In Italia c'è ancora poca consapevolezza sul tema, anche fra i medici. Cerchiamo di approfondire l'argomento scoprendo di cosa si tratta e l'accesso dei cittadini a questo tipo di cure.
Quando l’attenzione da parte dell’Italia sulla vicenda della piccola Indi Gregory, la bimba di 8 mesi affetta di una malattia mitocondriale giudicata inguaribile per cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è mossa in prima persona per concedere la cittadinanza italiana alla piccola e facilitare un eventuale trasferimento all’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, anche sui motori di ricerca si è assistito a un crescente interesse verso l’argomento delle cure palliative.
Numerosi e diversissimi i livelli di riflessione necessari per parlare obiettivamente del “caso Indi”, tra questi anche l’opportunità di comprendere come
“Le cure palliative pediatriche ci insegnano a cambiare lo sguardo sull’obiettivo di cura di queste malattie, mettendo a disposizione del piccolo paziente e della sua famiglia tutte le strategie necessarie per aiutarli a vivere una vita di qualità, non invasa inutilmente da macchine e terapie. Aiutare i genitori e tutti i familiari in questo drammatico percorso è fondamentale: sostenendoli nei loro dubbi, rispondendo onestamente alle loro richieste sulla base di quanto la scienza dispone, accettando le loro frustrazioni senza far promesse che non possono modificare il decorso della malattia”
come hanno voluto sottolineare in una lettera aperta rivolta al Consiglio dei Ministri i firmatari Fondazione Maruzza, Società italiana cure palliative e Federazione cure palliative, intervenendo, dunque, sul dibattito pubblico incalzato dagli avvenimenti.
Prima di Indi Gregory, il caso Pelè
Un dettaglio misterioso attirò per alcuni giorni la curiosità dei media internazionali che si occupavano di aggiornare il quadro clinico della leggenda del calcio, Pelé. Quasi 12 mesi fa, infatti, un quotidiano di San Paolo riportava che l’ex calciatore sarebbe stato posto a cure palliative in quanto non rispondente più alla chemioterapia, velina immediatamente smentita dai figli.
Non sappiamo come Edson Arantes do Nascimento, per tutti noi Pelé, abbia vissuto i suoi ultimi giorni: sappiamo che il campione si è spento il 29 dicembre del 2022 nell’ospedale Albert Einstein di San Paolo e che la vicenda personale di un personaggio globale contribuì anche in quell’occasione ad accendere i riflettori, propriamente e impropriamente, sul tema dell’opportunità di accedere alle cure palliative di fronte a una malattia inguaribile.
Cure palliative: cosa dice la legge italiana
Una delle missioni evidenziate nella Legge 38 del 2010 che inquadra e introduce in Italia per la prima volta le garanzie di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore è informare i cittadini di questo diritto. A che punto siamo?
Uno studio realizzato da Ipsos per VIDAS, organizzazione di volontariato impegnata nell’assistenza gratuita dei malati inguaribili e dei loro familiari, in collaborazione con la Federazione Cure Palliative e grazie al contributo della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, ha cercato di dare una risposta questa domanda e “in assenza di campagne istituzionali, come previsto nell’articolo 4 della Legge, a informare i cittadini contribuisce soprattutto l’opera degli enti del terzo settore” ha evidenziato Tania Piccione della Federazione italiana cure palliative in occasione della presentazione all’Università degli Studi di Milano degli esiti di questa indagine volta a fotografare il grado di conoscenza e di esperienza delle cure palliative in un campione rappresentativo di popolazione, di medici del territorio e ospedalieri, pediatri.
Il sondaggio italiano sul tema delle cure palliative
Negli ultimi 10 anni nell’opinione pubblica sarebbe aumentata sensibilmente la consapevolezza verso il significato di cure palliative e sugli obiettivi di intervento. Meno chiara è la conoscenza che il servizio rientri nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e, soprattutto, che le cure palliative siano un diritto del malato disponibile su tutto il territorio nazionale.
La casa il luogo di cura prescelto
A partire dal campione intervistato, 1501 persone tra i 18 e 75 anni, è emerso che:
- la quota di chi non ha mai sentito parlare di cure palliative è praticamente nulla;
- il domicilio è il setting desiderato come luogo primario di cura da oltre la metà degli intervistati, mentre l’ospedale è preferito d una persona su 10, è aumentata la consapevolezza sugli hospice e sono indicati come luogo preferito per la cura da 1 intervistato su 5 (prevalentemente nelle Regioni in cui sono presenti più strutture di questo tipo);
- la presenza di oppiacei nel piano di cure palliative è accolto senza particolari resistenze dal 91% degli intervistati;
- il medico di base e lo specialista restano la fonte principale per informarsi.
