Wise Society : Agricoltura di prossimità: cos’è e perché sostenerla

Agricoltura di prossimità: cos’è e perché sostenerla

di Andrea Ballocchi
2 Aprile 2024

Produrre cibo in modo sostenibile a partire dalla terra, per consumare in maniera consapevole e creare cooperazione: sono gli obiettivi dell’agricoltura di prossimità, che offre diversi benefici

L’agricoltura di prossimità è un modo diverso di intendere l’agricoltura e che pone al centro ogni persona, chiamata a essere produttrice oltre che consumatrice del cibo prodotto attraverso il proprio lavoro sul campo. Ovviamente questo approccio non vuole – e non può – sostituirsi alla agricoltura tradizionale, ma è in grado di produrre benefici tangibili. Innanzitutto, intende puntare a una modalità di produzione biologica, che riduce drasticamente l’impiego di pesticidi o additivi chimici, oltre a ottimizzare le risorse. L’agricoltura è infatti uno dei settori più impattanti, a livello di emissioni, e occorre lavorare a ridurle sensibilmente per sperare di centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. L’Unione Europea, a questo proposito, si è posta l’obiettivo di passare a un’economia net zero entro il 2050, con l’obiettivo intermedio di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. Ecco, allora, che intervenire con nuove soluzioni decisamente più sostenibili, come l’agricoltura di prossimità, può fornire un contributo.

Pomodorini

Foto di Elaine Casap su Unsplash

Cos’è l’agricoltura di prossimità

Ma facciamo un passo indietro per capire, prima di tutto, cos’è l’agricoltura di prossimità. Il significato è molteplice in quanto la prossimità s’intende tra produttori e consumatori, tra spazi abitativi e produttivi, tra urbano e rurale. Si tratta quindi di un modello in cui la modalità di commercializzazione dei prodotti agroalimentari avviene mediante vendita diretta dal produttore al consumatore oppure mediante vendita indiretta tramite un unico intermediario.

Non deve essere per forza un modello economico, anche se può diventare un’opportunità economica, specie per le giovani generazioni: anche gli orti urbani sono un perfetto esempio di agricoltura di prossimità. Secondo Carlo Petrini, ideatore e fondatore di Slow Food, va intesa nel senso e nella finalità di “non far viaggiare molto le merci, consumare meno CO2, rivitalizzare l’agricoltura del territorio”.

Come evidenzia il progetto LIFE TogetherFor1.5 (che vede unite 13 organizzazioni della società civile nazionali e CAN Europe, la principale coalizione di ONG sul clima in Europa), l’agricoltura di prossimità “è uno degli assi più importanti per la sostenibilità della filiera alimentare”, perché consente la riduzione dell’impronta ecologica dell’agricoltura. Non solo: è un’opzione che offre molteplici contributi socio-economici: produzione di cibo di qualità; rafforzare le relazioni tra agricoltori e consumatori e costruire la sovranità alimentare e la resilienza nelle comunità”. Solo la cooperazione tra agricoltori e consumatori attraverso filiere agroalimentari corte consente l’agricoltura contadina di prossimità.

Mazzo di carote

Foto di Markus Spiske su Unsplash

I benefici dell’agricoltura di prossimità e della filiera corta

Da quanto detto finora si evince che i benefici dell’agricoltura di prossimità sono molti. Il primo beneficio è ambientale, grazie alla minimizzazione delle esternalità negative, primo tra tutti l’inquinamento da pesticidi, e al contributo alla manutenzione del suolo e alla valorizzazione della biodiversità. C’è poi un beneficio sociale in termini di contributo alla rivitalizzazione delle aree rurali e delle relative tradizioni culturali, anche attraverso la diffusione di attività educative, ricreative, terapeutiche.

