Wise Society : Il settore tessile è ancora lontanissimo dall’economia circolare: un progetto europeo prova a recuperare questo ritardo

Il settore tessile è ancora lontanissimo dall’economia circolare: un progetto europeo prova a recuperare questo ritardo

di Valentina Neri
1 Maggio 2024
SPECIALE : Moda tossica

Prende il via il progetto europeo VERDEinMED, il cui obiettivo è quello di incentivare l’economia circolare nel settore tessile. Ce n’è un gran bisogno, a giudicare dal fatto che in media ogni europeo butta nella spazzatura circa 12 chili di vestiti e scarpe ogni anno

Hanno fatto il giro del mondo le immagini del deserto di Atacama, in Cile, sepolto da 40mila tonnellate di vestiti usati dismessi. Capi d’abbigliamento venduti a prezzi stracciati, poi spediti in Cile per essere rivenduti, poi di nuovo scartati (perché sono di qualità talmente scarsa da non valere più nulla) e abbandonati in giganteschi cumuli. A cui ogni tanto qualcuno dà fuoco, per fare spazio. Sono immagini agghiaccianti ma, al tempo stesso, geograficamente lontane. Possiamo chiudere gli occhi, fare finta di ignorarle. Eppure, ciascuno di noi cittadini europei butta nella spazzatura, in media, 12 chili di vestiti e calzature ogni anno. Soltanto il 22% viene raccolto per il riutilizzo o il riciclo. Alla luce di questi dati, è evidente come introdurre i princìpi dell’economia circolareanche nel settore tessile sia una priorità da affrontare al più presto. Ci prova un nuovo progetto europeo, VERDEinMED, finanziato con quasi 3 milioni di euro.

Rifiuti tessili

Foto Shutterstock

Settore tessile ed economia circolare, a che punto siamo

Il settore tessile è molto più ampio di quanto ci immaginiamo. Viene spontaneo infatti pensare a magliette, jeans e scarpe, ma in realtà comprende anche tessili per la casa come piumini, coperte e tappeti, tessili tecnici come corde e reti, rifiuti post-industriali come fibre e ritagli. Nel suo insieme, dunque, questo segmento dell’economia genera 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno nella sola Unione europea (i dati sono della Commissione europea). Se ci limitiamo a considerare i prodotti che ciascuno di noi maneggia più comunemente, cioè capi d’abbigliamento e calzature, il totale è più basso: 5,2 milioni di tonnellate nel 2019. Ma sono pur sempre 12 chili a testa, ogni anno, per ogni singolo cittadino dell’Unione europea. Un’enormità.

Il riciclo del tessile è ancora un miraggio 

Per auto-assolverci potremmo raccontare a noi stessi che, in fin dei conti, buttare nella spazzatura non sia così grave perché c’è pur sempre la possibilità di riciclare. Ma questa è, appunto, una scusa. Di tutti i rifiuti tessili post-consumo nell’Unione europea, soltanto una parte minoritaria – per la precisione il 22% – viene differenziata per il riutilizzo o il riciclo. Tutto il resto finisce in discarica o in inceneritore. Con tutto ciò che ne consegue in termini di impatto ambientale.

Le istituzioni europee si sono impegnate a far sì che il riciclo dei tessuti diventi la normalità e non più un’eccezione, introducendo l’obbligo di raccogliere separatamente i rifiuti tessili. A livello comunitario scatta nel 2025, ma l’Italia ha voluto anticiparlo al 1° gennaio 2022. Sono passati ormai due anni, ma “da un punto di vista operativo sono stati due anni persi”, commenta ad Altreconomia Rossano Ercolini, presidente della Rete Zero Waste Europe. Questo perché l’obbligo è stato enunciato soltanto in linea generale, senza però emanare quei provvedimenti che avrebbero permesso a imprese e consorzi di metterlo in pratica.

Oltretutto, nel frattempo le istituzioni europee sono andate avanti con la revisione della direttiva quadro sui rifiuti, che introduce un’altra fondamentale novità: l’introduzione di sistemi di Responsabilità estesa del produttore (la sigla è Erp) anche per il tessile. Il meccanismo, che esiste da tre decenni nel settore degli imballaggi, prevede che i marchi e i produttori paghino un contributo per ogni articolo immesso sul mercato. Denaro che verrà poi reinvestito per coprire i costi di raccolta, selezione, utilizzo e riciclo. Come suggerisce il nome, dunque, è un sistema che li porta ad assumersi la responsabilità sull’intero ciclo di vita del prodotto.

Discarica di vestiti nel deserto di Acatama

Foto Shutterstock

Il progetto europeo VERDEinMED

VERDEinMED è un acronimo che sta per “PreVEnting and ReDucing the tExtiles waste mountain in the MED area”. È un progetto su cui stanno lavorando dieci partner in sette Paesi (Italia, Bulgaria, Grecia, Macedonia del Nord, Portogallo, Slovenia e Spagna) oltre a 15 enti associati, tra centri di ricerca, aziende, organizzazioni non governative, pubbliche amministrazioni, cluster e cooperative. I partner per l’Italia sono Confindustria Umbria e l’organizzazione ambientalista Legambiente. VERDEinMED è uno dei 14 progetti tematici del programma europeo Interreg Euro-MED dell’Unione europea: dura trentatré mesi ed è finanziato con quasi tre milioni di euro.

Durante questi trentatré mesi, i partner dovranno sviluppare strumenti efficaci per rendere più sostenibile e circolare il settore tessile e dell’abbigliamento. Il progetto non si focalizza tanto sui materiali o sui prodotti, quanto piuttosto sulle tecnologie e sui processi con i quali vengono fabbricati (in una parola, sul modello di produzione) e sulle abitudini delle persone (il modello di consumo).

Non bisogna poi dimenticare che il contesto, cioè il bacino del Mediterraneo, è un hotspot dei cambiamenti climatici ed è a forte rischio di siccità – o addirittura di desertificazione in certe aree. Per questo, le soluzioni proposte dovranno incentivare la filiera tessile a consumare le risorse in modo più oculato e a ridurre la propria impronta di CO2 complessiva.

Valentina Neri

© Riproduzione riservata
Continua a leggere questo articolo: