Secondo uno studio condotto da ricercatori britannici, un passaggio completo a un’agricoltura di tipo organico farebbe diminuire la produzione alimentare del 40 per cento cosrtringendo a importare cibo da altri paesi aumentando le emissioni dovute ai trasporti
Nel confronto tra singole coltivazioni, quanto a emissioni di gas serra, l’agricoltura biologica sarebbe da preferire a quella convenzionale. Ma immaginare di trasformare tutti i campi in coltivazioni in cui non si ricorre all’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi e di organismi geneticamente modificati non è la soluzione a tutti i mali del Pianeta. Se immaginassimo di vivere in un Paese che produce soltanto alimenti biologici, saremmo con ogni probabilità costretti a respirare un’aria di peggiore qualità. Questo perché, a fronte di produzioni limitate, ci ritroveremmo costretti a importare maggiori quantità di semi o di prodotti finiti: contribuendo così a un maggiore sfruttamento della terra e a un aumento delle emissioni di gas serra.
I «LIMITI» DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA – Sono queste le conclusioni di uno studio condotto in Inghilterra e in Galles, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista «Nature Communications». Secondo i ricercatori del dipartimento di energia e ambiente dell’Università di Cranfield che l’hanno firmata, un passaggio completo a un’agricoltura di tipo organico ridurrebbe le emissioni a livello locale soprattutto nel campo dell’agricoltura (ma pure della zootecnia). In questo modo, però, la produzione alimentare calerebbe del 40 per cento. Il quasi dimezzamento – le colture di grano e orzo e gli allevamenti di bovini e ovini sarebbero quelli maggiormente intaccati dal cambio di modalità produttiva – non sarebbe privo di conseguenze. Per soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione, infatti, i due Paesi sarebbero costretti a importare maggiori quantità di cibo. E questo aumento di «traffico» di produzioni non sarebbe privo di contraccolpi per l’ambiente. «Dovremmo aggiungere migliaia di chilometri al trasporto di cibo: una scelta dannosa per l’ambiente e soprattutto evitabile», affermano i ricercatori.
VA BENE IL BIOLOGICO, MA NON SE SERVE PER TUTTI – Un’ipotetica alternativa potrebbe essere rappresentata dalla conversione di suolo all’interno dei confini nazionali: ampliando così quello utilizzato per l’agricoltura e l’allevamento. Ma tenendo costanti i consumi dei cittadini, è quanto si evince dallo studio, servirebbe una quantità di terra cinque volte superiore a quella oggi impiegata per produrre alimenti. Senza trascurare che la conversione dell’utilizzo dei terreni ridurrebbe anche la quantità di carbonio immagazzinata nel suolo: da cui anche l’aumento di emissioni, quantificato nel 21 per cento. «I benefici dell’agricoltura biologica ci sono, ma perché una scelta di questo tipo è adottata da un campione ristretto della popolazione», dichiara il ricercatore Adrian Williams, tra gli autori della pubblicazione. Conclusioni analoghe erano emerse già sul finire dello scorso anno, da una ricerca apparsa sulle colonne di «Nature». In quel caso il lavoro era stato condotto in Svezia. Medesimi però si erano rivelati i risultati. «Il maggiore utilizzo di suolo nell’agricoltura biologica determina indirettamente un aumento delle emissioni di anidride carbonica – aveva spiegato Stefan Wirsenius, ecologo dell’Università di Goteborg -. La produzione alimentare mondiale è governata dal commercio internazionale, quindi il modo in cui si coltiva in un Paese influenza la deforestazione anche a migliaia di chilometri didistanza».
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