Gli esami puntano a garantire l’eventuale diagnosi precoce delle neoplasie: tumore al seno, al colon-retto e alla cervice uterina. Delle 14 milioni di persone convocate se ne sono presentate meno della metà (6,3 milioni).
Il miglior modo di combattere il cancro resta il gioco d’anticipo. Tradotto: prevenzione e diagnosi precoce. Dove non arriva la prima, un mix di comportamenti con i quali è possibile ridurre quasi del 40 per cento l’impatto delle malattie oncologiche (nuove diagnosi), può arrivare la seconda. Lo si dice da sempre: prima si scova un tumore, maggiori sono le probabilità di curarlo. Un’affermazione che, negli anni, è stata supportata da un’ampia serie di dati. Prove che hanno portato finanche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad affermare che la diagnosi precoce salva le vite e tiene sotto controllo la spesa sanitaria. Più semplice a dirsi che a farlo, però, leggendo i numeri dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Nazionale Screening.
SCREENING: CRESCE LA CONSAPEVOLEZZA TRA GLI ITALIANI – Gli screening sono una delle grandi armi a disposizione del Servizio sanitario nazionale e di tutti i cittadini. Andrebbero, però, usati meglio, perché anche in questo ambito la sanità pubblica mostra la sua doppia faccia: il divario tra il Sud e il resto del Paese. In certe regioni sono ancora poche le persone che dovrebbero fare un controllo e invece non arrivano in ospedale, o perché non vengono chiamate o perché decidono di non presentarsi. Che cosa dicono i dati dell’ultimo dossier, relativo all’attività svolta nel 2017? I numeri indicano che, a vent’anni dall’introduzione da parte del Servizio Sanitario Nazionale, gli screening oncologici iniziano a fare breccia tra i cittadini. Si tratta di esami garantiti dallo Stato – dunque gratuiti per chi vi si sottopone – che puntano a garantire l’eventuale diagnosi precoce delle tre neoplasie in altrettante fasce d’età in cui s’è visto che il beneficio che si trae dal sottoporre a un esame di massa la popolazione è di gran lunga superiore ai rischi. Nel 2017 sono state convocate oltre 14 milioni dipersone: ma se ne sono presentate meno della metà (6,3 milioni). È in aumento il numero di italiani che si sottopone agli screening oncologici: riguardanti il tumore al seno (mammografia), al colon-retto (ricerca del sangue occulto nelle feci) e alla cervice uterina (Pap test o Hpv-test). Due anni fa, 1,8 milioni di donne hanno fatto la mammografia contro i 3,5 milioni del biennio 2015-2016. I numeri, per l’esame in grado di intercettare il cancro al colon-retto, sono ancora migliori, cioè 2,5 milioni due anni fa rispetto a 4,6 nel biennio precedente. Un po’ in calo il pap test (da 1,7 milioni di donne nel 2016 è passato a 1,6 nel 2017), ma la flessione può derivare dal passaggio in alcune regioni al test per la ricerca del Dna del papilloma virus, che viene richiesto a cadenza quinquennale (e non triennale, come il Pap test).
ITALIA A DUE VELOCITÀ – La battaglia da vincere consiste nel convincere la comunità sanitaria e i singoli cittadini che l’attività organizzata è più efficace della pratica spontanea. Sottoporsi a un maggior numero di esami non equivale a garantirsi un migliore stato di salute. Questo atteggiamento, unito a una minore efficienza della macchina pubblica e alla ridotta sensibilità in materia di una parte della cittadinanza, permette di spiegare quali fenomeni determinino lo scenario visibile sul rovescio della medaglia. A preoccupare è la forbice tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Se consideriamo la mammografia, si va dal 73 per cento dell’Emilia all’11 della Calabria: nel mezzo, ma più spostate verso il basso, la Sicilia (25), la Sardegna (22), la Campania (20) e la Puglia (19). Peggiore è la situazione del colon-retto: si passa dal 61 per cento di adesione del Friuli Venezia Giulia allo zero registrato in Puglia, dove lo screening di fatto non è mai partito (negando un diritto all’intera cittadinanza, costretta a ripiegare sulla sanità privata). Sono i numeri del Sud Italia a non permettere di essere dunque pienamente ottimisti. Quando la diagnosi del tumore del colon-retto avviene in fase avanzata, le possibilità di sopravvivenza sono limitate. Soltanto l’11 per cento di questi pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi.
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