Anche il sondaggio tra i clinici (920 interviste a medici territoriali e ospedalieri ambulatoriali) ha rilevato che:
- Circa il 15-20% dei medici non sa che le cure palliative siano un diritto garantito dalla legge, percentuale che sale a quasi il 30% tra i pediatri;
- tra i clinici vi è la diffusa percezione che la popolazione sia poco informata sulle cure palliative, opinione poi parzialmente contraddetta dall’esperienza nel momento in cui si è di fronte a una famiglia cui si presenta o propone questa forma di cura;
- la maggior parte dei medici tende a proporre le cure palliative quando i trattamenti non incidono più sul decorso della malattia e solo marginalmente con maggiore tempestività insieme ad altri trattamenti.
Quello che non sappiamo sul tema
Permangono comunque delle misconoscenze sul tema delle cure palliative:
- il 18% delle persone intervistate le ritiene sinonimo di cure inutili o ‘naturali’ o alternative alla medicina tradizionale.
- le figure sociali e volontarie facenti parte delle equipe multidisciplinari nelle cure palliative sono spesso meno riconosciute e valorizzate a fronte di un metodo che nella sua mission esige l’accompagnamento spirituale e sociale del malato e della sua rete di relazioni più strette;
- permane la credenza che le Cure palliative siano legate al fine vita e questa disinformazione produce l’effetto negativo di introdurre tardivamente queste terapie mentre, nella realtà, possono essere attivate in qualsiasi momento nel corso della malattia e possono essere associate a qualsiasi tipo di trattamento.
Diffondere la consapevolezza sulle cure palliative
Se da una parte ci sono più italiani informati, anche a causa dell’esperienza diretta o vicina con questo approccio terapeutico, l’indagine evidenzia la necessità di aumentare ulteriormente il livello di consapevolezza nella popolazione, così come nel personale medico. Quali sfide per la comunità scientifica e mondo dell’informazione? Una premessa la pone Giada Lonati, medico Vidas:
“sappiamo che il domani che ci aspetta è fatto di cronicità e si rende necessaria una pianificazione condivisa delle cure: la conoscenza permetterebbe anche di stemperare la dicotomia tra curante e curato e portare benefici”.
A incalzare anche Gino Gobber, presidente della Società scientifica di cure palliative che precisa come
“la normativa in Italia è coerente e completa. Sappiamo che quello che serve è un’applicazione che impedisca situazioni frammentate e a macchie di leopardo perché le situazioni di eccellenza ci sono, quindi l’obiettivo è raggiungibile”.
La comprensione del dolore
Nel 2021 è stata istituita la prima cattedra universitaria in Cure palliative il cui scopo è, anche, contribuire alla diffusione delle conoscenze su queste metodologie nell’ambito delle scienze mediche.
“La rete sul territorio prevede molti servizi che hanno bisogno di medici dedicati – sottolinea Augusto Caraceni, direttore della Scuola di specializzazione in medicina e cure palliative all’Università statale di Milano -: questi servizi hanno bisogno di avere medici di medicina generale e specialisti formati a integrare le cure palliative nelle loro cure: se nell’ambito oncologico abbiamo modelli sul contributo delle cure palliative durante le terapie per il controllo del dolore, anche in cardiologia, pneumologia o neurologia ad esempio, è importante il ruolo della formazione medica specifica. Con la formazione del medico palliativista assistiamo a una rivoluzione copernicana: l’università si pone come autore e promotore di un cambiamento culturale il cui obiettivo è la soggettività del paziente e in cui è capovolto il paradigma della morte come sconfitta della medicina”.
Un po’ di storia sulle cure palliative: Cicely Saunders e San Martino
Ha un nome e cognome la persona che “inventò” le cure palliative, Cicely Saunders. Negli anni della fine della Seconda guerra mondiale era impegnata come infermiera volontaria nell’assistenza post-operatoria dei pazienti con malattie terminali, ma il suo titolo di studio non le sarebbe stato sufficiente per organizzare l’intuizione che quell’esperienza e altre precedenti tra i pazienti inguaribili le stavano suggerendo: curare il controllo del dolore fisico senza perdere di vista il bisogno psicologico e spirituale che si affacciano emblematici nell’affrontare le fasi ultime della malattia in un ambiente dedicato.
Così si laureò in Medicina nel 1957 e potè aprire il primo Hospice della storia, il St Chirstopher’s Hospice a Londra nel 1967. Dai suoi pazienti e dai loro cari trasse la verità che ancora oggi guida chi ha responsabilità in cure palliative con i pazienti di tutto il mondo: trasmettere ai malati e alle famiglie che è possibile comprendere come si sentono offrendo a ciascuno una cura e attenzione personalizzate.
Quella forma di protezione e assistenza a chi vive nella profonda sofferenza ricorda il gesto del giovane soldato Martino, santo della chiesa cattolica che col suo spontaneo gesto di strappare con la spada il suo mantello per proteggere dal freddo un mendicante, ha fatto sì che la ricorrenza di ricordare l’11 novembre San Martino sia anche data della Giornata nazionale per sensibilizzare sulle cure palliative.
Rosy Matrangolo