Sono usati in maniera prevalente per produrre energia e in moltissimi settori, ma il loro impatto è pesante sul clima, sull’ambiente e sulla salute
I combustibili fossili rappresentano ancora oggi la principale voce di produzione energetica mondiale. A fronte di una domanda globale di energia in aumento (+1% nel 2022) e seppure si sia registrata una crescita record delle energie rinnovabili, i combustibili fossili hanno rappresentato l’82% del consumo di energia primaria, secondo il rapporto Statistical Review of World Energy.
Dalla produzione della plastica all’edilizia fino alla cosmetica, sono impiegati pressoché in ogni settore. Dalla rivoluzione industriale in poi la produzione di energia da fonti fossili è aumentata notevolmente, soddisfacendo sì la sempre maggiore domanda di energia, ma con pesanti effetti collaterali: crisi climatica e riscaldamento globale sono addebitabili in buona parte al loro forte utilizzo. Carbone, petrolio e gas “sono di gran lunga quelli che contribuiscono maggiormente al cambiamento climatico globale, rappresentando oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra e quasi il 90% di tutte le emissioni di anidride carbonica”, ricordano le Nazioni Unite.
Cosa sono i combustibili fossili: facciamo chiarezza
Quando si parla di combustibili fossili, si intendono i combustibili derivati da resti fossili di piante e animali risalenti a milioni di anni fa. Si tratta di materie di origine biologica contenenti idrocarburi presenti nella crosta terrestre che possono essere utilizzati come fonte di energia.
Essi rappresentano fonti non rinnovabili che si sono formate da processi naturali, come la decomposizione anaerobica di organismi morti e sepolti. Quando il materiale fossile viene sepolto sempre più in profondità nel sottosuolo, è soggetto a un aumento di calore e pressione. Quando il calore aumenta, le molecole fossili iniziano a rompersi. La decomposizione iniziale crea materiali parzialmente modificati, come la torba delle piante. Questi materiali di transizione possono essere impiegati anche come fonti di combustibile, tuttavia hanno meno energia immagazzinata rispetto al carbone, al gas naturale o al petrolio completamente formati. “
Dopo milioni di anni sottoterra, i composti che costituiscono il plancton e le piante si trasformano in combustibili fossili. Il plancton si decompone in gas naturale e petrolio, mentre le piante diventano carbone”, spiega la Smithsonian Institution.
I principali combustibili fossili
Con il termine combustibili fossili sono compresi carbone, gas naturale, petrolio, scisti bituminosi, oli combustibili, tra i più importanti. Tutti contengono carbonio. Nel corso di milioni di anni si sono formati diversi tipi di combustibili fossili, a seconda della combinazione di materia organica presente, di quanto tempo è rimasta sepolta e delle condizioni di temperatura e pressione esistenti con il passare del tempo.
Le industrie dei combustibili fossili trivellano o estraggono queste fonti di energia, le bruciano per produrre elettricità o le raffinano per utilizzarle come combustibile per il riscaldamento o i trasporti.
Petrolio greggio
Il petrolio greggio è una miscela di migliaia di molecole diverse costituite da composti contenenti principalmente idrogeno e carbonio. Per essere utilizzato nell’industria e per i trasporti, deve essere separato nei suoi singoli carburanti e lubrificanti a base di idrocarburi. Con così tanti tipi di molecole, non esiste un’industria che non utilizzi prodotti petroliferi in una forma o nell’altra. Una volta estratto e raffinato, il petrolio viene utilizzato come lubrificanti, carburante, nella plastica, nei cosmetici e persino in medicina.
Carbone
Il carbone è una roccia solida, ricca di carbonio, disponibile in quattro varietà principali, differenziate in gran parte in base al contenuto di carbonio: lignite, litantrace sub-bituminoso, bituminoso e antracite. in termini di emissioni, è il combustibile fossile a più alta intensità di carbonio.
