Il 30 novembre sarà la 5^ Giornata Nazionale del Parkinson (GNP2013). Il prof. Claudio Pacchetti dell'Unità Operativa Parkinson e....
Vedi una persona che trema e pensi alla malattia di Parkinson. «Ma non è sempre detto che chi trema abbia il Parkinson, così come non è detto che un malato di Parkinson sviluppi sin dall’insorgere della patologia un tremore agli arti», spiega il professor Claudio Pacchetti, responsabile dell’Unità Operativa Parkinson e Disordini del movimento dell’Istituto Neurologico “C. Mondino” di Pavia.
Ovvero il Parkinson questo sconosciuto, «non a livello clinico e di ricerca, ma a livello comunicativo – sottolinea Pacchetti -. Non è che ci sia reticenza a parlare di questa malattia, ma la verità è che il Parkinson, in quanto malattia cronica neurodegenerativa, non fa notizia. O meglio la fa soltanto quanto un malato, come effetto collaterale della cura farmacologica cui deve sottoporsi, finisce per giocarsi tutto alle slot machine o si dedica allo shopping compulsivo».
Benvenuti nella dolorosa quotidianità dei malati di Parkinson e di chi si prende cura di loro (caregiver) che il prossimo 30 novembre saranno al centro della V Giornata Nazionale del Parkinson (GNP2013), promossa dal comitato medico scientifico Limpe e Dismov-Sin. Far parlare di più della malattia di Parkinson, o morbo di Parkinson che dir si voglia, è uno degli obiettivi della GNP2013 dedicata a una malattia «dall’alto impatto sociale che solo in Italia colpisce quasi 300.000 persone, tra cui il 15-20% prima dei 50 anni».
«Si tratta di una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale causata dall’accumulo di una proteina, chiamata alfa-sinucleina, che porta i neuroni dopaminergici a spegnersi con una conseguente insufficiente formazione di dopamina. Di fatto è una malattia che crea difficoltà di movimento», spiega Pacchetti. Per la malattia di Parkinson, a oggi, «non esiste una cura definitiva, né una terapia farmacologica in grado di rallentarne la progressione, esistono però terapie farmacologiche e chirurgiche di neuromodulazione in grado di migliorare i sintomi motori e la qualità di vita dei pazienti».
I CAMPANELLI D’ALLARME – «Quando il tremore è presente la diagnosi è agevolata perché la persona si rivolge subito al medico – sottolinea Pacchetti -. Ma il tremore a volte non c’è e allora occorre prestare molta attenzione ad altri sintomi come il rallentamento del movimento, la riduzione della capacità di espressione (ipomimia), la rigidità del collo o dolori alla spalla che possono essere facilmente scambiati per problemi articolari. Altri disturbi pre-motori che possono anticipare di anni la malattia di Parkinson sono i disturbi del sonno legati alla fase REM in cui il paziente è indotto a parlare, piangere, urlare, ridere o scalciare mentre dorme».
Ad indirizzare i pazienti verso il neurologo quando necessario devono concorrere i medici di famiglia, ma «occorre che ci sia un livello di preparazione un po’ più raffinato sul Parkinson. Per questo è necessario promuovere l’informazione e la formazione anche nei loro confronti». Esistono, però, tremori essenziali non legati al Parkinson. «In questo caso una visita neurologica ed, eventualmente, un dat scan cerebrale negativo è in grado di escludere la patologia parkinsoniana».
VANTAGGI DELLA DIAGNOSI PRECOCE – «Nonostante non si possa rallentare il progredire della malattia – spiega Pacchetti -, la diagnosi precoce è fondamentale per iniziare un trattamento farmacologico con farmaci dopaminergici il prima possibile allo scopo di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
E LA CHIRURGIA DBS? – La stimolazione cerebrale profonda (DBS), oggi, non deve più essere considerata come l’ultima possibilità terapeutica, ma una terapia da collocare anche nelle fasi intermedie della malattia».
EFFETTI COLLATERALI DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA – «La stimolazione dopaminergica perde efficacia nel tempo e determina fasi OFF (blocco del movimento) e discinesie (movimenti involontari). Agendo anche su altre aree cerebrali – sottolinea Pacchetti – può indurre un disturbo del controllo degli impulsi, con sviluppo di gioco (ludopatia) e di shopping patologico e altri disturbi della sessualità. Per questo i parkinsoniani hanno bisogno, a un certo punto della malattia, di caregiver attenti ai problemi psicologici, emotivi e di relazione».
IL PARKINSON NON È UNA MALATTIA DI GENERE – «È vero che c’è una lieve prevalenza maschile tra gli ammalati di Parkinson, ma questo non la identifica come una malattia di genere. Il Parkinson colpisce sia gli uomini sia le donne – chiarisce Pacchetti -. Gli ormoni sessuali, però, influenzano in maniera significativa il sistema dopaminergico che risulta alterato nella malattia, quindi sarà opportuno studiare eventuali differenze nella storia evolutiva della malattia».
Il Parkinson colpisce milioni di persone nel mondo e ha un alto costo sociale. Non è, quindi, una “orfana” o dimenticata come alcune patologie rare. La ricerca pre-clinica è particolarmente attiva nei modelli animali sui quali si valutano gli effetti di terapie, farmacologiche, geniche o con cellule staminali. È allo studio anche l’eventuale effetto clinico e protettivo di farmaci che ridurrebbero il deposito intracellulare di alfasinucleina. «Si tratta ancora di modelli sperimentali – chiarisce Pacchetti – che daranno vita, sicuramente, ai farmaci del prossimo futuro».
L’assistenza per i pazienti parkinsoniani e per i loro caregiver in Italia – «Purtroppo, come per altre patologie, il Servizio sanitario nazionale non offre ovunque la stessa qualità. Ci sono alcune regioni e alcune province dove l’assistenza è d’eccellenza ed altre in cui si fatica a trovare un ambulatorio di primo livello; uno degli obiettivi delle Società Scientifiche Limpe e Dismov-Sin è quello della disseminazione di una cultura clinica adeguata attraverso una formazione certificata e permanete – conclude Pacchetti -. Per quanto riguarda i caregiver l’associazionismo laico è molto diffuso in tutta Italia».