L'obsolescenza programmata dei prodotti tecnologici non può più avere cittadinanza oggigiorno, per questioni etiche ed ambientali. Cosa attendersi dunque per il futuro? Ne abbiamo parlato col country manager per l'Italia della multinazionale che ha fatto scelte importanti in chiave green
Porre le persone al centro utilizzando le enormi possibilità che la tecnologia oggi ci offre per favorire una società sempre più inclusiva, con strumenti e opportunità accessibili veramente a tutti e soluzioni in grado di annullare le barriere tra le persone e la tecnologia appunto, che, a secondo di come viene utilizzata e fruita, può democratizzare oppure creare profonde discriminazioni. È la mission di Acer, fra i brand Ict leader nel mondo con una presenza in oltre 160 Paesi.
Molte le iniziative e le azioni concrete in ottica sostenibilità dell’azienda nata a Taiwan che in Italia impiega 170 persone fra Arese e Siracusa e produce un fatturato di 200 milioni di euro. Azioni che vanno dal controllo della filiera fino alla progettazione “circolare” dei propri prodotti, pensati cioè sin dall’inizio per essere riciclati, utilizzando materiali riciclabili e componenti riparabili, per allungarne il ciclo di vita, contrariamente a quanto propone il consolidato modello di business della tecnologia, che ha fatto sempre dell’obsolescenza programmata una delle sue pietre miliari, esempio forse fra i più emblematici della cultura dell’usa e getta che ha contraddistinto finora la nostra società consumistica, oggi evidentemente sempre meno perseguibile.
Non è un caso che nel 2020 Acer, che nel mondo impiega oltre 7mila persone, sia stata quotata in tre indici globali di sostenibilità: l’indice Dow Jones Sustainability Indices (DJSI) Emerging Markets per il settimo anno consecutivo, gli indici MSCI ESG Leaders e l’indice FTSE4Good Emerging, per il quinto anno. Inserita, fra l’altro, tra le 100 aziende meglio gestite al mondo in ambito sostenibilità secondo il Wall Street Journal.
All’avanguardia nelle tecnologie orientate ai servizi, nell’Internet delle Cose, nel gaming, nella realtà virtuale, Acer ha di recente sostenuto anche l’iniziativa “Next Generation for Sustainability – La voce dei giovani”, ideata da Wise Society, in collaborazione con la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti e il Salone della Csr e dell’Innovazione Sociale, e destinata ai giovani filmmaker chiamati a interpretare il tema della sostenibilità attraverso la produzione di cortometraggi originali.
Abbiamo incontrato Diego Cavallari, country manager di Acer Italia, per parlare di come la tecnologia possa, se utilizzata nel giusto modo, contribuire a creare una società più democratica e inclusiva, ma anche di come necessiti di una nuova cultura della durabilità, perché un modello di business basato sull’obsolescenza programmata e stili di consumo dettati dal mero usa e getta non possono più continuare ad avere cittadinanza in un mondo come quello attuale, per questioni etiche ed ambientali.
Con Acer avete aderito, in occasione del Salone della Csr, alla nostra call in favore di giovani filmmaker di talento con il premio Next Generation for Sustainability. Com’è andata e perché avete deciso di sostenere questa iniziativa?
Abbiamo accettato con entusiasmo di partecipare a questa vostra iniziativa perché è fondamentale per noi in Acer favorire la diffusione di una cultura della sostenibilità, in cui crediamo vivamente, e supportare le nuove generazioni nel processo di cambiamento, in un Paese, il nostro, in cui forse si dà ancora troppo poco spazio ai giovani. Il mondo sarà dei giovani e più si è ad essi vicini più si può trarne ispirazione, mettere a confronto valori vecchi e nuovi, risolvere i problemi in modo diverso, trovare nuove soluzioni, per sé e per il bene della comunità, perché i giovani guardano il mondo con occhi diversi dai nostri.
Nei video realizzati i ragazzi hanno dimostrato l’importanza di voler compiere dei semplici ma significativi cambiamenti nelle nostre abitudini, che possono portarci verso una maggiore sostenibilità ambientale, e questo è fondamentale per il nostro presente e per il nostro futuro. Poter mettere, quindi, a disposizione dei vincitori i nostri notebook Aspire Vero ci ha consentito di far toccare con mano a questi giovani talenti le peculiarità dei nostri prodotti Vero, progettati pensando alle prestazioni e alla praticità d’uso, ma anche alla salvaguardia del pianeta, attraverso l’utilizzo di materiali sostenibili e dal ridotto impatto ambientale.