Gas naturale
Il gas naturale è un idrocarburo gassoso incolore altamente infiammabile costituito principalmente da metano ed etano. Di solito si trova in associazione con il petrolio greggio e contiene molti composti diversi, tra cui il più importante è, come detto, il metano. Spostatosi in ampie fessure e spazi tra gli strati di roccia sovrastanti, il gas naturale trovato in questi tipi di formazioni è chiamato anche gas naturale convenzionale. In altri luoghi, il gas naturale si trova nei minuscoli pori (spazi) all’interno di alcune formazioni di scisto, arenaria e altri tipi di roccia sedimentaria. Questo gas naturale viene chiamato shale gas, che si estrae di solito tramite fracking, utile anche per petrolio e gas naturale.
Il pesante impatto dei fossili su ambiente e salute
Il legame tra combustibili fossili e inquinamento è assai forte e dimostrato a livello scientifico. Secondo una ricerca dell’Università di Harvard, in collaborazione con l’Università di Birmingham, l’Università di Leicester e l’University College di Londra, a livello globale, l’inquinamento atmosferico derivante dalla combustione di combustibili fossili è responsabile di circa un decesso su cinque. “Migliaia di bambini sotto i 5 anni muoiono ogni anno a causa di infezioni respiratorie attribuite all’inquinamento da combustibili fossili”, scrivono gli scienziati autori della ricerca.
I combustibili fossili giocano un ruolo determinante anche nel climate change. L’utilizzo dei combustibili fossili per produrre energia iniziò intorno alla Rivoluzione Industriale. Tuttavia, il consumo di combustibili fossili è aumentato in modo significativo nell’ultimo mezzo secolo, circa otto volte dal 1950 e quasi raddoppiando dal 1980. Nel 2022 la produzione, il trasporto e la lavorazione di petrolio e gas hanno prodotto 5,1 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero poco meno del 15% delle emissioni globali di gas serra del settore energetico, riporta l’Agenzia internazionale dell’Energia (IEA). Circa la metà di queste emissioni provengono dal flaring e dal metano rilasciato durante le operazioni condotte dalle imprese oil & gas.
Produzione di inquinanti pericolosi
La produzione di energia – ottenuta principalmente dalla combustione di fossil fuel – rappresenta circa i tre quarti delle emissioni globali di gas serra. Non solo la produzione di energia è il principale motore del cambiamento climatico, ma anche l’uso di combustibili fossili e biomasse comporta un costo elevato per la salute umana: ogni anno più di cinque milioni di morti sono attribuiti all’inquinamento atmosferico (Fonte: British Medical Journal).
I combustibili fossili producono inquinanti atmosferici pericolosi, tra cui anidride solforosa, ossidi di azoto, particolato, monossido di carbonio e mercurio, tutti dannosi per l’ambiente e la salute umana (come sottolinea l’Environmental and Energy Study Institute). L’inquinamento atmosferico dovuto ai combustibili fossili può causare piogge acide, eutrofizzazione (nutrienti eccessivi che possono danneggiare gli ecosistemi acquatici abbassando i livelli di ossigeno), danni ai raccolti, alle foreste e alla fauna selvatica.
L’acidificazione degli oceani
C’è poi un altro problema di cui i combustibili fossili hanno contribuito in modo sensibile: l’acidificazione degli oceani. Negli ultimi 150 anni, l’acidità degli oceani è aumentata del 30%, mettendo a rischio organismi marini, barriere coralline, oltre a incidere su attività quali la pesca, il turismo e l’economia.
Inquinamento delle acque
L’impatto ambientale provocato dalle operazioni di trivellazione, fracking ed estrazione mineraria è consistente anche in termini di produzione di ingenti volumi di acque reflue fortemente inquinate. Come rileva il Natural Resources Defense Council, le industrie immagazzinano questi rifiuti in fosse a cielo aperto o pozzi sotterranei che possono fuoriuscire o traboccare nei corsi d’acqua e contaminare le falde acquifere con sostanze inquinanti legate al cancro, difetti congeniti, danni neurologici e molto altro.
Andrea Ballocchi