L'analisi di wisesociety.it sulle questioni su cui verterà la conferenza mondiale in programma dal 30 novembre all'11 dicembre
La conferenza mondiale (COP21) in programma dal 30 novembre all’11 dicembre a Parigi è chiamata a prendere delle decisioni fondamentali per rallentare il cambiamento climatico in atto. L’evento è ormai noto a tutti e presente nei media da diverse settimane. Non sono forse però altrettanto conosciuti e accessibili i termini del negoziato, la reale portata che potrà avere l’auspicato accordo di Parigi nella nostra vita quotidiana e gli ostacoli da superare per arrivare a siglare un nuovo patto mondiale per il clima.
Con questo articolo, vorremo accompagnare il lettore oltre i controlli di sicurezza del centro Le Bourget dove gli “sherpa” del negoziato, i Ministri dell’Ambiente e i grandi Capi di stato e di governo di tutto il mondo si troveranno per prendere delle decisioni cruciali per il nostro futuro per fornire delle risposte a degli interrogativi fondamentali.
Cos’è la COP21?
È il ventunesimo incontro dell’UNFCCC, il tavolo (letteralmente la “Convenzione”) delle Nazioni Unite dedicato al cambiamento climatico. L’UNFCCC è stato creato nel 1992, giusto due anni dopo la pubblicazione del primo rapporto dell’IPCC, il gruppo di scienziati mondiali chiamati a fare sintesi della conoscenza sul cambiamento climatico. Il contenuto del primo rapporto IPCC ha reso evidente i contorni di un problema che interessa l’intero pianeta, senza distinzione dei confini politici creati dall’uomo. Il testo della Convenzione rappresenta ancora oggi il riferimento indiscutibile per ogni trattativa negoziale.
Contiene, ad esempio, il riconoscimento che il cambiamento climatico sia prima di tutto una responsabilità storica dei paesi industrializzati che proprio sull’emissioni di CO2, legata principalmente all’utilizzo dell’energia, ha basato il proprio processo di sviluppo. I paesi più poveri hanno responsabilità minori e pertanto è previsto che debbano intervenire in un secondo momento, anche con l’aiuto dei paesi più ricchi.
Altro punto fondamentale della Convenzione è l’aver condiviso la necessità di stabilizzare le emissioni mondiali dei gas ad effetto serra (GHG). Purtroppo, invece, le emissioni dal 1992 a oggi hanno continuato a salire senza sosta arrivando a superare la quota annuale di 32 miliardi di t CO2 nel 2014.
Perché è così importante?
L’unico accordo di riduzione dei GHG sviluppato all’interno dell’UNFCCC è il Protocollo di Kyoto, siglato nel 1997 ma entrato in vigore solo nel 2005, dopo un travagliato e incompleto percorso di ratifica a livello internazionale. Alcuni paesi sviluppati, tra cui USA e Australia non hanno ratificato all’interno dei propri rispettivi parlamenti quanto avevano concordato a Kyoto. Nel 2007 l’Australia tornava sui suoi passi, lasciando gli USA da soli nella scomoda posizione di unico paese sviluppato a non aderire al Protocollo. L’ostinazione del paese americano, ai tempi ancora primo emettitore mondiale di GHG, ha ovviamente da allora pesato come un macigno sul negoziato, aumentando l’inefficacia del processo negoziale con la creazione di complessi gruppi e percorsi paralleli. I presupposti per il superamento del Protocollo di Kyoto, che prevedeva inizialmente (come previsto dalla Convenzione) impegni per i soli paesi sviluppati, sono stati creati in vista della COP15 di Copenhagen, nel 2009. Purtroppo l’incapace gestione della presidenza danese e il prevalere degli interessi nazionali su quelli globali ha prodotto un pesante fallimento. A distanza di sei anni, la COP21 di Parigi assume così i contorni del Piano B, rispetto a Copenhagen.
