Wise Society : Rapporto spiagge 2020: la situazione (critica) delle coste italiane

Rapporto spiagge 2020: la situazione (critica) delle coste italiane

di Fabio Di Todaro
9 Agosto 2020

Nellestate del Covid-19, trovare un posto in spiaggia (libera) è più difficile del solito. Quella che è la sensazione comune registrata da chi ha avuto già modo di frequentare un luogo di vacanza trova oggi conferma nel rapporto «Spiagge» di Legambiente, con cui ogni anno viene fotografata la situazione delle aree costiere del Belpaese. L’istantanea relativa all’anno in corso risente dell’emergenza sanitaria. Nell’estate del Covid, infatti, i costi medi per una giornata in spiaggia sono aumentati in maniera più o meno significativa per le famiglie italiane, già messe a dura prova dalla situazione economica attuale.

Coste italiane e accesso al mare

Covid a parte, però, il vero problema delle spiagge italiane è rappresentato dalla scarsa accessibilità a titolo gratuito. Lungo lo Stivale si registra infatti una situazione composita – ma nel complesso allarmante – per chilometri sottratti alla libera fruizione. Pressoché ovunque, infatti, si registra un aumento delle concessioni che, facendo il paio con l’erosione costiera, sta determinando una progressiva ridotta possibilità di fare un bagno senza intaccare i propri risparmi.

A fare eccezione sono soltanto la Versilia e la Romagna, ma per una ragione poco edificante: la scarsa disponibilità di spiagge libere, che rappresentano meno del dieci per cento dei litorali.  Il record negativo si registra a Forte dei Marmi, dove lungo cinque chilometri di linea costiera si contano 125 stabilimenti: per un’occupazione di quasi il 94% della costa. Mentre in Liguria ed Emilia Romagna quasi il 70 per cento è occupato da stabilimenti balneari, in Campania e nelle Marche si veleggia ben oltre il 60 per cento. Preoccupa anche la situazione della Sicilia, dove la quota di spiagge in concessione è più bassa che in altre regioni, ma in cui nel 2019 sono state presentate oltre 600 richieste per aprire nuovi stabilimenti.

spiaggia di sirolo

Spiaggia di Sirolo – Foto di Azat Satlykov / Unsplash

In Italia è più difficile andare al mare

Pur potendo contare su oltre settemila chilometri di coste, dunque, l’accesso alle spiagge in Italia è tutt’altro che agevole. A complicare i piani, quest’anno, ci si è messo anche il Covid. Nelle spiagge libere il distanziamento sociale è spesso una chimera e lo sarà con ogni probabilità ancora di più a ridosso di Ferragosto.

E chi, per sicurezza, è disposto a compiere un sacrificio per frequentare un lido privato, è chiamato a fare i conti con un sensibile aumento dei prezzi. Così, per esempio, per un ombrellone e due lettini si possono spendere fino a 60 euro. E senza arrivare a scegliere i lidi dei vip. Più che riguardare gli esercenti, l’emergenza sanitaria di fatto si sta dunque ripercuotendo sulle tasche dei consumatori. Mentre i gestori, che nel corso della pandemia hanno strappato la proroga delle concessioni demaniali fino al 2033 nonostante già nel 2009 l’Unione Europea abbia avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia chiedendo la loro messa a gara, possono sfregarsi le mani.

Concessioni: un tesoretto “dimenticato” dallo stato 

Al di là dell’esiguità delle spiagge libere in un Paese che si affaccia sul mare da Nord a Sud, colpisce lo scarso profitto che lo Stato riesce a garantirsi attraverso le concessioni. Secondo Legambiente, rimane un nervo scoperto il tema dei canoni pagati dai titolari degli stabilimenti di balneari: ritenuti troppo bassi, a fronte di un giro di affari miliardario.

