L'associazione fondata da Carlo Petrini promuove la campagna "Menu for change" che per la prima volta lega il cambiamento climatico alla produzione e al consumo di cibo
Si chiama “Menu for change” ed è la campagna promossa da Slow Food International che, per la prima volta, lega il cambiamento climatico alla produzione e al consumo di cibo. «Scegliere cosa mettere nel piatto è un atto politico», professa già da molti anni Carlin Petrini, fondatore di Slow Food e attuale presidente di Slow Food International. Stavolta, però, dalle parole Slow Food è passata ai fatti lanciando una campagna di comunicazione e raccolta fondi internazionale che, senza giri di parole, evidenzia la relazione tra produzione alimentare e clima che cambia.
La campagna Menù for Change
«Chi si bea della qualità alimentare di un prodotto senza chiedersi se a monte c’è distruzione dell’ambiente e sfruttamento del lavoro è incosciente», ha spiegato Petrini nel corso dell’edizione 2017 di Cheese lanciando l’iniziativa Menu for Change che si articola in tre momenti. Con il primo, “Cibo locale? Sì, grazie!”, dal 16 ottobre al 5 novembre, Slow Food chiede di raccogliere la sfida di mettere in tavola soltanto cibo locale e di stagione.
Dal 6 al 25 novembre con “Ricette amiche del clima”, invece, la richiesta è di mettere in tavola la biodiversità scegliendo una lista di ingredienti buoni e rispettosi per il pianeta. Dal 26 novembre alla fine del 2017, infine, arriverà il momento della classica raccolta fondi a favore della fondazione Slow Food per la biodiversità il cui slogan sarà: “Il pianeta ha bisogno di tutti. Aiutaci a proteggerlo”.
Una campagna contro lo spreco alimentare
Per capire il nesso che esiste tra scelte alimentari e cambiamenti climatici basti pensare che mentre continua la lotta contro la fame nel mondo, in un pianeta da 7 miliardi e mezzo di persone attualmente si produce cibo per 12 miliardi di persone. «un’ampia parte di quello che viene raccolto, trasformato e venduto finisce nella pattumiera», continua Petrini identificando nella lotta allo spreco alimentare l’obiettivo più grande da realizzare.
Alimentazione e gas climalteranti
Poi ci sono le emissioni di gas serra. In merito al rapporto tra produzioni agricole e cambiamenti climatici a Cheese ci sono state le testimonianze di agricoltori e allevatori in arrivo da tutto il mondo. Intanto il settore agricolo con il 21% (di cui il 70% derivante dalla fermentazione enterica degli allevamenti industriali), bisogna ricordarlo, è tra quelli che incidono di più nelle emissioni di gas serra in atmosfera. «L’estate 2017 è stata la seconda più calda la quarta più secca dal 1753 in Italia e in buona parte dell’Europa mediterranea», spiega il climatologo Luca Mercalli. E anche se alcune aree dell’emisfero nord del mondo ad oggi hanno tratto dei benefici da questa condizione, non si tratta un effetto a lungo termine.
«Dal 2030 la riduzione dei raccolti vedrà un aumento esponenziale dei danni rispetto ai benefici», prevedono Guglielmo Ricciardi e Alessandra Buffa della Società Meteorologica Italiana. «Le emissioni di CO2, poi, non sono l’unico parametro da considerare – chiudono i climatologi -, vanno tenuti in conto anche il contesto geografico di produzione, la qualità dei suoli e il loro livello di tossicità e l’uso in quanto risorsa scarsa, l’utilizzo di acqua e di biosfera meglio conosciuti come water footprint e ecological footprint».