Gli scienziati hanno chiaramente indicato l’assoluta necessità di avviare un percorso di riduzione delle emissioni globali di GHG al massimo in una finestra temporale tra il 2015 e il 2020. Opzione che ci si può aspettare possa essere realizzata solo attraverso l’ampio e immediato coinvolgimento di tutti i paesi del mondo. Senza un accordo a Parigi è impensabile che tale inversione di tendenza possa avere luogo nei tempi richiesti.
Accordo di Parigi: si riuscirà a siglare un accordo mondiale?
È difficile fare previsioni sul possibile risultato di un negoziato internazionale, soprattutto in un processo tanto articolato e complesso come quello dell’UNFCCC. Dobbiamo, ad esempio, constatare che le ambizioni in vista di Parigi sono state ridimensionate rispetto a quello che si è cercato di ottenere a Copenhagen.
Nella capitale danese il negoziato partiva dall’ammontare complessivo di riduzione delle emissioni GHG necessarie per limitare il riscaldamento globale del pianeta al di sotto della soglia dei 2°C. L’esercizio tentato allora è stato di arrivare a una modalità condivisa per ripartire equamente l’impegno complessivo tra i vari paesi. Un tentativo simile a quello di stabilire le dimensioni delle fette di una torta tra persone diverse, tenendo conto delle condizioni alimentari dei commensali. Potranno essere discussi i criteri adottati, ma l’importante è che alla fine l’intera torta (la riduzione globale di GHG) possa essere completamente distribuita.
La logica dell’accordo di Parigi è invece rovesciata, perché non si parte dall’ammontare globale di riduzioni attese, ma dagli impegni volontari (INDC) dei singoli paesi. Rimanendo sul parallelo culinario è come organizzare un party in cui ognuno si presenta con il cibo e le bevande che preferisce, senza alcun coordinamento rispetto alle aspettative complessive. Se gli invitati sono generosi ci potrà essere cibo per tutti, ma in caso contrario qualcuno potrà rimanere a bocca asciutta. E, purtroppo, l’elenco delle vettovaglie con cui i paesi di tutto il mondo si sono presentati all’uscio del party di Parigi non è ancora all’altezza di quanto richiesto dagli scienziati.
COP21: sarà sufficiente a contenere l’innalzamento della temperatura sotto una soglia accettabile?
Sommando gli impegni di riduzione dei GHG che i paesi di tutto il mondo hanno comunicato preventivamente alla COP21, è stato calcolato che l’innalzamento della temperatura del pianeta potrebbe raggiungere i 2,7°C, lontano quindi dalla soglia di sicurezza dei 2°C. Uno scostamento così importante da spingere alcuni a decretare in anticipo il fallimento della Cop per il clima, già prima dell’avvio dei lavori a Parigi. Sarebbe però una conclusione troppo limitata, perché la condivisione a livello internazionale degli impegni di riduzione dei vari paesi è comunque un obiettivo politico fondamentale, che non può ambire a essere come ai tempi di Copenhagen una sorta di traguardo di arrivo del processo negoziale dell’UNFCCC, ma che è l’indispensabile punto di partenza su cui sviluppare nuovi e più stringenti obiettivi di riduzione delle emissioni GHG.
In tal senso è fondamentale la valenza giuridica che potrà acquisire l’auspicato accordo. Non potrà essere evidentemente un Protocollo vincolante, come lo è stato quello siglato a Kyoto nel 1997, perché il rifiuto della maggioranza del Senato USA alla successiva ratifica tornerebbe a mettere in crisi l’azione coordinata a livello mondiale sul clima e il significato stesso dell’esistenza dell’UNFCCC. Ma non potrà neanche essere completamente volontario, come lo sono stati la presentazione degli obiettivi INDC per la COP21. Proprio sulla valenza più o meno vincolante dell’accordo si giocherà una delle partite più importanti a Parigi, con la posizione americana annunciata in anticipo da John Kerry di non volere un accordo legalmente vincolante. Resta solo da vedere come andrà a finire.