Wise Society : Carlo Ratti e Italo Rota: la progettualità del futuro è sempre più green
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Carlo Ratti e Italo Rota: la progettualità del futuro è sempre più green

di Paola Greco
21 Settembre 2022

I due architetti collaborano ormai da qualche tempo, e hanno dato forma e lustro a progetti geniali ed innovativi, sempre con una grande attenzione ai temi della sostenibilità e dell’economia circolare.

Carlo Ratti, classe ’71, architetto e ingegnere, è fondatore dello studio internazionale di design e innovazione CRA – Carlo Ratti Associati. È direttore del Senseable City Laboratory, il laboratorio che ha fondato presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology di Boston). Italo Rota, classe ’53, architetto e urbanista fondatore di IRBO, Italo Rota Building Office, studio di architettura internazionale con sede a Milano. È Direttore Scientifico di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, docente presso Shanghai Wusong International Art City Shanghai Academy of Fine Arts, Advisor presso l’Università Tsinghua di Pechino.

Due figure estremamente autorevoli a livello mondiale, che da qualche tempo hanno cominciato a collaborare, dando forma e lustro a progetti geniali ed innovativi, sempre con una grande attenzione ai temi della sostenibilità e dell’economia circolare.

Italo Rota e Carlo Ratti

Italo Rota e Carlo Ratti

La loro ultima fatica in tandem è stata l’istallazione Feeling the Energy, presentata durante il Fuorisalone 2022 nella splendida cornice dell’Orto Botanico a Brera, Milano. Abbiamo avuto il piacere di intervistarli congiuntamente e siamo partiti proprio da qui.

Fuorisalone 2022: L’installazione Feeling the Energy, progettata per Plenitude dallo studio CRA – Carlo Ratti Associati con la collaborazione di Italo Rota, è dedicata alle molteplici forme dell’energia e mostra come questo elemento centrale della nostra vita sia conciliabile con la natura attraverso un utilizzo efficiente e intelligente. Insomma avete reso l’energia un’esperienza sensoriale. Possiamo dire che, attraverso questa esperienza, è possibile capire come l’energia ci connette con la natura?

Sì, il progetto, ospitato nell’Orto Botanico di Brera, si ispira al funzionamento degli organismi vegetali come, ad esempio, gli alberi che ricavano energia dall’ambiente e poi la utilizzano localmente dove ne hanno bisogno – nel tronco, nelle radici o in questo o quel ramo. In maniera analoga, il lungo tubo in rame di Feeling the Energy produce energia in modi diversi (sole, vento, etc.), per poi utilizzarla in punti specifici del percorso.

In altri termini il parco energetico permette di scoprire le molteplici forme della produzione – e del consumo – di energia sostenibile. Il tubo di rame antibatterico di lunghezza complessiva di oltre 500 metri riproduce un’esperienza interattiva e multisensoriale che permette ai visitatori di “sentire l’energia” (“Feeling the Energy”, appunto). Nel complesso si tratta di un esempio di micro-rete energetica autosufficiente, che riproduce, su piccola scala, quanto avviene con le reti energetiche cittadine o nazionali.

Installazione Feeling the Energy

Foto di Marco Beck Peccoz

Ratti e Rota: due generazioni diverse e due modi differenti di intendere l’architettura. Eppure collaborate spesso insieme, trovandovi sempre d’accordo sulla necessità di piegare il design davanti ai dicta della natura (penso alla residenza privata The Greenary), piuttosto che alla necessità di evolversi nel tempo in modo sostenibile. Qual è il vostro rapporto con la natura? e qual è la vostra visione comune, ma anche le eventuali differenze in tema di sostenibilità?

In realtà abbiamo una visione molto simile – sfumare i confini tra il mondo del naturale e quello dell’artificiale. Crediamo che questa sia una delle sfide principali dell’architettura contemporanea. È vero che i nostri percorsi professionali precedenti sono stati diversi, ma oggi ci troviamo su posizioni adiacenti – e la diversità del passato arricchisce il presente!

The Greenary è un esempio di questo approccio. Si tratta di una residenza privata inaugurata nel 2021, vicino Parma. La casa è stata commissionata da Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima azienda leader in Europa nella produzione di prodotti a base di pomodoro. L’intero edificio si sviluppa intorno ad un albero di ficus alto dieci metri situato al centro dello spazio abitato. Una specie di Raumplan di Loosiana memoria con al centro non lo spazio vuoto ma la natura.

Sempre vostro (insieme anche a Matteo Gatto e F&M Ingegneria) il favoloso Padiglione Italia di Expo Dubai 2020. Tutto il mondo è venuto ad ammirare le mille sfaccettature dell’eccellenza italiana, realizzate con materiali innovativi come alghe, fondi di caffè, bucce d’arancia e sabbia. Tende fatte di corde nautiche ottenute da 2 milioni di bottiglie di plastica riciclata che, grazie alla connessione con l’esterno, hanno anche permesso di rinunciare ad un sistema di areazione tradizionale… i tre scafi della copertura, che rappresentavano il tricolore italiano più grande mai realizzato, dipinti usando vernici prodotte da scarti alimentari… un Belvedere che richiamava i giardini rinascimentali, dove la microalga spirulina rendeva possibile la purificazione dell’aria tramite la biofissazione dell’anidride carbonica prodotta dai visitatori. Un progetto maestoso con cui avete voluto esplorare la circolarità nell’architettura?

