Wise Society : Coi nuovi digestori gli scarti diventano a energia green e a consumo zero

Coi nuovi digestori gli scarti diventano a energia green e a consumo zero

di Andrea Ballocchi
11 Febbraio 2020

Un gruppo italiano propone mini digestori anaerobici capaci di generare biogas e fertilizzante bio dall’organico di scarto senza consumare energia. Un’ottima idea per i Comuni

Generare energia termica ed elettrica dai rifiuti, più precisamente dagli scarti di una comunità sociale, agricola e/o industriale, in piena logica di economia circolare e rispettando in pieno i criteri di sostenibilità, producendo fertilizzante bio. Il tutto senza bisogno di elettricità o altra forma di alimentazione extra. Tutto ciò è possibile e si prospetta un’autentica manna per i Comuni, per gli enti locali ma anche per le realtà private alle prese con montagne di residuo organico da smaltire. Nel 2018, ultimo dato utile, la produzione nazionale dei rifiuti urbani ha superato i 30 milioni di tonnellate, con una crescita del 2% rispetto al 2017, certifica Ispra.

Come fare a creare un circolo virtuoso? Le idee non mancano a cominciare da quella proposta dall’italiana Future Power.

I digestori su misura per i Comuni italiani

Future Power opera in tre aree distinte, una delle quali vede attiva Technical Department – R&D, che si occupa di mini impianti “a solido” (brevetto) a ciclo anaerobico. Si tratta di soluzioni contenute – l’area occupata è pari a 15 x 20 metri – in grado di occuparsi dello smaltimento rifiuti organici in quantità tra le 1500 e le 3000 tonnellate l’anno, potendo trattare fino a 80 ingredienti diversi ricavati da frazione organica dei rifiuti da raccolta differenziata (Forsu), ma anche da residui organici agricoli e zootecnici, residui organici industriali di lavorazione alimentari, sfalci e potature, urbane e forestali e persino dalle alghe che si accumulano sulle spiagge.

«Noi intendiamo risolvere il problema dello scarto organico Comune per Comune, valorizzandolo dal punto di vista energetico in mini unità dedicate (a ciascun comune il suo impianto) e rigenerandolo biologicamente. Gli impianti piccoli permettono di avere una tracciabilità in termini di alimentazione: si sa esattamente ciò che entra e, quindi, ciò che esce sotto forma di fertilizzante bio, certificabile», afferma Marco Baudino, fondatore e direttore tecnico di Future Power.

Come funziona il processo di digestione anaerobica

Ma come funziona l’impianto? Semplice: basta immettere al suo interno il residuo. «Qui avviene la digestione anaerobica, di fatto la decomposizione controllata e altamente efficiente – non massiva come nei digestori oggi presenti in Italia principalmente a tecnologia “a umido”, dove la massa d’acqua è imprescindibile al processo – che permette di creare un digestato che, lasciato maturare all’aria circa solo 15 giorni dopo l’uscita dal digestore, serve per fertilizzare in maniera naturale i terreni, fornendo nutrienti essenziali e carico organico riportandoli nelle giuste condizioni di biodiversità e recuperandoli da processi di desertificazione e impoverimento. Si tratta di una risorsa preziosa, ormai allo stato attuale dello sfruttamento intensivo dei terreni e dei cambiamenti climatici, anche in Italia». Il prodotto digestato è un fertilizzante impiegabile dall’agricoltura biologica e addirittura biodinamica non appena termineranno i test specifici in corso, spiega Baudino. Una soluzione per l’emergenza rifiuti? Può darsi.

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Con la digestione anaerobica si crea un digestato che, lasciato maturare all’aria circa solo 15 giorni dopo l’uscita dal digestore, serve per fertilizzare in maniera naturale i terreni, Foto: Future Power

Energia dallo scarto: biogas ed elettricità per piccoli e grandi Comuni

L’aspetto più interessante del mini digestore è che, oltre al fertilizzante, produce biogas da cui ricavare biometano o energia elettrica e termica, a seconda delle necessità del Comune di riferimento.

«Questi impianti possono essere preziosi alleati specie per i Comuni, specie quelli difficilmente raggiungibili, in zone montane o in area Mediterranea (le isole minori) «perché recuperando energia sotto forma di biogas possono trasformarla in energia elettrica. Significa così garantirsi la possibilità di raggiungere l’autonomia energetica semplicemente gestendo la propria frazione organica e gli scarti delle attività agro-zootecniche e di manutenzione del verde locali, ridando vita ad attività artigianali tipiche, caratteristica del nostro Paese, magari oggi in difficoltà», sottolinea Baudino.

Ma allo stesso modo i piccoli impianti possono trovare spazio nelle città più grandi, per esempio nei quartieri periferici. «L’adozione di un impianto di questo genere potrebbe rendere davvero possibile l’avvio delle smart city, le città intelligenti che hanno nell’economia circolare un punto forte». Si pensi alla possibilità di utilizzare l’energia per alimentare veicoli elettrici, permettendo il suo sviluppo in maniera economicamente sostenibile. «Questo progetto è già previsto a Roma, nel progetto protocollato da Roma Capitale, denominato La Certosa Inclusiva, pronto a partire».

Bio digestore a consumo zero

La particolarità che rende queste soluzioni eco-friendly è che non richiedono di essere alimentate da una fonte energetica extra per funzionare. «Una volta immesso il residuo, parte il processo di decomposizione; il biogas che si forma viene raccolto e, debitamente immesso e filtrato in un serbatoio, serve ad alimentare il cogeneratore per produrre energia elettrica e termica. O se si vuole, in alternativa, purificato in biometano. Non c’è consumo energetico: quello che avviene è un processo statico al cui interno si avvia il fenomeno di decomposizione controllata che produce naturalmente metano» spiega il fondatore di Future Power.

Il costo di un impianto, circa un milione di euro, può sembrare proibitivo, ma non lo è: «oltre a contare su un ritorno degli investimenti in tempi relativamente brevi – anche entro l’anno in determinati casi – chi volesse dotarsi della soluzione potrebbe contare su un finanziamento 100%, grazie al fondo di investimento che ha deciso di sostenere l’impresa». L’unica condizione è ottenere la certezza che l’impianto possa contare sempre sul residuo utile per essere alimentato.

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