia rappresenta, nell’immaginario del curatore, l’architetto Gëzim Paçarizi, il ponte tra la storia e la modernità; non più imposta e rifiutata dalla popolazione, ma fatta propria da una nazione nella quale il controllo governamentale ha impedito una piena consapevolezza dello sviluppo.

E sempre alle Corderie, l’esordiente Marocco regala ai visitatori un’esperienza multisensoriale con l’installazione “Fundamental(ism)s” di Tarik Oualalou, architetto fondatore dello studio KILO, che richiama l’attenzione sulle infinite possibilità della vita nel deserto e sulla dicotomia passato e presente, prendendo come esempio la medina di Fez: il pavimento del neonato padiglione nord africano è ricoperto di sabbia, quasi per far immedesimare le persone nella realtà marocchina e indurle a rallentare, e sul tetto scorrono immagini notturne e diurne, con la simulazione del cielo stellato del Sahara.

Tornando ai premiati di questa edizione della Biennale, il conferimento del Leone d’Oro alla Corea e al padiglione “Crow’s Eye View: The Korean Peninsula” curato da Minsk Cho, ci riporta verso temi di geopolitica applicata; partendo dal punto zero della distruzione a seguito della seconda guerra mondiale, e successiva ricostruzione, si analizza tutta la storia dell’urbanistica coreana e del suo modo di rapportarsi all’ambiente. Dalle unità abitative ad alta densità, alle due metropoli Seoul e Pyongyang, divise dalla storia e quindi frutto di architetture opposte ma culturalmente vicine, il padiglione vincitore è un lungo viaggio attraverso storia, ambiente, passato e futuro.

E infine, tra gli “eventi collaterali” della Biennale, spesso più visitati e apprezzati della mostra principale, dobbiamo ricordare il lavoro svolto dai tipi della Fondazione Cini e delle “Stanze del Vetro” all’isola di San Giorgio Maggiore: la loro installazione “Mondrian Tea House”, casa di vetro sospesa sull’acqua realizzata dall’artista Hiroshi Sugimoto, all’interno della quale il Maestro So’oku Sen officiava le cerimonie del tè è stata senza dubbio tra le più apprezzate, fotografate e condivise dei 3 giorni veneziani di “vernice” della Biennale. Un’esperienza unica, all’insegna della lentezza, dell’unione profonda con l’ambiente e delle antiche tradizioni, per riportare i frenetici visitatori della kermesse veneziana a riflettere su un mondo lontano.

 

 

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