Ci spieghi meglio…
Il legame tra Acer e la sostenibilità è sempre stato forte – lo dimostra d’altronde anche il nostro logo, che è verde, ispirato quindi all’ambiente e alla sostenibilità – e parte già svariati anni fa e anche all’interno dei nostri uffici promuoviamo da tempo iniziative per stimolare i nostri dipendenti, a tutti i livelli, verso l’impatto ambientale, anche nelle piccole azioni quotidiane. I nostri notebook Aspire Vero sono realizzati con materiali plastici post-consumer recycled (Pcr): sono cioè realizzati con plastica riciclata da materiali di scarto provenienti da strutture domestiche, commerciali, industriali e pubbliche, che rappresentano il più grande flusso di materiali di scarto al mondo e qualsiasi sforzo per ridurre questo flusso permette di ridurre l’impatto delle attività umane sull’ambiente.
I nostri dispositivi sono, inoltre, progettati per essere facili da smontare, semplificando così i processi di riparazione e aggiornamento, aumentando dunque la durata del loro ciclo di vita e andando quindi nella direzione opposta rispetto all’obsolescenza programmata che da sempre contraddistingue i prodotti tecnologici. La scocca è composta al 30% da materiali Pcr che consentono una riduzione del 21% nelle emissioni di CO2 legate alla produzione di questo componente, mentre la scelta di non utilizzare vernici per la sua rifinitura riduce l’impatto negativo dei Cov (composti organici volatili). Anche i tasti contengono il 50% di Pcr, mentre l’originale packaging riciclabile al 100% può essere utilizzato come sostegno per il laptop.
L’obiettivo è offrire anche la massima performance con il minimo consumo, in modo che ogni nostro cliente non debba trovarsi a scegliere fra un prodotto ecosostenibile e uno performante: vogliamo che in un unico prodotto trovi entrambe le cose!
La tecnologia è uno degli ambiti in cui un approccio “circolare” sarebbe quanto mai auspicabile, a partire dalla progettazione e fino allo smaltimento dei prodotti…
È uno degli argomenti focali per noi, che stiamo perseguendo con investimenti importanti proprio in tal senso. Vogliamo, come dicevo, prodotti performanti e di design, ma anche sempre più riparabili in tutte le loro parti, perché non è più pensabile che se salta un tasto dalla tastiera si debba sostituirla per intero senza la possibilità invece di ripararla sostituendo il singolo tasto!
Abbiamo deciso di mettere il servizio al centro del nostro approccio di business: tutti i nostri collaboratori hanno la capacità di riparare i prodotti dei nostri clienti e stiamo sviluppando ancora di più la gamma dei nostri prodotti, rendendo più semplice la loro riparazione, per consentire così anche agli stessi clienti di poterci mettere mano e ripararli, anche senza avere particolari competenze tecniche.
In cosa consiste il progetto Earthion?
Earthion (Earth + Mission) è una piattaforma che ospita tutte le azioni virtuose messe in campo dall’azienda e dai propri stakeholder. Un progetto ambizioso, in cui ogni persona coinvolta ha un ruolo attivo e concreto, la naturale evoluzione di un altro progetto molto importante per noi, Project Humanity, che, grazie alla partecipazione attiva di oltre il 75% dei dipendenti Acer in 50 Paesi, ha portato a rigenerare oltre 50 tonnellate di batterie.
Con Earthion Acer fa un passo avanti, estendendo a partner e fornitori un’iniziativa ormai radicata all’interno della nostra cultura aziendale, attraverso molteplici azioni come, ad esempio, la riprogettazione del packaging, che solo nel 2020 ha permesso di risparmiare 20 milioni di sacchetti di plastica. Mai come oggi peraltro allineare la filiera a processi produttivi più virtuosi in un contesto globale di scarsità di materie prime è un approccio sicuramente win-win, vincente quindi per tutti.
