Le polveri sottili sono letali, specie il particolato fine o PM2,5. Lo mette in luce un nuovo studio svolto negli Stati Uniti, uscito in questi giorni, che ha evidenziato i potenziali rischi per la salute da bassi livelli di esposizione all’inquinamento atmosferico per 68,5 milioni di americani anziani. Lo ha pubblicato l’Health Effects Institute, gruppo di ricerca finanziato dall’EPA – Environmental Protection Agency, l’agenzia ambientale USA.
Esposizione al PM2,5: un nuovo studio ne amplia i pericoli
L’importanza di questo studio, coordinato dall’italiana Francesca Dominici, docente di biostatistica ad Harvard, è basata sul fatto che i soggetti studiati non vivono in aree inquinate bensì in zone rurali e in aree cittadine con bassa densità industriale. Il team ha riportato un aumento del rischio di mortalità dal 6% all’8% per ogni 10 microgrammi per metro cubo (µg/m3) di esposizione al PM2.5. Come ha sintetizzato bene il New York Times, se le regole federali per i livelli ammissibili di particolato fossero state leggermente più basse, ovvero pari a 10 µg/m3, valore richiesto dalle più recenti indicazioni OMS, si sarebbero potuto evitare ben 143mila morti in dieci anni.
Se negli USA, il governo Biden sta cercando di abbassare il limite massimo dai 12 attuali a 10 µg/m3, come prevede di fare la prossima primavera, la situazione in Europa è ben più seria: infatti, le direttive europee stabiliscono per la media annua di PM2.5 un limite massimo di 25 µg/m3. La Commissione UE prevede di aggiornarle presto, consapevole che le conseguenze stimate sono pesanti, specie in Italia, come vedremo.
Polveri sottili: cos’è il PM2,5
PM2,5, spiega il Ministero della Salute, è un termine che identifica le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 µm, una frazione di dimensioni aerodinamiche minori del PM10 e in esso contenuta. Il particolato PM2,5 è detto anche particolato fine. Perché è pericoloso per la salute? Per almeno due motivi: le particelle restano sospese per molto tempo in atmosfera, rispetto alle particelle grossolane, e sono in grado di entrare più in profondità nell’apparato respiratorio, provocando danni sia a livello polmonare che cardiaco. I danni da esposizione al particolato fine comprendono non solo malattie respiratorie e cardiovascolari ma hanno anche implicazioni sullo sviluppo cognitivo, con importanti effetti nei bambini. Ricerche precedenti hanno trovato che l’esposizione al particolato ha contribuito, solo negli USA, a circa 20mila morti all’anno (Dati EPA).
Lo studio USA sulle morti correlate al PM2,5
L’obiettivo dello studio condotto dall’Health Effects Institute è stato di valutare gli effetti negativi sulla salute dell’esposizione a lungo termine a bassi livelli di inquinamento ambientale. La professoressa Dominici e i suoi colleghi hanno sviluppato modelli di esposizione annuale per PM2.5, ozono e biossido di azoto negli anni dal 2000 al 2016 per stimare l’esposizione di tutti i 68,5 milioni di americani nello studio, tutti beneficiari del programma di assicurazione sanitaria Medicare. Il team di ricerca ha condotto analisi della connessione esposizione-salute e ha presentato i risultati di tre approcci di inferenza dettagliate per stimare il rischio di morire associato alle esposizioni a lungo termine agli inquinanti. I risultati sono stati coerenti in tutte e cinque le analisi. Ha riportato un aumento del rischio di mortalità dal 6% all’8% per ogni 10 microgrammi per metro cubo (µg/m3) di esposizione al PM2.5 attraverso le diverse analisi, con associazioni più forti a livelli di esposizione inferiori all’attuale standard nazionale annuale di 12 µg/m3.
Le evidenze dell’Oms
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha riveduto lo scorso settembre le linee guida considerando l’esposizione media annuale al PM2.5 da 10 a 5 microgrammi per metro cubo, ha esaminato gli standard di qualità dell’aria e l’esposizione a queste particelle nelle giurisdizioni nazionali e regionali di tutto il mondo. Dopo aver ottenuto dati sugli standard da 62 giurisdizioni, compresi 58 paesi, li ha studiati scoprendo che più della metà (52,7%) del territorio mondiale sotto giurisdizioni nazionali non ha uno standard ufficiale di qualità dell’aria per il PM2,5. Non solo: 3,17 miliardi di persone vivono in aree senza uno standard. Gli standard esistenti sono per lo più superiori al limite annuo guida dell’OMS. Gli standard di PM2.5 più deboli sono stati spesso superati, mentre quelli più severi sono stati spesso rispettati. Diverse giurisdizioni con la più alta densità di popolazione hanno dimostrato la conformità con standard relativamente severi.
Europa, tra intenzioni, prospettive e i tristi primati dell’Italia
Che aria si respira in Europa? La situazione non è ottimale, tutt’altro. Le attuali direttive europee stabiliscono un limite massimo di 25 µg/m3 per la media annua di PM2.5. la Commissione europea sta preparando una proposta legislativa per rivedere gli standard di qualità dell’aria dell’UE per allinearli più strettamente alle raccomandazioni dell’OMS. Ma intanto qualcuno si è posto la domanda: quanti morti si potrebbero evitare nell’UE se si mettessero in atto gli standard dell’OMS? Secondo un recente studio dell’Instituto de Salud Global de Barcelona (ISGlobal), le città europee potrebbero evitare 114mila morti premature in più ogni anno rispettando le nuove raccomandazioni sulla qualità dell’aria che tiene conto anche di altri parametri. Sempre secondo questo aggiornamento dell’ISGlobal Ranking of Cities mostra che i nuovi livelli guida per l’inquinamento dell’aria potrebbero salvare fino a 58mila morti in più per il PM2.5. Lo stesso studio ha stilato una classifica delle dieci città con il più elevato tasso di mortalità attribuibile all’inquinamento da PM2,5. L’Italia conta ben 4 città in questa top ten, di cui ha il triste primato con Brescia, seguita da Bergamo. Al quarto posto troviamo Vicenza e all’ottavo Saronno (Varese).
Andrea Ballocchi