Un innovativo studio del professor Raffaele Marfella e del suo team dimostra la correlazione di micro e nanoplastiche con malattie cardiovascolari quali infarti e ictus. Vediamo perché e soprattutto quali possono essere le vie d'uscita al problema
Le microplastiche e le nanoplastiche non solo contaminano organi e tessuti del nostro corpo, ma possono interferire anche con il loro corretto funzionamento, esponendoci ad un rischio molto più alto di infarti, ictus e mortalità.
Ne abbiamo parlato col professor Raffaele Marfella, che per primo ha individuato e dimostrato la correlazione tra la contaminazione da micro e nanoplastiche nelle arterie e le patologie cardiovascolari. Il professor Marfella è docente di Medicina Interna del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, che ha il grande merito di aver coordinato una importante ricerca, pubblicata di recente sul New England Journal of Medicine.
Questo studio, dal titolo “Microplastics and Nanoplastics in Atheromas and Cardiovascular Events”, dimostra come le placche aterosclerotiche contengano spesso micro e nanoplastiche a base di polietilene o polivinilcloruro, due dei composti plastici più utilizzati al mondo, presenti nella maggior parte dei prodotti di plastica che ci circondano.
Contaminazione da microplastiche e salute cardiovascolare
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nel mondo, rappresentando circa il 32% dei decessi globali. In teoria, con una buona prevenzione e controllando i fattori di rischio, sarebbe possibile invertire questa drammatica tendenza. Tuttavia nonostante la riduzione del fumo, una dieta equilibrata, l’attività fisica, il controllo la pressione e del peso, un sonno adeguato, dall’inizio del secolo ad oggi la mortalità cardiovascolare continua ad aumentare, sia negli uomini che nelle donne.
Questo perché, come sottolinea il professor Morfella, l’inquinamento è uno dei fattori di rischio che maggiormente incide sulla mortalità cardiovascolare. Basti pensare che nel 2019 l’inquinamento è risultato essere tra le prime cause di morte, superando malnutrizione, fumo e incidenti stradali.
Il nodo della questione è: di che tipo di inquinamento stiamo parlando? Perchè mentre teoricamente potremmo gestire l’inquinamento atmosferico riducendo le emissioni o vivendo in contesti non urbani, se il fattore di rischio è rappresentato dalla plastica, non c’è modo per riuscire ad evitare l’esposizione ad essa, e quindi il suo assorbimento, sia per la sua capillare diffusione, sia per la produzione in costante aumento, sia per la nostra dipendenza da essa.
L’assorbimento della plastica nel corpo umano
La plastica non si limita a rimanere nell’ambiente, ma viene anche assorbita dal corpo umano. È stato calcolato che ogni settimana ognuno di noi assorbe per inalazione, ingestione – e forse addirittura attraverso la pelle – una quantità di plastica equivalente a una carta di credito. Una volta nel corpo, si diffonde nei tessuti, nelle urine, nel sangue e perfino nel latte materno.
Essendo un materiale inerte, non viene espulsa o degradata, ma semplicemente si accumula. Studi sperimentali su animali e colture cellulari, hanno dimostrato che questo accumulo provoca stress ossidativo, infiammazione e morte cellulare per apoptosi o piroptosi, processi alla base di tutte le patologie.
![Microplastiche sotto una lente di ingrandimento](https://wisesociety.it/wp-content/uploads/2024/01/microplastiche-680x383.jpg)
Foto Shutterstock
Le microplastiche e il cuore
Per comprendere se questi dati fossero applicabili sull’uomo, il professor Molfetta e il suo team hanno indagato la presenza di microplastiche e nanoplastiche nelle arterie, essendo, come già spiegato, le malattie cardiovascolari la prima causa di morte nell’uomo. Lo studio ha dimostrato che le micro e nanoplastiche possono attaccare il cuore con effetti dannosi fino ad oggi sconosciuti e mai provati prima.
È stata rilevata per la prima volta la loro presenza nelle placche aterosclerotiche, provandone la pericolosità. Queste placche, costituite da depositi di grasso, si trovano nelle arterie e, quando contaminate dalla plastica, risultano più infiammate, friabili e a rischio di rottura. Ciò aumenta di almeno due volte il rischio di infarti, ictus e mortalità rispetto a placche non contaminate.
Cosa possiamo fare?
Quello che ognuno di noi può fare però è di fondamentale importanza! È ormai imperativo cercare con ogni gesto di innescare individualmente meccanismi virtuosi: non acquistare alimenti avvolti nella plastica, così come pure prediligere l’acqua del rubinetto oppure in bottiglie di vetro, scegliere utensili di legno, stoviglie di porcellana o ceramica, evitando l’uso di plastica monouso, riciclare quanto più possibile. Inoltre, ma non meno importante, agire sull’ambiente prendendo l’abitudine non solo di non disperdere i propri rifiuti di plastica nell’ambiente, ma anche di raccogliere quelli che troviamo.
Infine, supportare i tanti progetti che si occupano proprio del contenimento dei rifiuti di plastica, come quello, sostenuto anche dal professor Marfella, di Biodesign Foundation, che, insieme alla Marina Militare, ha creato una task force senza precedenti per un’azione coordinata di pulizia dalla plastica su scala nazionale.
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Intervista e testi: Paola Greco
Montaggio: Fabio Restelli