Elena Jachia, direttrice Area Ambiente della Fondazione Cariplo, ha posto l’accento sul valore strategico della agricoltura di prossimità, dando qualche parametro utile: in un ettaro di terreno libero si può produrre cibo per sette persone per un anno. «Solo in Lombardia si perdono 15 ettari agricoli al giorno, ovvero 5400 ettari agricoli l’anno. Questo significa perdere la possibilità di produrre cibo per 38mila persone l’anno».

Ma uno dei principali benefici è legato alla possibilità di autoprodurre verdura e frutta, che consente di accrescere la consapevolezza su cosa si mangia, favorendo una pratica affine all’agricoltura biologica e che punta al consumo consapevole e diminuisce l’uso di prodotti chimici sul suolo e nell’acqua.

Produrre a chilometro zero implica inoltre evitare costi di logistica, contribuendo a ridurre emissioni e inquinamento per far viaggiare il cibo. Come spiega Terra Antica Vita Nova, gruppo di “giovani hobbisti contadini”, «coltivare a chilometro zero permette di recuperare suoli non coltivati e abbandonati da decenni. È importante tenere pulito e ordinato il proprio territorio, per migliorare l’ambiente e renderlo resiliente. Il recupero del territorio è un’importante difesa anche per le calamità naturali».

Progetti ed esempi virtuosi in Italia

A livello regionale si segnalano interventi mirati a promuovere l’agricoltura di prossimità: il Dipartimento Agricoltura della Regione Calabria ha approvato, lo scorso febbraio, il progetto di cooperazione interterritoriale “Filiere Corte e Mercati Locali”, che beneficia di una dotazione finanziaria di circa un milione e 600mila euro. Si pone l’obiettivo di sviluppare strategie di confronto e scambio di buone pratiche tra i Gruppi di Azione Locale (GAL) per valorizzare il sistema agroalimentare locale attraverso il potenziamento e l’innovazione di canali promozionali e di commercializzazione dei prodotti a filiera corta e km0, sostenendo la nascita di sinergie per la formazione di aggregazioni tra gli operatori del territorio.
Il partenariato è composto dal Gal Sila Sviluppo, che assume la funzione di capofila, e dai Gruppi di Azione locale Sibaritide, Valle del Crati, Pollino Sviluppo, STS Terre Brettie, Kroton, Due Mari, Terre Vibonesi, Riviera dei Cedri e Serre Calabresi.

C’è inoltre chi l’agricoltura di prossimità la insegna. È il caso della Scuola di agricoltura di prossimità al Castello di Padernello, il cui obiettivo è insegnare a produrre frutta e verdura e a commercializzarla nel rispetto della biodiversità e del territorio.
Vanno segnalati anche anche esempi virtuosi, come la Fattoria del Dono, a San Lazzaro di Savena (Bologna). Nata come podere donato da un cittadino al Comune, esso verrà trasformata in un agri-parco con fattoria di comunità, creando i presupposti per un luogo di inclusione sociale e di solidarietà immerso nella campagna. A Bologna è attiva la Cooperativa agricola di cittadini bolognesi Arvaia. Ispirata alle Comunità a supporto dell’agricoltura europee, tutti i soci sono proprietari dell’azienda e vi possono lavorare affiancando alcuni dipendenti agricoli nella produzione di ortaggi, legumi, cereali e frutta e per i soci. La cooperativa sviluppa una coltivazione locale e biologica, svolgendo la propria attività agricola su un terreno pubblico nei pressi della città bolognese, «per condividere la fatica dei contadini e la felicità di veder crescere il cibo, per la formazione di una nuova consapevolezza dei cittadini». Il motivo dell’avvio di Arvaia, spiegano gli stessi fondatori è legato al ritorno all’atto agricolo, che «consolida il legame tra le persone e il territorio dove vivono», creando relazione e un nuovo stile di vita.

C’è chi ha messo a profitto l’esperienza pratica dal progetto di divulgazione e ricerca sulle tecnologie e le pratiche legate alla piccola agricoltura: è il caso di Officina Walden, che svolge anche attività di distribuzione di attrezzature professionali per la piccola e media agricoltura sostenibile.

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