Wise Society : Granchio blu: perché è un problema ecologico e cosa fare

Granchio blu: perché è un problema ecologico e cosa fare

di Patrizia Riso
4 Settembre 2023

Può un granchio costare 2,9 milioni di euro? Si, se i soldi servono a fermarlo per salvare l’economia del Mediterraneo. Vediamo cosa rappresenta il granchio blu rispetto allo stato di salute dei nostri mari

Il granchio blu Callinectes sapidus è una specie aliena arrivata nel Mediterraneo dalle coste degli Stati Uniti tramite il trasporto marittimo e, nello specifico, delle acque di zavorra. Recentemente, è stato avvistato anche il fratello del Mar Rosso Portunus segnis. In entrambi i casi, si tratta di specie che si adattano facilmente e proliferano in poco tempo nel Mediterraneo e negli ambienti lagunari. La specie atlantica è stata avvistata dal 2022 sulle coste italiane, in particolare in Veneto, Lazio, Emilia-Romagna e Toscana. Il fenomeno è noto da almeno dieci anni, ma è diventato la notizia dell’estate 2023 perché i suoi effetti dannosi sull’economia sono diventati più evidenti. Il granchio blu, infatti, divora le vongole e altri molluschi. Per questo, il governo ha stanziato 2,9 milioni di euro per contenerne la diffusione.

Granchio Blu

Esemplare di Granchio Blu / Foto di Fabio Grati

Il granchio blu, da preda a predatore

Il granchio blu è diventato predatore nel Mediterraneo ma, normalmente, nell’Atlantico è a sua volta preda di tartarughe, pesci, polpi e uccelli. Nei nostri mari, però, molte di queste specie stanno diminuendo a causa nostra, che soffochiamo nella plastica le tartarughe e consumiamo polpo tutto l’anno. Anche gli uccelli, a quanto pare, sono meno incentivati a faticare per mangiare un granchio che li combatterà con le sue lunghe chele perché hanno comodamente accesso al cibo dalla nostra spazzatura.

La pesca intensiva

Come sempre nelle questioni ambientali è tutto collegato. Peschiamo e consumiamo così tanto pesce e continuiamo anche a importarlo: le cozze dal Cile, i calamari dall’Argentina, i naselli dal Senegal, il pangasio dal Vietnam, i merluzzi dall’Alaska. Come dice Alberto Luca Recchi su RAI News 24, il problema è che «consideriamo il mare come un supermercato dove prendere quello che ci serve, come se gli scaffali si riempissero da soli. Quando avremo ripulito anche i fondali di altre nazioni, (gli esperti prevedono tra una ventina di anni), ci sorprenderemo all’improvviso che non avremo più abbastanza risorse dal mare e invocheremo un nuovo stato di calamità. E nuovi sussidi».

I sussidi per la pesca

Secondo uno studio della Columbia University svolto in 152 paesi, le nazioni lontane dagli oceani hanno speso nel 2018 circa 22 miliardi di dollari in “sussidi dannosi”. Si tratta di finanziamenti che alimentano la pesca illegale e quella intensiva. Oppure, quei sussidi, ben il 22% del totale, sono utilizzati per il carburante dei pescherecci.

Anche l’Italia non è da meno ed è interessante notare il rapporto tra sussidi ed economia, come spiega bene Alberto Luca Recchi su Rai News «Senza questi aiuti (che vengono dalle nostre tasse), si fermerebbe il 90% della pesca italiana che così dimostra di essere un’attività malata: perché un sistema che sopravvive solo grazie ai sussidi pubblici non può essere definito un settore economico sano, al massimo è un serbatoio di voti».

Peschereccio e ocean grabbing

Fermare il granchio blu per preservare il mare

Secondo il biologo Boris Worm, se continuiamo con un livello di pesca pari a quello attuale, entro il 2048 tutti i pesci che siamo abituati a consumare potrebbero scomparire dal Mediterraneo. Il granchio blu diventa quindi un simbolo dell’inquinamento marino, dello sfruttamento marittimo e della pesca incontrollata il cui andamento è alterato dai sussidi. Insomma, se stiamo spendendo 2.9 mld di euro per fermare un granchio in modo emergenziale, la causa siamo sempre noi.

Ecco quattro misure mirate non tanto a ridurre gli effetti della presenza del granchio blu ma, soprattutto, a salvare i nostri mari e i loro ecosistemi e quindi evitare di lamentarci dell’invasione di specie aliene.

Aumentare le riserve marine

Attualmente, il 6,35% della superficie marina nel mondo è riconosciuto come riserva marina. Ma nel 4% di queste aree è comunque consentita la pesca. Una percentuale abbastanza bassa, considerando che la Convenzione sulla diversità biologica, firmata nel 1992 da 150 paesi, impegnava a raggiungere il 10% entro il 2020. In generale, gli studiosi sono d’accordo che, per preservare il mare, servirebbe aumentare la percentuale di riserve marine nelle quali è effettivamente proibita la pesca al 30%.

Salvare squali e pesci spada

Gli squali sono considerati i “guardiani del mare” perché contribuiscono, con tutte le altre specie, a mantenere l’equilibrio della rete alimentare marina. Gli squali, inoltre, si riproducono poco e, assieme ai pesci spada, sono preziosi per la salute del mare. Forse sembra sorprendente ma siamo i primi consumatori in Europa di carne di squalo.

Come riportato dal WWF «Squali e razze vengono spesso venduti senza la pelle, oppure in tranci e filetti, e per i consumatori è difficile rendersi conto di cosa stiano acquistando. A ciò si aggiunge il problema delle frodi alimentari. La più comune riguarda proprio la verdesca, venduta spesso come pesce spada. In un recente studio è stato scoperto che su 80 campioni prelevati da venditori al dettaglio e grossisti di diverse tipologie, in ben 32 casi la verdesca e lo squalo mako venivano commercializzati come pesce spada». In un mix di frodi normalizzate, scarsa conoscenza e abitudine a non controllare le etichette o fare domande, rischiamo di acquistare e consumare carne di squalo.

Regolare le acque di zavorra

L’acqua di zavorra è quella che viene immagazzinata nello scafo di una nave e serve a mantenere l’imbarcazione in posizione verticale stabile e viaggiare in sicurezza. Il problema è che, come riporta Geopop, «si stima che ogni anno nel mondo siano trasportati 10 miliardi di tonnellate di acqua di zavorra, la quantità necessaria a riempire circa 4 milioni di piscine olimpiche, portando ad una nuova “invasione” da parte di specie indigene, ogni 9 settimane».

Tanto che nel 2017 l’International Maritime Organisation (IMO) ha ratificato la “Convenzione Internazionale per il controllo e la gestione delle acque di zavorra e dei sedimenti”. L’accordo obbliga le navi a cambiare spesso l’acqua di zavorra durante la navigazione per diminuire la distanza di trasporto delle specie aliene potenzialmente invasive e ad installare a bordo sistemi per abbattere e misurare il contenuto di microrganismi nell’acqua di zavorra.

Patrizia Riso

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