Con la vittoria dei Democratici si torna (finalmente) a parlare di riscaldamento globale. Cosa cambierà e che cosa prevede il programma del nuovo presidente degli Stati Uniti? La speranza è che si passi in modo deciso dalle parole ai fatti perché la prima potenza economica mondiale possa dare, insieme con l'Europa, una spinta importante nella risposta a un'emergenza ormai non più procrastinabile
Con l’elezione di Joe Biden come 46esimo presidente degli Stati Uniti si volta pagina (almeno secondo le premesse e secondo quanto abbiamo visto e sentito finora) rispetto all’approccio, certamente più aggressivo e divisivo, del suo predecessore Donad Trump, all’interno stesso del Paese e nei confronti del resto del mondo. Gli esempi da citare che hanno fatto la cifra politica dell’ormai ex inquilino della Casa Bianca sono tanti: dall’uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità all’imposizione di dazi commerciali, fino all’abbandono dell’Accordo di Parigi del 2015 sul clima. E proprio legato a quest’ultimo, come cambierà (perché, almeno nei proclami, molto pare cambierà rispetto alla gestione del tycoon, anche se poi, come sempre bisognerà vedere nei fatti in che modo il nuovo presidente tradurrà nella pratica i suoi impegni di campagna elettorale) l’approccio della Casa Bianca nei confronti del riscaldamento globale e del cambiamento climatico, che addirittura Trump è arrivato a negare contro ogni evidenza scientifica?
Cos’è l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico e cosa prevede?
Firmato nel dicembre del 2015, l’Accordo di Parigi è un trattato internazionale sui cambiamenti climatici sottoscritto dai 195 paesi che hanno partecipato alla Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite e che rappresenta un’ideale prosecuzione del cammino intrapreso dalla comunità internazionale con il Protocollo di Kyoto, redatto invece nel 1997.
Il cuore dell’accordo è lo sforzo di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2 °C oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1.5 °C, in quanto ciò ridurrebbe in modo apprezzabile i rischi e gli effetti legati al cambiamento climatico. Tra gli altri obiettivi principali, che prevedono il raggiungimento della neutralità rispetto al clima entro la fine del secolo, quello di raggiungere anche il prima possibile il picco delle emissioni di gas serra, in modo da cominciare a ridurle fino a trovare un equilibrio tra emissioni e tagli per la seconda metà del secolo. Un obiettivo, quello della decarbonizzazione dell’economia mondiale, per il quale le nazioni più industrializzate si impegnano a sostenere i paesi meno sviluppati nel loro sforzo volto al contenimento delle emissioni.
Il piano di Joe Biden per contrastare il cambiamento climatico
La questione climatica ha rappresentato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Joe Biden, inserita nelle priorità di governo anche durante il primo discorso alla nazione dopo il successo elettorale.
Il suo piano per affrontare l’emergenza climatica prevede innanzitutto il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, sottoscritto da Barack Obama e poi stralciato dall’amministrazione Trump, e il raggiungimento dell’obiettivo nazionale di emissioni nette “zero” entro il 2050, attraverso una spesa federale di 1,7 triliardi di dollari in dieci anni.
Nel programma dei Democratici l’impegno contro il cambiamento climatico viene indicato come un’opportunità per ripensare il settore energetico e dare impulso alla crescita economica tramite la produzione di energia rinnovabile e la sempre maggiore diffusione di veicoli elettrici. Previsti, quindi, importanti investimenti in tecnologie strategiche, tassazione più aggressiva delle emissioni e una serie di incentivi per il trasporto pubblico e la mobilità elettrica. Tra le altre azioni concrete, anche la creazione di una nuova agenzia federale (ARPA-C) per accelerare lo sviluppo di tecnologie fondamentali e investimenti pari a 400 miliardi di dollari per la ricerca su reattori nucleari modulari, sistemi di cattura del carbonio, reti di stoccaggio energetico e su una produzione industriale delle materie prime a basse emissioni.
Emergenza climatica: la speranza è che ora si passi dalle parole ai fatti
Impegni importanti dunque, sostenuti evidentemente, visto il programma della controparte trumpiana, dagli attivisti per il clima, nonostante le critiche nella prima parte della corsa alla Casa Bianca. Come quelle, per esempio, del Sunrise Movement, che pur votando alla fine per Biden, ha riservato a quest’ultimo non poche recriminazioni durante le primarie del Partito Democratico, additato per un’eccessiva moderazione sul fronte del clima rispetto ad altri contendenti come Bernie Sanders. Quest’ultimo fautore del famoso Green New Deal, che prevedeva di raggiungere gli obiettivi necessari in dieci anni, contro i trenta previsti invece da Biden, con un investimento totale di oltre 16 triliardi di dollari.
Gli impegni di Biden lasciano, comunque, ben sperare, soprattutto dopo una fase, quella dei quattro anni dell’amministrazione Trump, cupa e del tutto indifferente al tema del riscaldamento globale, per un Paese che è responsabile di quasi il 15 per cento delle emissioni di gas serra annualmente rilasciate nell’atmosfera e che gioca un ruolo fondamentale nello scacchiere politico internazionale. Insieme con l’Unione Europea, gli Stati Uniti possono, infatti, contribuire in modo determinante, anche tramite la forte influenza esercitata nel mondo, nell’opera di convincimento di altre nazioni più restie su questi temi, per la costruzione di un futuro sostenibile a livello globale.
Ora non resta che aspettare la prova dei fatti e i prossimi mesi saranno fondamentali per valutare quanto le parole del neo eletto presidente si trasformeranno in azioni concrete per fronteggiare una situazione, quella climatica, che non può più aspettare.
Vincenzo Petraglia
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