Il Padiglione Italia a Dubai è stato il nostro primo grande progetto a quattro mani, che ci ha indirizzato verso la collaborazione più strutturata di cui dicevamo prima. L’idea è molto semplice: un aspetto che ci ha sempre infastidito nelle Olimpiadi e nelle Esposizioni Universali è il fatto che dopo il grande evento migliaia di tonnellate di materiali da costruzione finiscano in discarica. Per questo abbiamo deciso di puntare sulla circolarità come tema portante – filo rosso tra tutte le scelte progettuali.

Installazione Feeling the energy

Foto di Marco Beck Peccoz

C’era anche una replica del David di Michelangelo, realizzata grazie alla fornitura di un materiale ottenuto da plastica riciclata direttamente da Ferrarelle. Dicono fosse la più sofisticata e fedele riproduzione in scala reale mai realizzata. È una prerogativa italiana riuscire a rappresentare bellezza e raffinatezza declinandole anche nella capacità di sfruttare risorse e modalità sostenibili?

Da prerogativa deve diventare imperativo!

Può essere questa la strada da percorrere per rendere l’economia circolare appetibile e glamour oltre che necessaria?

La natura fonde circolarità e bellezza – credo che lo stesso dobbiamo cercare di fare noi progettisti…

Alcuni dei vostri progetti in comune affrontano il tema della verticalità, come per esempio Playscraper (un grattacielo alto poco più di 90 metri, smontabile e spostabile, interamente costituito da veri e propri campi da tennis impilati l’uno sull’altro), o MEET (a Porta Venezia a Milano, ex Spazio Oberdan dove gli spazi ruotano intorno ad una scala di 15 metri, che funge all’occorrenza da area di lavoro, piccolo teatro o spazio per meeting). Può essere questa una strada per avere un minor impatto ambientale o al contrario rischia di essere più invasiva?

Dipende dal contesto. Innanzitutto, bisogna sgombrare il campo da un equivoco: che densità e verticalità coincidano.

L’alta densità porta a forme di urbanizzazione sostenibile. Ad esempio, una delle città con il minor consumo energetico pro capite è Hong Kong, una delle più dense. Tuttavia, la densità non è sinonimo di altezza. Barcellona e Manhattan hanno all’incirca la stessa densità, con altezze molto diverse. Ciò è dovuto al miglior uso dello spazio fornito dalla morfologia dei cortili del capoluogo catalano, come inizialmente notato dal celebre urbanista britannico Leslie Martin alla fine del XX secolo.

Ma anche la verticalità di un grattacielo può offrire spunti interessanti: un esempio fra tutti è Capitaspring. Il grattacielo, alto 280 metri, progettato da CRA insieme allo studio danese BIG, è tra gli edifici più importanti di Singapore. Al suo centro, a decine di metri dal suolo, si trova una lussureggiante oasi tropicale sospesa nel mezzo del grattacielo. In questa piazza tropicale a picco sulla città è anche possibile lavorare, grazie a una serie di tecnologie per il controllo ambientale.

Oppure la Jian Mu Tower. Si tratta di una torre per uffici a Shenzhen in Cina, la cui facciata incorpora una gigantesca coltivazione idroponica che si estende in verticale per tutta l’altezza dell’edificio. In questo tipo di grattacielo il naturale e l’artificiale si sovrappongono strettamente. Il progetto dell’edificio consente agli utenti della torre di coltivare, acquistare e consumare frutta e verdura fresca direttamente all’interno dell’edificio. Inoltre, la presenza di elementi verdi sulla facciata consente di schermare i raggi solari, diminuendo, in questo modo, il fabbisogno di aria condizionata.

Quale il futuro dell’architettura e quali i trend più promettenti? Cosa dobbiamo insomma attenderci per il futuro?

Come dicevamo prima, cercare nuove alleanze tra il mondo del naturale e quello dell’artificiale. E poi continuare a innovare e cercare nuove strade. Ricordiamo le parole di Buckminster Fuller, che oggi suonano più che mai urgenti: “Siamo chiamati a essere artefici del futuro, non le sue vittime”.

Quali i materiali che sempre più verranno utilizzati in architettura e a discapito di quali?

Innanzitutto, materiali che possono essere riciclati o riusati. Ma più in particolare credo che ci sia molta sperimentazione da fare con quei materiali che nascono dalla natura e ad essa possono tornare al termine della loro vita. Di recente abbiamo usato molto il micelio – le radici dei funghi. Questo era il materiale chiave per il progetto Circular Garden, che abbiamo sviluppato insieme ad Eni durante la Milano Design Week del 2019, ed esposto sempre presso l’Orto Botanico. Si trattava di una serie di grandi catenarie, ispirati dagli studi strutturali di Poleni e Gaudí, e composte di micelio. Un progetto capace di crescere organicamente dal terreno e poi tornare al terreno senza produrre rifiuti alla fine del Salone.

Sono tantissimi ed importantissimi i vostri progetti che hanno lasciato il segno, ma vorrei chiudere questa intervista con un piccolo oggetto di uso comune che lascia segni più tradizionali: la Scribit Pen, la prima penna completamente compostabile, realizzata dallo studio di Ratti.

Scribit Pen per ora è solo un prototipo. Tuttavia si tratta del primo esempio al mondo di pennarello completamente compostabile. Ogni componente di Scribit Pen è eco-compatibile: il fusto in plastica biodegradabile, le punte e le cartucce in fibre naturali e l’inchiostro atossico (addirittura commestibile!) a base d’acqua. Un cambio necessario e urgente per un settore che ogni anno fa arrivare in discarica oltre 35 miliardi di pennarelli di plastica!

Paola Greco

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