Le entrate quantificate (relative al 2016) ammontano a «soli» 103 milioni di euro, a fronte di un giro di affari che in alcuni casi è di gran lunga superiore (il ministero delle Finanze lo stima in 10 miliardi di euro). Tra i casi più eclatanti, quello del Papeete beach di Milano Marittima (diecimila euro di canone annuo a fronte di un fatturato di 700mila euro) e del Twiga di Marina di Pietrasanta (canone di 16mila euro per un fatturato di 4 milioni).

Ovvio che non tutte le realtà siano analoghe, perché occorre considerare che molte concessioni riguardano zone fuori dai circuiti turistici principali, gravate da inquinamento e abusivismo edilizio. Ma secondo Legambiente occorrerebbe una profonda revisione del settore, dal momento che l’Italia è l’unico Paese europeo a non porre limiti ai tratti di costa cedibili ai privati e a demandare la responsabilità alle Regioni. Da qui una situazione che gli esperti definiscono a macchia di leopardo. Da una parte ci sono le più «virtuose» Puglia, Sardegna e Lazio, dove la quota minima di spiagge da garantire alla libera fruizione (o libera fruizione attrezzata) è regolamentata e fissata tra il 50 e il 60 per cento. Dall’altra ci sono la Toscana, la Basilicata, la Sicilia, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia che non specificano alcuna percentuale minima da destinare alle spiagge libere.

Lido balneare

Foto Hermann / Pixabay

Se ad avvantaggiarsi delle concessioni sono le cosche

Fare imprenditoria nell’ambito delle vacanze al mare, dunque, conviene. Inevitabile che, a fronte di tale opportunità – per giunta largamente diffusa nelle regioni meridionali – cresca l’interesse da parte della criminalità organizzata.

Negli ultimi cinque, riporta il dossier «2017, Odissea nella spiaggia» curato dai Verdi, 110 lidi sono stati strappati al malaffare dalle forze dell’ordine. Non solo al Sud, è doveroso precisare, ma anche al Nord e al Centro. Litorale romano compreso. Tra il 2013 e il 2014, nell’ambito dell’inchiesta «Mondo di mezzo» (quella di Mafia Capitale) tra i beni confiscati a Massimo Carminati c’erano anche due stabilimenti di Fiumicino. Negli stessi anni è stata smantellata una rete di attività illecite riconducibili ad alcuni lidi di Ostia, riconducibili al clan Fasciani-Spada-Triassi. Qualche anno prima (nel 2011) la magistratura di Cosenza aveva disposto il sequestro di terreni, fabbricati, alberghi, stabilimenti balneari e pizzerie in Emilia Romagna. Tutte attività, secondo i pm, riconducibili alla ‘ndrangheta. Business simili sono stati, negli anni, scoperti anche in Campania, in Sicilia, in Veneto e in Puglia.

Spiagge italiane: qualche notizia positiva

Al di là di questi aspetti, comunque, il rapporto di Legambiente fa emergere anche alcune notizie positive. Per esempio: la crescita di stabilimenti che puntano su un’offerta «green» e di qualità. Tantissimi, e molti nuovi, quelli raccontati nel rapporto che hanno scelto di diventare «plastic free» e «smoke free», di investire sul solare, salvaguardare le dune, valorizzare prodotti a chilometro zero, prevedere spazi ad hoc per le persone disabili, per chi si muove in bici o con mezzi elettrici, per chi usa legno e altri materiali naturali per le strutture (consentendo la vista del mare senza barriere).

«La sfida che vogliamo lanciare ai Comuni costieri, ai balneari, al Governo è di aprire un confronto sul futuro delle spiagge italiane: se entriamo infatti nel merito delle questioni diventa possibile trovare soluzioni di qualità – dichiara Edoardo Zanchini, Vicepresidente di Legambiente -. È un obiettivo condiviso che vi siano maggiori e più efficaci controlli rispetto alle trasformazioni in corso lungo le coste italiane, per trovare regole capaci di migliorare e diversificare l’offerta, di affrontare questioni ambientali, come l’erosione, che si aggraveranno in una prospettiva di cambiamenti climatici».

Twitter @fabioditodaro

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