In un’ottica di questo tipo abbiamo aderito a RE100, un programma mondiale che riunisce oltre cento aziende leader impegnate nella tutela dell’ambiente. Obiettivo del programma è utilizzare il 100% di energia proveniente da fonti rinnovabili entro il 2035. Già nel 2012 ci siamo imposti limiti più bassi nelle emissioni di carbonio, riducendole del 60% nel 2020 e raggiungendo nello stesso anno il 44% di utilizzo di energia rinnovabile a livello globale.
Come lo scenario macroeconomico globale sta influendo sul vostro business e come state fronteggiando la scarsità e i costi sempre più alti delle materie prime? State indirizzando la vostra ricerca su materiali alternativi a quelli finora utilizzati nel vostro comparto?
Materiali fondamentali come il rame, che sta avendo un incremento di costo stellare, le terre rare, il litio, necessario per le batterie, che sono quelle che hanno avuto meno innovazioni negli anni e sulla cui durata e capacità di rinnovarsi bisogna puntare sempre di più, stanno impattando molto sui costi di produzione. La ricerca di nuovi materiali è quindi importantissima, mai come adesso. Penso al grafene, per esempio, o ad altri materiali più comuni, la cui estrazione ha un impatto meno devastante sul pianeta e sulle persone che li estraggono rispetto ai materiali tradizionalmente utilizzati.
Anche il progressivo rimpicciolimento dei processori dà una mano in tal senso: una stessa superficie di silicio oggi ospita molti più chip e transistor che in passato, consentendo così di risparmiare materiale in modo significativo.
Prima parlava di Project Humanity, in cosa consiste esattamente?
La tecnologia ha un ruolo fondamentale nel migliorare la vita di tutti noi, ma il futuro della società è nelle nostre mani e le decisioni che prendiamo sono vitali, in quanto hanno un impatto sull’ambiente e sulla vita delle persone. Ognuno di noi può quindi nel suo piccolo fare molto, perché tante piccole azioni, sommate le une alle altre, possono contribuire a raggiungere risultati non indifferenti.
Per questo motivo nel 2017 abbiamo lanciato Project Humanity, un’iniziativa volta a incoraggiare comportamenti sostenibili e “green” anche tra i dipendenti. Il programma invita a prestare attenzione a piccoli gesti a favore dell’ambiente – ad esempio non lasciare dispositivi in standby, stampare i documenti fronte-retro, eliminare la plastica utilizzando per esempio per l’acqua le borracce, fare la raccolta differenziata, risparmiare la quantità d’acqua, ripulire le spiagge dalla plastica – e ad obiettivi più ambiziosi con lo scopo di portare avanti azioni concrete a sostegno della collettività e della salvaguardia del pianeta.
Da anni, ad esempio, la produzione dei dispositivi di Acer avviene utilizzando energia proveniente da fonti rinnovabili, mentre il packaging dei nostri prodotti è interamente realizzato con carta riciclata, controlliamo la nostra filiera, il trasporto dei nostri prodotti segue precisi standard per impattare il meno possibile…
È ovvio che tutto questo ha un costo, ma ci crediamo. Oggi tutti parlano di green, ma davanti allo scaffale la massima parte delle persone ancora non è disposta a spendere quel fisiologico sovrapprezzo per i prodotti sostenibili. Ci vuole tempo e bisogna educare la collettività a questa nuova sensibilità green.
Il nostro motto è “Ogni decisione conta” perché tutto quello che facciamo ha un impatto, quindi stimoliamo i nostri collaboratori a lanciare idee per l’ambiente e per il benessere delle persone in azienda, per un ambiente di lavoro più salutare e sereno, dove tutti possano avere le stesse opportunità in un clima di rispetto e inclusione.
Un’organizzazione saggia, “wise” appunto, che caratteristiche dovrebbe avere secondo lei?
È un’organizzazione che non spinge il consumismo estremo. Siamo tutti qui per fare business, ma non a tutti i costi. Per esempio, spesso si ha la tendenza a immettere sul mercato una quantità spropositata di prodotti a costi bassissimi, ma tutti questi prodotti, anche quelli invenduti, che comunque diventeranno prima o poi obsoleti, diventeranno montagne di rifiuti. Si spinge l’utente a cambiare prodotto anche se non è arrivato a fine vita e questo non è più accettabile, perché non fa bene alla società e al pianeta.
Vincenzo Petraglia
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