Wise Society : L’inquinamento atmosferico ci sta togliendo anche il profumo dei fiori

L’inquinamento atmosferico ci sta togliendo anche il profumo dei fiori

di Valentina Neri
28 Febbraio 2024

Tra le tante conseguenze dell’inquinamento atmosferico, ce n’è una che in pochi avrebbero immaginato: se l’aria è contaminata, i fiori hanno meno profumo. E attraggono più debolmente gli insetti impollinatori.

Volenti o nolenti, all’inquinamento atmosferico ci siamo dovuti abituare. Chi abita in una grande città ha imparato che nelle limpide giornate invernali, se è da settimane che non piove, conviene evitare le lunghe passeggiate all’aperto e sostituire la corsetta mattutina con il tapis roulant. Ci sono altre conseguenze dello smog che non percepiamo direttamente, ma hanno comunque un impatto sul mondo in cui viviamo. Uno studio pubblicato da Science ne mette in luce una che in pochi avrebbero immaginato: se l’aria è contaminata, i fiori hanno meno profumo.

Fiori in un campo

Foto di Nature Uninterrupted Photography su Unsplash

Che effetto ha l’inquinamento atmosferico sui fiori (e sugli impollinatori)

“Ci preoccupiamo tanto dell’esposizione degli esseri umani all’inquinamento atmosferico, ma c’è un intero sistema vivente là fuori che è esposto agli stessi contaminanti”, spiega Joel Thornton, chimico dell’atmosfera presso l’università di Washington e co-autore dello studio. “In realtà stiamo solo scoprendo quanto siano profondi gli impiatti dell’inquinamento atmosferico”.

Nello specifico, i ricercatori si sono concentrati su due sostanze inquinanti. La prima è l’ozono (O3): nella stratosfera è presente naturalmente e – anzi – ci protegge dalle radiazioni ultraviolette, mentre negli strati bassi dell’atmosfera si forma per reazione fotochimica di altri inquinanti, come gli ossidi di azoto e i composti organici volatili (COV), in presenza della luce solare. Gli altri osservati speciali sono gli ossidi di azoto (in particolare i nitrati, NO3).

Entrambi gli inquinanti – in particolare gli ossidi di azoto – diminuiscono la concentrazione di monoterpeni, cioè i componenti profumati degli oli essenziali emessi dalle piante. Per verificarlo, gli scienziati hanno svolto degli esperimenti sulla oenothera pallida, i cui fiori si aprono delicatamente la notte e vengono raggiunti da lepidotteri chiamati Sfingidi, dotati di antenne molto sensibili. Con un’aggiunta di ozono, le concentrazioni dei due monoterpeni principali sono scese circa del 30%; associandovi anche i nitrati, il calo era dell’84%.

Sia in ambiente controllato sia sul campo, i ricercatori hanno notato che le falene visitano più raramente i fiori. Un calo tangibile: di notte il numero di passaggi degli insetti è crollato addirittura del 70%. Inevitabilmente, l’azione di impollinazione ne risente. Osservando i modelli atmosferici globali sull’ossidazione del profumo dei fiori, si scopre che non è un caso isolato. In alcune aree urbane, gli animali impollinatori sono sempre meno attratti dai fiori e fanno sempre più fatica a raggiungerli. Insomma, un servizio ecosistemico vitale come l’impollinazione risente anche dell’inquinamento.

Ape su fiore

Foto di Ban Yido su Unsplash

Il declino degli impollinatori

L’aggettivo “vitale” potrebbe sembrare un’esagerazione, ma non lo è. Animali come api, pipistrelli, vespe e falene impollinano il 90% delle piante selvatiche da fiore: piante che a loro volta offrono cibo, riparo o altre risorse ad altre specie, contribuendo dunque alla salute degli ecosistemi. E, in molti casi, alla nostra. Più di tre quarti delle principali colture alimentari dipendono – almeno in parte – dall’impollinazione animale in termini di resa o qualità, scrive la Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes) in un poderoso rapporto che si basa su circa 3mila pubblicazioni scientifiche.

Il problema è che, negli ultimi decenni, le popolazioni di impollinatori selvatici sono andate incontro a un brusco calo, in Europa e Nord America. Solo nell’Unione europea, una specie di farfalle, api e ditteri su tre è in declino. Una su dieci è a rischio estinzione. C’è anche chi ha provato a calcolare il valore economico dell’impollinazione delle colture da parte degli insetti: nell’Unione europea, tra il 1991 e il 2018 si è attestato tra i 7 e i 18 miliardi di dollari all’anno.

Il ruolo degli insetticidi neonicotinoidi

Insomma, tutelare gli impollinatori è solo nel nostro interesse. Eppure, stiamo facendo tutto il contrario. Lo studio pubblicato da Science fa luce sull’impatto dell’inquinamento atmosferico, ma all’origine del declino degli impollinatori ci sono anche molti altri fattori. Tutti con un minimo comune denominatore: l’uomo.
Tra i più discussi, per esempio, ci sono i pesticidi: nell’arco dell’ultimo decennio il loro impiego è diminuito, in termini di quantità, ma la loro tossicità per le api e gli altri impollinatori è raddoppiata. Lo dimostra un’analisi condotta su 380 pesticidi usati negli Stati Uniti tra il 1992 e il 2016.

Destano particolare preoccupazione i neonicotinoidi, insetticidi che interferiscono con la capacità di orientamento e apprendimento delle api selvatiche e mellifere, ostacolandone la riproduzione. Tant’è che le istituzioni dell’Unione europea hanno stabilito che tre di loro (imidacloprid, clothianidin e thiamethoxam) potranno essere usati solo in serra, non più nei campi. Nonostante le solide evidenze scientifiche che lo dimostrano, diversi Stati (come il Regno Unito, dopo l’uscita dall’Unione) hanno comunque deciso di reintrodurli. Un’inchiesta ha anche accusato l’Unione europea e il Regno Unito di aver continuato a esportare i neonicotinoidi verso Paesi come il Brasile, l’Ucraina, il Mali e il Pakistan.

Valentina Neri

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